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Lucetta Frisa - Sonetti dolenti e balordi

Da Mauro54

Lucetta Frisa - Sonetti dolenti e balordi LUCETTA FRISA – SONETTI DOLENTI E BALORDI – EDIZIONI CFR
In quest’ultimo libro di Lucetta Frisa è presente una continua tensione tra la relatività dell’esistenza ed il suo enigma, tra la consapevolezza della nostra precarietà ed il mistero abissale, polifonico e metamorfico della realtà.
C’è una volontà insopprimibile di conoscenza, che si esprime in sequenze tematiche vibranti nel loro doppio movimento di luce ed ombra, come in un’esplorazione che mira a scoprire in ogni elemento l’altro, il suo opposto fondante, la sua multiforme e sfuggente identità.
Se il dolore contrassegna il nostro essere qui ed abita “la linea curva vacua” dove viviamo, proprio in mezzo tra irraggiungibili altezze e il regno dei morti, è anche vero che esiste il sogno di Kitez, la città sprofondata nella quale entrare “come risarcimento/al dolore patito in questo luogo/di sopra”.
In bilico tra l’amnesia dell’origine e il dramma dell’esistenza (“Cosa s’impara dalla vita prima/della nascita?A dimenticare/la lezione e reimpararla cadendo/nel dolore modellato dal tempo/che va incontro nella fossa?”), noi stessi siamo la domanda, il sogno e la follia.
Nei versi di Lucetta Frisa c’è un continuo rimando a questi temi che si intrecciano in immagini e parole, ciascuna delle quali svela un mondo altro, aprendo così – come afferma Francesco Marotta nella prefazione – “un vortice visivo, un centro immaginale che raccoglie e recupera voci e volti privi di ogni anteriorità e di ogni futuro”.
Ecco allora che lo sguardo poetico coglie non solo la sfasatura ed il dramma della nostra condizione esistenziale, ma  anche la follia come “protezione dal male della terra” e ricerca nella lacerazione abissale altri squarci, altre luci ed altre ombre, di mistero in mistero, fino all’indicibile, perché “Dio è il silenzio dell’universo e l’uomo/il grido inascoltato che gli dà senso”.
Il dolente e il balordo – inteso quest’ultimo come forma concreta d’indagine conoscitiva e poetica tutta personale, anomala e spiazzante, al di là di quanto può essere codificato dalla tradizione -  costituiscono sì le cifre tematiche e stilistiche del volume, ma anche il punto di partenza e di esplorazione incessante, di interrogazione continua della parola, della sua insonnia e del suo viaggio non programmato ma oracolare ed imprevedibile, capace di accogliere voci, visioni, miti e suggestioni perturbanti, fino al punto in cui inizio e fine misteriosamente s’incontrano.
Ed è proprio la matrice incandescente del dolore (“Il dolore è lava di vulcani”) che sembra unire ogni elemento (“l’immenso/dolore di ogni cosa che scuote l’aria”) e segnare il nostro essere (“dolore che in clessidra si fa sabbia/perché fummo lacrime e poi granelli/di un’unica spiaggia di un unico mare”), dando origine alla scrittura, alla sacralità dei sogni irrealizzabili, all’uscita da noi stessi “per vivere/negli altri nel loro dolore come/nella loro gioia) e cercare un’appartenenza e un’interezza perdute.
L’ultima sezione del libro s’intitola Sole dell’insonnia ed è caratterizzata da una ancor più radicale domanda intorno all’enigma dell’esistenza, nonché dalla consapevolezza di una mancanza o di uno smarrimento ontologico che sembrano sospesi tra silenzio e sogno, tra senso della finitudine e desiderio di una concretezza naturale ed originaria. Si veda la poesia volevo l’estasi, dedicata ad Alejandra Pizarnik: “Volevo l’estasi/il perpetuo orgasmo tra terra e parole/volevo/ il corpo emotivo della bellezza”.
Un libro, questo di Lucetta Frisa, da leggere e rileggere per coglierne ogni volta la voce sotterranea ed ammaliante.
Mauro Germani
da sequenza del dolore

Il dolore ci fa cadere a terra
il corpo abbraccia il corpo della terra
come il bambino abbraccia la madre
e gli arabi si inchinano al dio folle
del Dolore e i russi reclamano
di spalancare il mistero della terra
sigillata sotto di loro e guardare
Kitez, la città bella sprofondata
in inverno da cieco ghiaccio
da pietre ed erba e rovi in estate,
entrare in lei come risarcimento
al dolore patito in questo luogo
di sopra. E pregano – ce l’hai promesso
tu devi darci il paradiso adesso.
da sequenza del sogno

Dentro la sabbia scolpire il fiato
dice Claude Esteban poeta dolente
dolore che in clessidra si fa sabbia
perché fummo lacrime e poi granelli
di un’unica spiaggia di un unico mare
accanto al sogno assoluto dei folli
e dei morti il silenzio inquisitore.
Che significa toccare gli estremi
di sé, il perimetro del cervello?
Attendere il sole come lampada
che passa da muro a muro e rischiara
la loro calce bianca nella notte
creando dei colori la luminaria.
E domani sarà larga tutta l’aria.
da sequenza dell’uscire da sé

Bisogna uscire da sé consegnare
i nervi e i pensieri al nulla che non
ha corpo e non soffre. Subire le offese
farsi strappare abiti e voce e allo specchio
ridere dell’estremo lusso di sé
pensando finalmente sono arrivato
a fine viaggio e sono folle vuoto
di voi e di me, questo è il Paradiso
l’Eden il Nirvana di questa terra
e non ce n’è un altro, un altro di me
non nascerà sono irripetibile
non siamo non saremo più, solo
atomi allo sbando cani sciolti
nell’aria, alleggeriti.
da sequenza dell’inconclusione

In fondo al labirinto quale verità?
Il suono più alto più basso chiamato
silenzio. E’ lì che il mondo inizia a ruotare
e ci trascina via insetti senza ali
controvento? E’ uguale per me il punto
da cui cominciare: là ritornerò
di nuovo. E’ Parmenide a parlare
lui vive a Elèa e ho raccolto
brandelli del suo corpo giunti fino a me
e come lui voglio ascoltare il cavo
suono del nulla e non chiedere
altro che non capisco. Ho bisogno
di consolarmi con quella luce
del sud che in me continua a scintillare.
da Sole dell’insonnia

il sogno è verticale
ha luce
come schiena di foglia
linfa
è materia-terra
canto
soffio
dentro la pietra-
sale e risuona
Il nero nel sottosuolo
tiene il seme del mondo
mi dirai la vita
nasce dalla morte
ti dirò che il buio si apre
se lo penetra il sogno
Ruberò l’udito agli uccelli
per poter ascoltare
chi prende le mie domande
chi il mio pianto  che non è seme di nulla

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