Luca Bianchini è un personaggio anomalo nel popolato mondo degli scrittori italiani. Estroverso, loquace, sorridente, non ha nulla dell’intellettuale richiuso nella sua torre d’avorio a cui le parole escono con il contagocce. Il suo ultimo romanzo, Io che amo solo te (Mondadori), titolo romantico tratto da una vecchia canzone di Sergio Endrigo, sta riscuotendo i favori del pubblico e lui non nasconde la sua soddisfazione.
Lo incontro a Torino, sua città natale, in occasione del Salone del Libro dove, con Benedetta Parodi, ha presentato la sua ultima fatica. È domenica mattina e Bianchini è reduce da una delle tante feste che animano le notti torinesi durante la kermesse letteraria ma, nonostante le scarse ore di sonno, si mostra subito disponibile alle chiacchiere. Intervistarlo è un piacere perché, da conduttore di programmi radiofonici qual è, non lesina le parole e la conversazione è vivace proprio come lo sono i suoi libri, cinque dal 2003 a oggi. Romanzi che parlano di gente comune e allo stesso tempo unica, vicini della porta accanto, ciascuno con la sua storia peculiare. Sono tante le persone che si muovono tra le frizzanti pagine di Io che amo solo te, storia dedicata a un pomposo matrimonio fra due giovani pugliesi, con i suoi retroscena, fatti di amori, litigi, ripicche e riappacificazioni. Un libro divertente, come il suo autore. Con buona pace di qualche critico.
Io che amo solo te, un titolo romantico per un romanzo irriverente che parla di amori complicati. Ma tu nell’amore ci credi o no?
Ci credo anche se non so bene cos’è. La mia dannazione è non riuscire a inquadrarlo. In ogni mio libro ce n’è tanto. Provo a capire quello materno, fraterno, eterosessuale, omosessuale e no, non lo capisco, perché l’amore cambia continuamente e tu non riesci ad acchiapparlo mai, ne segui “l’odore”, la scia. Ecco, mi piace raccontare la “scia dell’amore”.
Nel romanzo dici che “ogni amore custodisce un segreto. E solo alcuni non ne hanno timore: gli adolescenti, gli anziani e i disperati”. Perché ne sei tanto sicuro?
Quando si scrive un po’ si provoca il lettore. Io credo che un segreto possa essere anche solo una tentazione che rimuovi ma tu sai di averla avuta. A parte le prime settimane d’innamoramento, in cui si vive con l’immagine dell’altro in mente 24 ore al giorno, poi la vita ti tende sempre qualche tranello e tu puoi anche essere bravo a schivarlo, ma quel tranello ti ha tentato, l’hai visto, e quello resterà un tuo segreto. In questo senso tutti gli amori ne hanno.
Luca Bianchini al Salone del Libro di Torino dove ha presentato Io che amo solo te con Benedetta Parodi
Tu sei torinese, cosa ti ha ispirato questa ambientazione tutta pugliese Davvero credi che intorno a un matrimonio ci siano ancora tutti questi riti, queste ingerenze familiari, insomma questo folklore?
Io non volevo fare una dissertazione sul matrimonio, ma mi piaceva l’idea di raccontarne uno. Così ho scoperto che di matrimoni come quello che descrivo che ne sono tanti e, anzi, ce ne sono anche di più “carichi”. Io penso che il matrimonio sia una festa e di feste ce ne sono di tanti tipi. Un tempo io non mi sarei mai buttato in un “trenino”, mi sembrava una cosa così kitsch, invece poi ho capito che il trenino unisce le famiglie. Soprattutto in alcuni posti del Sud dove spesso i parenti hanno discussioni, il matrimonio può essere un’occasione per fare pace. È un evento catartico e per questo tutti lo vivono con grande tensione, perché è una prova davanti alle persone e davanti a se stessi; si vuole dimagrire, apparire più belli, tutti cercano di dare il meglio.
Di tutti i personaggi, che sono tanti, qual è quello che ami di più?
Ninella perché è la prima che mi è venuta in mente. Una donna che sa aspettare. Noi crediamo sempre che in amore vince chi fugge, invece spesso vince anche chi sa essere paziente come lei. Poi, mi piace molto anche Nancy. In realtà, però, io voglio bene a tutti i personaggi che racconto, se no non ne parlerei. Anche Matilde, che tratto un po’ male, mi fa tenerezza, perché è la seconda scelta di suo marito, eppure sa stare al suo posto, si accontenta. In fondo, non possiamo essere tutti protagonisti ed è bello che ci sia qualcuno che sappia accettare di essere una riserva. Per me il romanzo è come una festa. E se io ti invito alla mia festa, devi avere almeno una piccola occasione per metterti in luce, devo trovare un po’ di tempo per te anche se hai un ruolo minore.
Ti capita di arenarti davanti allo schermo? In quel caso cosa fai per sbloccare l’ispirazione?
Sì, mi capita, eccome! Dopo i primi cinque capitoli di Io che amo solo te, mi sono dato del pazzo. Era un casino. Mi è capitato lo stesso con il mio primo romanzo, Instant Love. In quel libro avevo avuto l’incoscienza di “invitare” personaggi in continuazione, era un delirio. Ho dovuto farmi degli schemi per non perdere le fila. Lo stesso vale per Io che amo solo te. Però, mi sono detto che in un matrimonio è normale che ci sia tanta gente e un bel po’ di confusione. Quello che mi ha stupito è che i lettori mi dicono che, nonostante tutto, non si perde mai il filo. Io faccio un grande lavoro anche sui nomi. All’inizio, per esempio, avevo dei dubbi perché Nancy e Ninella avevano la stessa iniziale. Ma poi non ho cambiato nulla perché sono troppo diverse per essere confuse.
Quanto ti ha aiutato il lavoro dell’editor?
Io ho una editor molto severa che mi ha fatto lavorare duramente soprattutto sulla parte del pranzo di nozze. Io, in quel punto, avevo paura di annoiare ed ero andato un po’ più veloce. Invece, lei mi ha detto: “Io voglio stare a quel pranzo!”, così ci ho lavorato molto.
Giochiamo a fare il casting per un film tratto da Io che amo solo te:
Emma Watson. Bianchini le assegna il ruolo di Chiara (Immagine presa qui)
Chiara: Emma Watson (ma con i capelli lunghi)
Riccardo Scamarcio. Per Bianchini l’attore ideale per impersonare Damiano (sempre che abbia le occhiaie). La foto è stata presa qui
Damiano: Riccardo Scamarcio con le occhiaie segnate. (Mi raccomando scrivi con le occhiaie!)
Ninella: Margherita Buy
Don Mimì: Kevin Spacey
Matilde: Stefania Sandrelli
Nancy: Uff… per lei dobbiamo fare un casting!
Glen Blackhall. Potrebbe interpretare Orlando, il fratello gay dello sposo. (Immagine presa qui.)
Orlando: Glen Blackhall
Gli faccio notare che non è biondo e angelicato come il suo personaggio ma mi risponde che è bello e lui vuole solo gente bella…
Tu hai scritto tanto negli ultimi anni, ma hai fatto anche altri mestieri. Che cosa ha scatenato lo scrittore che è in te?
Lavoravo come copywriter, poi un giorno lessi la sceneggiatura del film Santa Maradona di Marco Ponti, un amico. Quella lettura mi fece capire il meccanismo che ti permette di portare la tua esperienza personale nella finzione. Io sapevo di saper scrivere bene, ma soltanto dopo aver compreso questo meccanismo mi è venuta in mente la prima storia nel giro di tre giorni. Avevo 30 anni, avevo assorbito tante cose che potevo raccontare. Ecco perché credo che spesso il primo romanzo sia il più bello. Perché è quello in cui tu “butti fuori” tutto quello che hai accumulato, mentre dopo, per quanto tu possa aspettare, “il frigo” delle esperienze l’hai svuotato. È difficile dire bene una cosa che hai già detto bene una volta. Però con l’esperienza si impara.
Sei metodico quando scrivi?
Sì, compatibilmente con la vita che faccio. Viaggio spesso. Nei fine settimana devo andare a Roma per lavorare in radio e Vanity Fair a volte mi manda in giro per il mondo. La mia condizione ideale per scrivere è avere un posto in cui ci sia luce, musica e dove non ci sia nessuno. Devo avere una casa vuota, fatico a scrivere se c’è qualcuno vicino. Anche se in realtà alcuni capitoli di Io che amo solo te sono riuscito a scriverli in posti strani, da una stanzetta di un convento a un bar mentre pioveva, e forse la storia riflette il fatto di essere stata scritta in un momento molto disordinato della mia vita, in cui concentrarmi mi era difficile. In ogni caso, la situazione più felice per scrivere per me è quando ho una bel panorama davanti. E mi è capitato proprio con questo romanzo che ho scritto in parte a Polignano, in una bellissima casa a picco sul mare. Per questo il mare e il maestrale entrano tanto nella storia, perché entravano proprio in casa. Sono convinto che la bellezza dei luoghi in cui scrivi è importante.
Quando non scrivi, come ti rilassi?
Ultimamente, purtroppo, mi rilasso poco, però a me piace molto uscire a cena con gli amici. Può essere una cena a due, quattro, sei, anche otto se il tavolo è tondo. In solitudine, invece, adoro passeggiare al mare. Parlo tanto per cui mi piace stare zitto e “sentire” il silenzio intorno a me. E poi mi piace sparecchiare la tavola dopo la festa; mi rilassa quel momento in cui togli le cose…
(Invitato a farlo anche a casa mia precisa che la festa deve essere la sua… peccato!).
Se oggi ti chiedessero di scegliere tra la radio e la scrittura?
La scrittura senza dubbio. Perché quando scrivo sono libero al 100%. Ho un editore che mi dà totale libertà, scrivo dove e quando voglio e soprattutto quello che voglio. Scrivere ti permette di creare mondi.
Foto ricordo per la mia “collezione” di scrittori
Se tu fossi un critico letterario e dovessi trovarti un difetto come scrittore, quale sarebbe?
Lungo silenzio perplesso…
Oddio, come vedi la presunzione dello scrittore mi mette in difficoltà, perché uno pensa sempre di scrivere bei libri e non avere difetti. Be’, forse il mio difetto è che non sempre ho il coraggio di scrivere finali netti. Mi rendo conto che a volte sono un po’ codardo. Non in questo romanzo, ma in Se domani farà bel tempo, sapevo che la fine era un’altra, ma non ho avuto il coraggio di scriverla. Dopo sì, sono migliorato.
E il pregio?
Il fatto che non scrivo pensando ai lettori, non penso a quello che va di moda. Scrivo pensando alla storia, ma non per compiacere qualcuno. Ma il vero pregio che mi riconosco è che scrivo storie sempre diverse, cosa che non tutti fanno.
Il successo ti ha cambiato?
No, perché ho avuto la fortuna di avere un piccolo successo, non un successo travolgente e non mi sono arricchito, che è la vera variante. Sono due cose a fare la differenza: la popolarità e la ricchezza. Se cammino per strada la gente non mi ferma e questa è una bella cosa. Ci tengo al fatto che i miei libri abbiano successo, ambisco a venderne tanti, ma vorrei rimanere uno di cui pochi conoscono la faccia, perché è la riconoscibilità che ti cambia. È lì che forse cominci a scrivere quello che la gente vuole e io non vorrei arrivarci.
Qual è il tuo prossimo sogno da realizzare?
Forse davvero scalare la classifica. Anche se è bello inseguirla. Ora sono al sesto posto e mi piace l’idea di restare lì e di dire “col prossimo libro devo andare più su”. Essere il numero uno mi piacerebbe, lo so, sono vanitoso e non lo nego. Non sopporto i finti modesti. Perché poi sono i più invidiosi. Le invidie si manifestano sempre con il silenzio. Ieri a una cena c’èra chi mi faceva i complimenti e altri che, pur avendo visto la classifica, non mi hanno detto nulla. Non che io non sia invidioso a volte; credo che l’invidia sia un sentimento umano, ma ho imparato che si supera dichiarandola. Io, per farti un esempio, a Paolo Giordano dico sempre “ma questi due numeri primi un po’ sfigati… come possibile?” E lui ride, ride…
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