Viaggio al centro di un mondo che rischia di scomparire.
“Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso.” (Ernest Hemingway)
C’è una profonda crisi industriale che sta attraversando il nostro Paese. Centri che sono stati eccellenze nella produzione dell’acciaio e dei laminati (Piombino, Terni, Taranto) si stanno velocemente disgregando, e con essi si sgretolano interi nuclei familiari che a cascata danneggiano irrimediabilmente l’economia del territorio. La politica sembra essere impotente nei confronti del fenomeno della nuova industrializzazione che viene dall’Est, una vera piaga che deriva dalla caduta di quello che fu un baluardo dell’integrità del blocco sovietico: il muro di Berlino. Muri che crollano, barriere sociali che si innalzano, siamo di fronte ad un New Deal al contrario, di fronte all’impoverimento di interi strati della società civile, senza che si riesca a trovare il modo di andare avanti o perlomeno di arginare i danni.
In tutto questo baillame occorrono teste pensanti e ben salde, serve respirare col naso e saper gestire le problematiche con un acume ed una prontezza di riflessi tipica solamente dei periodi di guerra. La cultura può dare una mano, anzi deve, è obbligata a farsi guida nelle tenebre che avvolgono un mondo sempre in continuo movimento, dove lo spazio per pensare e discutere si riduce al cinguettio di un tweet o ai like di un post.
Vado a trovare Greca Campus nella sua città natale, Terni. Greca fa parte delle migliaia di donne che non confesserebbero un bel niente a Vanity Fair e che non mostrerebbero mai il loro sedere per rinvigorire una campagna elettorale povera di contenuti.
Greca Campus è una giovane documentarista ternana che ho intervistato per l’Undici. Ha appena finito di girare un documentario dal titolo LOTTA SENZA CLASSE, un’opera coraggiosa, il tentativo di capire uno dei fenomeni più complessi degli ultimi anni: la deindustrializzazione del nostro Paese.
Greca, parlaci un po’ di te.
La mia formazione è sopratutto politica. Mi sono iscritta a Rifondazione Comunista a 15 anni. I miei due zii sono stati entrambi dirigenti del PCI ed hanno ricoperto incarichi politici nelle amministrazioni umbre, ma è mio nonno che mi ha trasmesso la vera passione politica. Sono uscita da RC dopo i fatti di Genova (il G8 del 2001, nda), in seguito ai sempre più numerosi conflitti tra la sezione giovanile (i Giovani Comunisti/e) ed il partito.
Ed invece la passione per l’arte da dove viene?
L’interesse per l’audiovisivo è nato al liceo, grazie alla passione di mia madre per il cinema. Sono partita dalla fotografia in pellicola, a 14 – 15 anni, un po’ come tutti, perché i mezzi sono nettamente più economici. Con la mia prima handycam Hi8 filmai la famosa manifestazione di Cofferati del 2002 (quella del 23 marzo 2002 che portò tre milioni di persone in piazza, nda), poi le manifestazioni del 2005 contro la chiusura del reparto del magnetico dell’AST, filmati che poi sono stati inseriti nel documentario “ARANCIA MAGNETICA”, di Riccardo Palladino, mio collega e concittadino. Ci furono grandi proteste all’epoca, la più grande manifestazione dopo quella cosiddetta de “li du’ mila” del 1953 (ne potete ricavare qualche notizia in più in “Biografia di una città”, di Alessadnro Portelli, nda).
Perché hai scelto di parlare proprio della fabbrica?
La mia è una motivazione molto affettiva, e la “colpa” è di mio nonno, elettricista, con il quale sono cresciuta e che mi ha trasmesso, oltre che alla passione per la politica, anche quella per la competenza tecnica.
Ci parli della storia recente dello stabilimento ternano?
La ThyssenKrupp, nota multinazionale tedesca, acquista l’AST (Acciai Speciali Terni) alla fine degli anni ’90 in seguito alla lunga fase delle privatizzazioni dell’IRI, avviate da Prodi. Nel 2005, in seguito alla chiusura del magnetico, attua una politica di prepensionamenti e di nuove assunzioni, come quella di Alessandro Petrucci, jazzista, uno dei protagonisti del documentario. Quindi l’acciaieria è giovane: sia come operai che come rappresentanza sindacale, basti pensare che Claudio Cipolla, segretario FIOM CGIL, ha solo 35 anni e Stefano Garzuglia, coordinatore della Fiom Cgil all’interno di Ast e altro protagonista del documentario, è del ’76. Il 31 gennaio 2012 Outokumpu (gruppo industriale finlandese leader nella produzione dell’acciaio inossidabile) acquista Inoxum, la divisione acciai inossidabili di ThyssenKrupp, di cui fa parte l’AST. Dopo il passaggio c’è stata una fase di limbo, dopodiché a fine novembre 2013 Outokumpu, a sorpresa, ha di nuovo rivenduto l’AST alla ThyssenKrupp.Come è stata possibile questa operazione?!
Perché la Comunità Europea si è svegliata d’improvviso ed ha paventato il rischio monopolio. Ha intimato così ad Outokumpu di vendere qualche stabilimento, e tra quelli scelti c’era ovviamente Terni. Ci sono state diverse manifestazioni, tra cui quella famosa
del 6 giugno conclusasi con il ferimento del sindaco. Il documentario copre proprio questo periodo, quello tra ottobre 2012 e giugno 2013, in cui sia i lavoratori, che i sindacati ed il governo ricevevano le informazioni solamente attraverso i comunicati stampa rilasciati dalle multinazionali.E poi cosa è successo?
Sono usciti allo scoperto diversi possibili acquirenti, tra cui l’Aperam con la Marcegaglia, il gruppo sudcoreano POSCO e fondi di investimento statunitensi. Il problema è che la Outokumpu è partecipata dallo Stato finlandese, un anno fa necessitava di liquidità e le offerte di acquisto per l’AST che riceveva erano tutte al ribasso. Quindi cosa ha fatto? Nel novembre 2013 la Outokumpu ha di nuovo ceduto lo stabilimento alla ThyssenKrupp, saldando così i debiti che derivavano dal precedente acquisto di Inoxum. Pari e patta. Anche tutto questo è avvenuto attraverso comunicati stampa.
Ad oggi non esiste un piano industriale per la Terni, che nel 2018 probabilmente sarà messa di nuovo in vendita.
Incredibile. E tu perché hai intitolato il tuo documentario “LOTTA SENZA CLASSE”? Dove è finita oggi la classe operaia?
Oggi la classe operaia a livello omogeneo non esiste più, le provenienze sono tra le più varie. Nel documentario ho preso in esame tre diversi identità che si possono incontrare nello stabilimento. C’è Krishna Kumar, 34 anni, immigrato a Terni perché suo fratello abitava già qua. Lavora in una ditta di subappalto dell’AST che si occupa di pulizie industriali. E’ indiano dello stato di Bihar, nell’India nord-orientale. Poi c’è Stefano, 37 anni, delegato RSU FIOM, ed Alessandro, 37 anni, trombettista jazz.
Come è stato girare questo documentario?
Ho dovuto procedere in maniera articolata, perché non ho seguito un protagonista ma ne ho seguiti tre. Solo mettendo in risalto le differenze si poteva arrivare a comprendere l’estrema eterogeneità della classe operaia di oggi. Sono entrata in fabbrica, ho potuto filmare solo alcuni ambienti, non ho potuto vedere la linea produttiva. Le riprese interne sono andate avanti dalle 5 del mattino fino alle 16. Un piccolo dettaglio tecnico: ho usato una macchina da presa digitale che si chiama BlackMagic Cinema Camera, che lavora registrando i singoli fotogrammi in raw, un po’ come si lavora in pellicola, quindi ho girato in maniera molto mirata, senza accumulare ore e ore di riprese.
A chi si rivolge questo documentario? A chi può interessare della non classe operaia ternana?
Devo precisare che il fatto di non nominare mai Terni come riferimento spaziale in nessun materiale pubblicitario finora uscito è voluto. Mi premeva dare un’impronta generale al documentario, cercando di far passare il concetto che quello che accade a Terni rappresenta una situazione comune a molte altre realtà, come Piombino, Portovesme o Taranto. Il documentario riguarda tutti quelli che hanno a cuore le sorti dell’industria e degli operai in Italia.
Che cosa ti aspetti da questo prodotto?
Che a Terni si possa aprire una discussione seria sulla fabbrica e sulle relazioni tra secondario e terziario. Vogliamo dare il massimo di visibilità al prodotto, per scuotere i ternani ed il loro spirito di autoflagellazione! Vorrei riuscire a conciliare un argomento politico con una cura estetica e con l’assenza di retorica, e vorrei rendere evidente a tutti la complessità dell’attuale situazione economica e politica. Vorrei far passare il concetto che la fabbrica non è un luogo di non-cultura come tanti credono e vorrebbero far credere. Non voglio che Terni diventi una periferia di Roma.
E’ in corso una campagna di autofinanziamento per terminare il montaggio e la sonorizzazione del documentario. Se volete contribuire potete andare su questo sito. Mentre parliamo, Greca mi mostra il profilo commerciale delle aziende coinvolte: Brasile, Cina, India, Canada, Giappone, ormai si agisce nella globalità economica e finanziaria più totale.
Tutto questo mentre Maurizio Landini predica l’unità e la trasparenza del sindacato italiano. A quanto invece una vera globalizzazione delle lotte?