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Luca Rinarelli: La gabbia dei matti

Creato il 25 febbraio 2011 da Fabriziofb

Luca Rinarelli: La gabbia dei matti
Come hai fatto a farti trascinare in questa storia? Mi sembri l’unica sana di mente, in questa gabbia di matti”.
In tempi come questi tutti noi dobbiamo fare qualcosa perché gli altri capiscano che le cose devono cambiare”. (1)

Torino, 7 luglio 2010.
Scioccato dalla notizia dell’imminente chiusura -causa taglio dei fondi- della cooperativa che gli ha quasi permesso di tornare alla normalità, Giuseppe “Jack” Bonetti si riattacca alla bottiglia; fermato in zona pre-collina a causa di qualche banale schiamazzo notturno, viene condotto in questura, e qui perde “misteriosamente” la vita.
Le indagini interne escludono ogni responsabilità da parte degli agenti, e il caso viene rapidamente archiviato come decesso accidentale, ma Marco e Daniela -dipendenti della cooperativa e responsabili del tentativo di reinserimento di Bonetti-, per nulla convinti dall’esito dell’inchiesta, decidono di rapire il vicequestore Cagnazzo ed estorcergli i nomi dei colpevoli.
Con il solo aiuto di Cimu, Pietro, Cesco (tre ragazzi problematici coinvolti, con il defunto Jack, in un progetto di convivenza guidata) e dell’anziano ma combattivo ex-legionario Franco Borghi, i due si lanciano in un’impresa disperata. In caso di successo avranno dalla loro, per informare il pubblico, solo la relativa libertà di internet e dei nuovi media; ma chissà che qualche rappresentante della stampa “ufficiale” non sia pronto a raccogliere le loro grida di rabbia…

I lettori di In perfetto orario(2) rimarranno forse stupiti dal mutamento stilistico e narrativo intervenuto nel passaggio dal vecchio romanzo al nuovo: laddove le amare avventure del killer (e “vendicatore popolare”) Werner Hartestein erano positivamente diluite in un racconto malinconico e minuziosamente visivo(3), che trovava nella precisione delle descrizioni ambientali una delle chiavi principali per la costruzione dell’“effetto realtà”(4), i fatti narrati ne La gabbia dei matti riguardano personaggi che -escluso il bipolare Cesco, per costituzione più facilmente vittima delle influenze esterne(5)- si muovono in una sorta di azzeramento sensoriale; personaggi resi come catatonici da una rabbia cieca. E così le pause di riflessione, le brevi divagazioni e le acute parentesi, i cambi di ritmo e di registro che segnavano il passo di In perfetto orario, scompaiono, rimpiazzati da un andamento più serrato e regolare, mentre l’ambientazione si ritrova inevitabilmente relegata sullo sfondo(6).
Le macerie e i cantieri aperti, che nel romanzo precedente svolgevano funzione di “spie” dei rapidi mutamenti economici e sociali (mai politici) in atto nell’“ex-capitale industriale”, perdono il loro valore storico, e divengono raffigurazioni altamente simboliche della volontà distruttiva propria dei protagonisti, ritrovate direttamente nell’“inumano” ambiente circostante.
Ma si tratta di rarissime intrusioni nel blocco quasi granitico dell’azione: per il resto, Torino, testimone della fuga della bella Irina, e co-protagonista dell’opera precedente, traspare, qui, solo nelle pieghe di una narrazione implacabile, tutta giocata sullo iato tra il “dover fare” (quel “fare qualcosa perché gli altri capiscano che le cose devono cambiare” citato in apertura) e il “poter fare”.
E, paradossalmente, l’effetto di questa de-territorializzazione (ricercata stilisticamente, ma per ragioni mimetico-emotive) coincide con un’universalizzazione del caso trattato: la mancanza dei riferimenti sembra voler dire che, indipendentemente dai luoghi, dai nomi, dai volti ecc., qui quello che conta è l’idea.
E l’idea è che -mi si passino le insopportabili eco qualunquiste- l’“Italia” e gli “italiani” (o almeno alcuni italiani) siano arrivati a saturazione; che questo paese si sia trasformato in una polveriera e che certe inspiegabili manifestazioni di violenza poliziesca siano, ormai, talmente mal tollerate, da rendere necessario il controllo dei mezzi stampa per neutralizzare i rischi di spostamento delle masse dalla parte degli ipotetici “terroristi” di turno(7)…

Un Rinarelli irriconoscibile, dunque? Tutt’altro: infatti, oltre e più in fondo delle lampanti differenze stilistiche(che dimostrano, tutt’al più, che, conformemente con il detective della teorizzazione chandleriana, l’autore “parla [scrive] come gli uomini del suo tempo”,  ovvero, essendo la lingua degli uomini del suo tempo fortemente adattabile per stile, lessico e registro(8), se ne serve scegliendo di caso in caso i modi più adeguati alle specifiche esigenze comunicative), i due romanzi rivelano, da un punto di vista largamente tematico, un’anima comune, ravvisabile nella personale “poetica della vendetta” che l’autore va perfezionando. Ed è una vendetta tutt’altro che subdola, quella in oggetto: non una calcolata, borghese compensazione; non un piatto che “va consumato freddo”, ma una reazione “a caldo” alla mortificazione -sempre più frequente in una società sentita come sempre più vistosamente e diffusamente “sbagliata” – dell’umanità e dell’umano senso di giustizia.

In uscita in questi giorni per Agenzia X, La gabbia dei matti, secondo romanzo del torinese Luca Rinarelli, inaugura l’interessante collana Inchiostro rosso – noir di rivolta”, programmaticamente votata alla pubblicazione di inediti “noir a sfondo politico” segnati da una comune ribellione “al presente”.

(1)Luca Rinarelli, La gabbia dei matti, Agenzia X, Milano 2011, p. 64.
(2)Luca Rinarelli, torinese, classe 1975 è autore del romanzo In perfetto orario (Robin, Roma 2009; la mia recensione è leggibile qui), dei racconti Un dia de mayo en Staffolo (in seguito tradotto in immagini dal pittore Giacomo Sampieri; lettura completa e immagini sono fruibili attraverso youtube ) e Karim (in A.a. V.v., Nero Piemonte e Valle D’Aosta, Perrone Lab, Roma 2010), e dei due lavori fotografici La sconfitta dell’uomo meccanico – scatti dall’ex capitale industriale e Romaneide.
(3)Nel recensire il romanzo avevo invocato, per dar conto di questi aspetti, la “formazione fotografica” dell’autore.
(4)Effetto peraltro mirabilmente rafforzato dalla scelta di quella costruzione “eccentrica” (e nel contempo “naturalissima”) che permette al romanzo di prodursi, a dispetto dell’uscita di scena del protagonista, in una lunga coda…
(5) Si veda Luca Rinarelli, La gabbia dei matti, pp. 91-94.
(6)Questo annullamento ambientale causato dalla disperazione è testimoniato fin dall’iniziale “La città giaceva nell’oscurità. Le luci dei lampioni in quel momento sembravano non illuminare nulla”. (Ivi, p. 11).
(7)Mi si rimprovererà, forse, di aver super-interpretato, e di aver tracciato un quadro (più o meno volutamente) eccessivo; ritengo, però, altamente rivelatore il fatto che soluzioni simili a quelle messe in atto dai protagonisti de La gabbia dei matti siano state “comicamente” affrontate nel ben meno rivoluzionario Figli delle stelle di Lucio Pellegrini, e che il pubblico, accorso in sala per fruire di una narrazione decisamente più leggera e dichiaratamente ridanciana (e inoltre sdrammatizzata e depotenziata nei suoi contenuti politici dalla critica che ha voluto farne la cronaca di un’“esilarante e surreale fuga tra le splendide montagne della Valle d’Aosta”), si sia generalmente ritrovato a reagire in maniera tutt’altro che stizzita…
(8)E infatti, fortunatamente, tanti lettori del suo tempo hanno sostituito all’inattuale considerazione del “bello stile”, il moderno criterio dell’adeguatezza/inadeguatezza rispetto al fine.


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