Speciale: Love and Rockets turns 30
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- Love and Rockets – Una questione di formato
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Un aspetto che non è stato preso in considerazione, ma che ha un certo interesse nella storia editoriale di Love & Rockets, riguarda il formato, inteso sia come “grandezza dell’albo” sia come “impostazione dei contenuti”, perché l’evoluzione che ha subito nel corso di trent’anni rispecchia il cambiamento, nel bene e nel male, di un tipo di fumetto statunitense che ha sempre avuto delle etichette fuorvianti e inadeguate a descriverlo (“alternativo” oppure “indipendente”). L&R nasce come autoproduzione dei tre fratelli Gilbert, Jaime e Mario Hernandez, che lo spediscono alla redazione della rivista «Comics Journal» per farlo recensire. Invece di ricevere una stroncatura, come temevano, la Fantagraphics Books, la casa editrice del famoso magazine di critica, si offre di pubblicare il loro albo.
Considerato il tipo di pubblicazione che gli Hernandez avevano impostato [2] . Una presa di posizione del genere è coerente con l’intero progetto: per il formato, per le storie e per il genere di copertine che vengono disegnate (la mescolanza di “realismo” [love] e di “fantastico” [rockets] è ben esemplificato nella copertina del primo numero, che sarebbe diventata una sorta di icona, citata e ripresa successivamente anche dagli stessi fratelli Hernandez). Se i riferimenti al fumetto di supereroi o di genere, come la fantascienza, sono evidenti (uno su tutti, la forte influenza grafica operata da Steve Ditko, soprattutto in Jaime), Anche le storie hanno un “format” particolare per un comic book di quegli anni: uniscono un’evoluzione dei personaggi affine alla soap opera e a certe strisce come Gasoline Alley di Frank King e Mary Perkins e On Stage di Leonard Starr, più che al fumetto supereroistico, a un’impostazione delle storie che fa tesoro della caratteristica di “contenitore” utilizzato dalle riviste a fumetti: i due fratelli (l’apporto del terzo, Mario, è sempre stato marginale) passano con disinvoltura dalle storie lunghe a puntate agli episodi autoconclusivi di lunghezza variabile, con l’unico scopo di approfondire e allargare quella “commedia umana” che stanno mettendo in scena. Il discorso vale soprattutto per Beto: se le storie di Jaime si focalizzano fondamentalmente sulle “locas” Maggie e Hopey e quasi tutti i comprimari principali vengono presentati nei primi albi, la popolazione del fittizio villaggio messicano di Palomar si “arricchisce” costantemente di nuovi abitanti, riproducendo su carta la realtà degli ambienti urbani, dove è normale che ci sia un continuo andirivieni di persone. Il formato “rivista”, in cui i due si dividono equamente le (generalmente) 30 pagine a disposizione, diventa il loro laboratorio creativo, Il “magazine” diventa una testata di culto e dura 50 numeri e 14 anni (l’ultimo albo è datato maggio 1996), per poi riprendere con una “nuova” formula qualche mese dopo. I due fratelli, pur desiderando continuare a raccontare quelle storie, sentono ormai stretta la condivisione dello stesso spazio editoriale e realizzano delle miniserie che propongono in maniera continuativa le vicende allegre e drammatiche dei loro personaggi. Si parte con «Whoa, Nellie!» di Jaime (miniserie di tre albi, iniziata a luglio e conclusa nel settembre1996), «New Love» di Gilbert (miniserie di sei albi, iniziata nell’agosto 1996 e conclusa nel dicembre del 1997), l’albo autoconclusivo «Maggie and Hopey Color Fun» (maggio 1997) e «Penny Century» di Jaime (serie durata sette numeri, iniziata nel dicembre 1997 e proseguita fino a luglio 2000), «Luba» di Gilbert (serie durata dieci numeri, iniziata nel febbraio 1998 e proseguita fino al dicembre 2004), a cui si affianca anche «Luba’s comics and stories», una serie di albi autoconclusivi focalizzati su vari personaggi del mondo di Palomar (serie durata sette numeri, iniziata nel marzo 2000 e conclusa nel gennaio 2006). A tutto questo si aggiunge «New Tales of old Palomar», la miniserie di tre albi di Gilbert realizzata nel 2006-2007 per la collana “Ignatz” [3] , in cui ritorna al passato di Palomar e al classico formato magazine. Queste pubblicazioni, nonostante durino complessivamente più di dieci anni, hanno in sé il germe del “fallimento” perché dopo qualche anno dall’inizio di questa fase, per l’esattezza nella primavera del 2001, riprende la pubblicazione di «Love and rockets», denominato Vol. II, che continua fino al 2007. A cosa è dovuto questo ritorno, realizzato tra l’altro in formato comic book? In un certo senso la motivazione la si trova proprio nel passato successo del fumetto, che si rivela essere un’arma a doppio taglio. La loro opera ha bisogno di essere etichettata esplicitamente “L&R” e a nulla valgono i titoli in cui sono contenuti i nomi dei personaggi che li hanno resi celebri né che in copertina ci sia il sottotitolo “A Love and Rockets comics”: il pubblico non sembra percepire questi segnali e collegamenti, per cui sono costretti a riprendere la vecchia formula e dividersi lo spazio in un’unica testata sotto il loro “marchio di fabbrica” [4] . L’altra concessione che viene fatta, e che era già iniziata con le miniserie, è quella del formato: tutte queste incarnazioni (tranne «New Tales of old Palomar», per la ragione già indicata) hanno la grandezza del fumetto supereroistico: sembra che l’attenzione del loro “classico” pubblico sia un po’ scemata e che l’unica maniera di mantenersi uno zoccolo duro sia, paradossalmente, quello di restare nell’ambito delle fumetterie, quando invece fin dagli inizi l’obiettivo era stato quella di rivolgersi a un pubblico diverso. La ragione la si trova probabilmente anche nel fatto che in quel periodo il fumetto non si era ancora diffuso in libreria, come avviene attualmente, ma continuava a essere diffuso nelle librerie specializzate, creando quindi questa situazione paradossale per cui l’unico luogo che vende «L&R» è quello nel quale il pubblico tipico di questa pubblicazione, che con il passare degli anni sta diventando più maturo, non entra oppure si sta allontanando sempre di più perché sente aumentare la distanza verso un luogo frequentato nella maggior parte da un pubblico giovane. Questo cambiamento di formato non cambia il tenore delle storie, ma ha effetti sul layout della pagina, che tende a essere meno densa di vignette. Dico “tende” perché si nota l’intenzione da parte dei due fratelli di limitare il numero di vignette e il testo, ma non sempre ci riescono. La grigia rimane fondamentalmente quella a tre strisce: se prima era composta da 8-9 vignette ora cercano di contenere il tutto in 6 riquadri, ma in diverse occasioni non riescono a “resistere” e la pagina diventa di quattro strisce a due vignette. L’effetto è indiscutibilmente più sacrificato La maggior parte degli autori più famosi, che si erano formati con il concetto del comic book, in cui esercitarsi e realizzare storie lunghe o corte che, successivamente, avrebbero potuto essere raccolte in volume, pian piano smettono di portare avanti la propria testata (in un certo senso, una specie di rivista personale): per esempio, Richard Sala e Chester Brown non realizzano da anni i loro albi pubblicando direttamente le loro opere in volume, mentre in altri casi il comic book si trasforma in un “libro periodico” (l’«Acme Novelty Library» di Chris Ware e, per emulazione, il «Palookaville» di Seth). Esiste perfino una via di mezzo, portata avanti da Daniel Clowes e, ancora, da Chris Ware: entrambi serializzano su rivista (generalmente non di fumetti) le loro opere, ma quando le raccolgono in volume, i libri non sono la semplice riproposizione delle puntate già apparse, ma contengono la storia modificata, corretta e ampliata, quasi come se la versione a puntate fosse una “prova generale”, I sopravvissuti alla quasi totale scomparsa del comic book sono davvero pochi. Si possono citare Jason Lutes, probabilmente solo perché deve portare a termine «Berlin», opera comunque pensata in origine come una trilogia, e Adrian Tomine. Quest’ultimo realizza nel dodicesimo numero di «Optic nerve» uno struggente racconto di due pagine sul contraddittorio desiderio di continuare a fare comic book, mentre gli autori che conosce sono entrati nell’ottica di pubblicare direttamente in volume perché è la tendenza (economicamente vantaggiosa) del momento. Non è chiaro (forse volutamente) se questo sarà davvero l’ultimo numero di «Optic nerve» (metaforicamente, presenta una copertina tagliata a metà, quasi fosse già pronto per la resa al distributore come “pubblicazione fallata”) oppure se l’autore riuscirà a resistere ancora un po’… l’unica cosa certa è che questo tipo di pubblicazione si è definitivamente avviato verso il viale del tramonto. Nel mercato americano, al di là dell’uso promozionale del termine “graphic novel”, già utilizzato fin dagli anni Ottanta del secolo scorso [7] , si è realmente diffuso il concetto di “libro a fumetti” che, rispetto al comic book, è un oggetto “diverso” da vendere in un luogo diverso: concepito non più come pubblicazione “usa e getta” ma per essere conservato e acquistato (soprattutto) in libreria [8] . Gli stessi Hernandez riformattano nuovamente la loro serie per cui, liberandosi dalle scadenze e collegandosi a questa tendenza contemporanea, a partire dal 2008 trasformano «L&R» in una pubblicazione annuale di un centinaio di pagine e la rilegatura in brossura. Come nel vecchio magazine, continuano a realizzare le loro storie dividendosi equamente lo spazio. Certo, questo rende più difficile il reperimento della pubblicazione, soprattutto a causa della periodicità, ma dà un connotato diverso e più attuale a una serie che si è sempre distinta per essere al passo coi tempi, se non addirittura per averli anticipati. I fratelli Hernandez, abbandonando quel formato ormai troppo legato a un tipo di fumetto adolescenziale, in maniera analoga a quello che era la rivista originale, ritornano a esprimere uno spirito più aderente al pubblico a cui si rivolgono: seguendo l’evoluzione anagrafica delle abitudini di lettura del proprio pubblico, sono passati quindi dalla rivista degli anni Ottanta e Novanta al libro, probabile tipologia di lettura del pubblico che li aveva seguiti agli inizi. Il cambiamento di formato nel corso degli anni non ha modificato quello che, in maniera analoga al metodo di Ware e Clowes, permette di leggere in maniera “definitiva” l’opera dei fratelli Hernandez, e cioè la modalità “volume” che raccoglie le loro storie. Parlo di “versione definitiva” perché anche qui non ci troviamo di fronte a una mera raccolta dei fumetti già editi ma in molti casi, soprattutto per storie lunghe come “Human Diastrofism” o “Poison River”, C’è infine da specificare che anche le collezioni di storie si sono modificate, ampliandosi e diversificandosi nel corso degli anni, nel tentativo di dare all’opera una forma che potesse essere accessibile ai nuovi lettori. È in quest’ottica che si possono comprendere le diverse tipologie di volumi presenti sul mercato: la collezione “classica”, composta finora di venticinque volumi, raccoglie tutte le storie apparse nella versione magazine e successive; la “Love & Rockets Library”, di cui sono usciti nove tomi, raccoglie in una nuova strepitosa veste grafica il materiale pubblicato, dividendo però le opere dei due fratelli in volumi diversi; i volumi di grossa foliazione che raccolgono i due cicli delle “Locas” e di Palomar, inserendosi nella tendenza ad avere “tomi” da diverse centinaia di pagine; i volumi fuori collana (come Julio’s Day e God and Science) che raccolgono solo le storie lunghe più recenti e li fanno percepire al pubblico come “graphic novel”; i tre volumi, usciti direttamente senza nessuna serializzazione, che adattano a fumetti i film interpretati dal personaggio di Fritz, la sorellastra di Luba [9] . Queste edizioni diverse rendono giustizia all’opus degli Hernandez, sottolineando i fili conduttori all’interno delle storie corali e isolando dei romanzi (a fumetti) all’interno del denso flusso narrativo. Tutto questi cambiamenti e modifiche però sono possibili solo grazie all’altissima qualità delle storie, che non solo dimostrano come questi due autori siano stati da sempre dei narratori di razza, ma anche come la loro opera mantenga un enorme valore al di là del modo e del formato con cui viene pubblicata e presentata al pubblico.
La prima copertina interpretata da Noah Van Sciver (clicca per ingrandire) Bem di Claudio Calia (clicca per ingrandire) Note:
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