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Love Exposure è prima di tutto disamina feroce verso l’erroneità insita nell’attuale vivere comune.
I personaggi sono costituiti da tutte quelle qualità negative esprimibili con il prefisso inversivo a: sono, ovviamente, amorali, ma anche apolidi per la loro caricaturizzazione che li allontana da un qualunque tentativo di collocazione, e sembrano astorici, con un passato che razionalmente, per quel che ci è dato sapere, appare impossibile possa essersi sviluppato così.
Nonostante questa loro essenza straniante improntata sull’ostinazione dell’eccesso, accade un miracolo che riguarda Sono come molti altri registi orientali, accade che pur avvertendoli così assurdi, folli, insani e dissennati, a conti fatti risultano incredibilmente reali.
Questo perché la loro appartenenza al mondo è esibita esacerbando processi più sotterranei e meno smaccati ma che comunque ci sono anche nella vita vera. E allora ecco che la misandria si trasforma in puro splatter, il fanatismo religioso in un tunnel che conduce all’infermità mentale, una piccola perversione si tramuta alternativamente in realizzazione personale e/o pietra tombale, l’amore è vissuto in maniera cristologica, strabordante di sofferenza e continue ingiustizie.
La società di Sono è una kermesse di tristi saltimbanchi, tristi come i nostri vicini di casa.
Love Exposure è inoltre l’annientamento del primo ambiente educativo per eccellenza.
In totale aderenza con il passato ed il suo futuro registico (molto ritornerà con Cold Fish, 2010), Sono demolisce con impetuosa spietatezza La Famiglia. L’atto di demolizione prolifera su più piani e su più livelli con i problemi che nascono già negli archetipi: Maria (La Madre) è una ragazzetta in balia di un odio viscerale verso la categoria maschile, Giuseppe (Il Padre) è un ragazzetto in balia dei suoi tumulti deviati, e Gesù sulla croce (pericolante) è muto osservatore di tutto questo.
Ma nello specifico, se si analizzano le famiglie dei 3 protagonisti, si scovano grovigli da cui non c’è alcuna uscita di sicurezza; il padre di Yu è un vedovo, poi diventa prete (e quindi genitore, pastore, di una comunità), poi si risposa (e perciò nuovo marito e nuovo padre), poi disconosce il figlio e infine aderisce ad un nuovo credo religioso; la madre di Yoko è una donna libertina che si fa chiamare da sua figlia con il proprio nome (“più che una mamma, un’amica”), e sposandosi con l’ex-prete genera un nuovo equilibrio famigliare in cui aleggia prepotente l’aria dell’incesto (il filo rosa della pellicola viaggia sull’amore non corrisposto del fratellastro); Koike è una moglie che ha evirato il proprio marito e insinuandosi all’interno della nuova famiglia diventa sorella odiata/amata.
Padre madre, fratello sorella, i ruoli all’interno dell’ambiente casalingo vengono rivoltati nelle viscere, non c’è nessuna base su cui intessere una relazione se non quella costituita dall’inganno (tutta la manfrina di Koike), dal rifiuto (Yoko che allontana Yu solo perché è maschio), dal sesso (il prete ammetterà che stava con la donna solo per questo).
Ma Love Exposure è, quasi a sorpresa, anche un tragitto di formazione personale che incontra continui arretramenti, ostacoli dalla portata inevitabilmente deformante.
Figura centrale di tale processo è Yu che nel lungo incipit si manifesta come entità separata nella diegesi, ma comunque presente con la sua narrazione. Piano piano l’entrata in scena rivela l’acerbità adolescenziale e il desiderio – l’unico Sogno di tutta la pellicola e forse di un’intera filmografia – di trovare la sua Lei cosiccome la madre defunta gli aveva auspicato. Ma la crescita di Yu si subordina a fatti devianti: l’iniziale assenza del padre lo porta a commettere peccatucci di lieve entità che vista la conciliazione del prete che non vuole nemmeno farsi chiamare papà, si tramutano in “semplice” perversione con la maestria nel fotografare le mutandine sotto le gonne.
Tuttavia Sono è un maestro dell’accumulo e Yu si trova in poco tempo ad essere ripudiato dal padre, abbandonato come un cane, e soprattutto spappolato dentro, nell’identità, poiché in bilico agli occhi dell’amata fra il compagno di scuola/fratellastro imbecille, e l’eroina Miss Scorpion sprezzante del pericolo.
La parola d’ordine è: disidentificare. E Sono spinge prepotentemente in questa direzione.
Pur avendo un palpabile rallentamento nell’ultima ora al quale si aggiunge una risoluzione un po’ nebulosa (la riconversione di Yoko va rivista), Love Exposure è un film che attingendo alle più svariate enciclopedie, dalla commedia al softcore, dal gore al wuxia, dall’introspezione religiosa all’inettitudine terrena, non inciampa mai perché è un rullo compressore che spiana qualunque dislivello, e una volta passato lascia la consapevolezza che non c’è niente, ma davvero niente, in cui credere: né Dio o Gesù, né Padre o Figlio, ma solo aggrapparsi a vicenda come nell’ultimissima immagine sperando in qualcosa che si avvicina all’amore.
Se non immenso, praticamente gigantesco.
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