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Love letters to the dead by Ava Dellaira

Creato il 11 maggio 2015 da Anncleire @anncleire

Love letters to the dead by Ava Dellaira

“There are two most important things in the world—being in danger, and being saved.”

I thought for a moment of May. I asked him, “Do you think we go into danger on purpose, so we can get saved?”

“Yes, sometimes. But sometimes the wolf comes down out of the mountains, and you didn’t ask for it. You were just trying to take a nap in the foothills.” Then I asked him, “But if those are the two most important things, what about being in love?”

“Why do you think that’s the most profound thing for a person? It’s both at once. When we are in love, we are both completely in danger and completely saved.”

 

 

“Love letters to the dead” è il romanzo d’esordio di Ava Dellaira, uno young adult che decisamente ha lasciato il segno in molti giovani lettori e che è stato portato in Italia dalla Sperling & Kupfer con il titolo di “Noi siamo grandi come la vita”. Era da tantissimo che dovevo leggerlo, ma lo avevo lasciato da parte perché ero preoccupata di trovarmi di fronte un flop visto l’hype che ci gira intorno. E in effetti mi ha delusa tantissimo.

Tutto comincia con un compito in classe. «Scrivi una lettera a una persona famosa che non c’è più.» Per Laurel è il primo giorno in una nuova scuola, e si sente trepidante, spaventata, e con tanta voglia e paura di cominciare. Si sente anche vuota: quel vuoto gigantesco che si chiama May, la sorella più grande che se n’è andata silenziosamente durante l’estate, lasciandole un dolore esterrefatto e incredulo. Laurel scrive a Kurt Cobain, perché era il cantante preferito di May. E poi scrive a Amy Winehouse, Elizabeth Bishop, River Phoenix. Tutte persone che sua sorella amava. E che, come May, sono morte. Persone che possono ascoltare ciò che Laurel ha da raccontare – il suo primo anno di liceo, le cotte, le amicizie, l’emozione di crescere – e aiutarla a comprendere, e superare, un dolore troppo grande per i suoi quindici anni.

Ammetto di essere rimasta immensamente colpita dalla cover di questo libro, che di certo mi ha indotta ad aggiungerlo in lista, più velocemente di quanto altrimenti non avrei mai fatto. La trama mi aveva fatto storcere un po’ il naso, pur amando i romanzi epistolari, mi aveva lasciato un po’ inquietudine e devo ricordarmi di seguire il mio istinto più spesso. La Dellaira ha cercato di scrivere un romanzo con tantissimi spunti, che restano invischiati in una verità sconvolgente, quella di aver per protagonista una persona incapace di affrontare la vita in maniera propositiva e circondata da personaggi che invece di cercare il suo e il loro bene, si consumano in comportamenti autolesionistici e non riescono ad affrontare in maniera positiva il dolore. Non posso accettare che Laurel sia circondata da tanta gioventù che non ha stimoli a migliorarsi e a lottare per i propri sogni. E se pur il dolore è una costante irrimediabile della vita, seppur gli incidenti capitino, e non viviamo in una fiaba dove tutto è perfetto, ma ci sono modi e modi di affrontare la perdita. Certo Lauren è una ragazzina che si ritrova a dover affrontare la perdita di una persona amata, sua sorella, questo personaggio che non c’è ma che riempie le pagine in maniera preponderante, plasmando Laurel con la sua assenza. Il suo chiudersi in un mutismo forzato rispetto alla notte più brutta della sua vita è perfettamente comprensibile ma diventa sconvolgente assistere al declino che la prende, quel rifugiarsi nelle sperimentazioni, nell’alcool, nella droga, nel prendere la vita alla leggera senza considerare i potenziali rischi di un comportamento pericoloso. Resto basita di fronte al suo volgere, ma soprattutto rispetto alla sorella May. Quando veniamo a conoscere i fatti che si sono consumati ci si rende conto di quanto tutto sia sconvolgente e lascia intendere quanto, in fondo, sia May che Laurel siano delle sbandate. May è una ragazza che usa la scusa del divorzio dei genitori per perdersi nei meandri di una vita fatta di comportamenti che la portano a dimenticarsi di un senso di colpa antico e maestoso. I genitori sono persi nella consapevolezza di aver fallito nel loro matrimonio e Laurel si nutre di tutto ciò che le racconta la sorella idolatrandola, poggiandola su un piedistallo anche se non lo merita, anche se la lascia in balia di una mostruosità. E non ci sto a questo silenzio assenso, a questo colpevolizzare e colpevolizzarsi in nome di un sentimento che non dovrebbe esistere. Le lettere, un corollario di informazioni sui suicidi di personaggi famosi. Temi scomposti, messi insieme dalla mente frenetica di Laurel, superficiale e incapace di far altro che lamentarsi. Tutti soffriamo, ma quello che conta è mettersi in gioco, smettere di lasciarsi prendere dalle proprie lacrime e dall’influenza di altre persone. Anche le amiche della  ragazza, Natalie e Hannah, che lottano per comprendere la propria sessualità, sono solo abbozzate e lasciate a languire in un brodo di tentativi falliti e scarsa comprensione.

Sono rimasta sconvolta dall’incapacità dell’autrice di seppellire tutto sotto una valanga di perbenismo e personaggi che restano indissolubilmente sempre gli stessi. Laurel è sempre lei, con il suo morboso attaccamento all’infanzia e quell’incapacità di affrontare la vita senza una stampella a cui appoggiarsi. Prima May e poi Sky, che si presta ai suoi giochi emotivi, anche lui macchiettisticamente rappresentato a memoria di tutti i  ragazzi intenzionati a non sporcarsi seriamente le mani e che scappano di fronte alle lacrime.


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