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Luca Boschi intervistato da Popsophia: “O combatti o scappi (oppure ridi)”

Creato il 29 agosto 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

È con una riflessione sul mondo del fumetto che si è aperta la quattro giorni che Popsophia, unica associazioni in Italia che si occupa di pop filosofia, ha organizzato a partire dallo scorso 29 agosto 2013 al Castello della Rancia di Tolentino. 
Popsophia rielabora l’aforisma di John MorreallO combatti o scappi (oppure ridi)”, tema della 27° Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’arte, e focalizza la propria attenzione sulla congiunzione disgiuntiva “oppure”. 
Oltre al riso come scappatoia risolutiva del vivere spesso oppresso dalla logica binaria del combattere o del fuggire, ci sono altre strategie umane per risolvere le difficoltà del quotidiano?  

A provare a rispondere a questo interrogativo, prima tra tutti è la nona arte. Tra i tanti nomi chiamati ad intervenire, scorrendo il programma alle 19.30 della giornata inaugurale compare . Non servono presentazioni per gli amanti del genere. Ex direttore di Lucca Comics, oggi direttore di Napoli Comicon, blogger del Sole24ore con il suo “Cartoonist globale”, sceneggiatore, disegnatore, giornalista e tra le altre mille cose curatore di molte pubblicazioni targate

Luca Boschi intervistato da Popsophia: O combatti o scappi (oppure ridi) Walt Disney Topolino Luca Boschi
“O combatti o scappi, oppure … disegni” cioè costruisci una realtà altra creando un mondo immaginario fatto di elementi realistici o fantastici… Questo potrebbe essere il terreno del fumetto. È così? E se lo è, si tratta di una fuga, di una lotta o di cosa?
Di un modo per intervenire, nei limiti delle proprie possibilità e capacità, nella cultura del proprio tempo. Tutt’altro che una fuga in un altro spaziotempo; come il cinema, la musica e altre arti espressive non può essere staccata dal contesto in cui nasce. Creando dei personaggi, scegliendo di scrivere o disegnare storie in un modo anziché in un altro, si crea cultura… in quel modo anziché in un altro. Lo stesso penso di fare quando valorizzo degli autori ponendoli all’attenzione di chi è disposto a prestargliela. È questa la ragione per la quale curo dei volumi, scelgo i contenuti dei sommari con dei criteri precisi… da combattente.

Un tratto iniziale dei primi fumetti è sicuramente quello umoristico. Penso a Bibì e Bobò, a tutte le storie Walt Disney e al nostro Bonaventura. Ad oggi come è cambiato il senso dell’ironico nel fumetto?  
Penso che ci sia una logica continuità fra il (buon) modo di fare umorismo all’inizio del Novecento e oggi. Forse, essendoci meno censura, si può spaziare in campi prima ritenuti inopportuni, ma la tecnica della battuta è la stessa, nei fumetti, nelle vignette come negli sketches teatrali o televisivi, come si può facilmente verificare tramite la montagna di repliche estive somministrate dalla Rai.

Restando in tema Walt Disney, le nostre storie Disney hanno rappresentato nel tempo l’evoluzione dei nostri gusti, delle nostre consuetudini e anche della nostra educazione. Il fumetto Disney, in questo senso, rispecchia il nostro Paese e lo differenzia dagli Usa. Come diresti che è cambiata la definizione dell’Italia che traspare dalle vignette?
Direi che questa “italianità” dei fumetti Disney creati nello Stivale si sia felicemente perduta da tempo. Anche nel Dopoguerra, con Maestri come Romano Scarpa, Luciano Bottaro o Giovan Battista Carpi, le loro opere avevano caratura internazionale, non soffrivano di provincialità nemmeno quando raccontavano fatti e personaggi a noi vicini. Queste caratteristiche erano rispecchiate soprattutto nelle storie di autori meno calati nel mondo Disney e più vicini ad altre testate tutte made in Italy, come Tiramolla, Soldino, Oscar, Cucciolo e così via. 

Al di là dell’ironia, il fumetto apre mondi di introspezione e di “estroversione”… Giorello scrive ne “La filosofia di Topolino”: “l’accoppiamento giudizioso di parole e immagini può essere una eccellente illustrazione delle idee” Come potremmo non definirla arte? Eppure si fatica a definirla tale. Perché secondo te?
Perché si sospetta molto (per fortuna sempre meno) delle forme di comunicazione popolari. In Italia vigono ancora, in parte, i pregiudizi storici sviluppatisi nei riguardi del Fumetto. Dall’ostracismo formale e anche sostanziale del periodo fascista, si passa alla messa all’indice da parte di educatori ottusi e anche (purtroppo) di politici e giornalisti. Certo, ci sono stati albi disegnati in modo sciatto e scritti male e con superficialità. Ma il medium non deve essere “declassato” per queste ragioni. In Italia può darsi che si fatichi ancora a definirlo “arte”, ma in Paesi più rispettosi ed evoluti del nostro, come la Francia, il Giappone e da sempre anche gli Stati Uniti, le cose stanno diversamente.

Operi nel mondo del fumetto ormai da tempo, e tra le altre cose, sei stato direttore culturale del Lucca Comics e lo sei del Napoli Comicon. Dove sta andando il fumetto oggi? 
In Italia e nel mondo sta diventando sempre più sofisticato grazie ad autori ed editori appassionati, che badano spesso al risultato prima che ai riscontri economici. Secondo osservatori attenti di Oltreoceano (dove i fenomeni nascono e si sviluppano prima che da noi) il Fumetto sta diventando un mezzo di comunicazione elitario, quasi da “bibliofili della nuvoletta”. Non è un processo rapido, ma temo che la direzione sia quella. Purtroppo, solo una parte minima di giovanissimi è interessata a leggere, in genere (e a leggere fumetti nello specifico). Ma non voglio dare l’impressione che siamo giunti al canto del cigno del Fumetto. In Italia, per esempio, non c’è mai stata una tale varietà di fumetti di ogni tipo a disposizione nelle librerie di varia e nelle fumetterie (l’edicola sta soffrendo, ahinoi!).

 Intervista rilasciata ad agosto 2013 

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