Sera d'estate; 12 giugno in val di Bove. La montagna è nel pieno della sua fioritura tardo primaverile e sulla cresta del M. Bicco, prima che il sole inizi a calare e ad arrossare le masse calcaree che incombono sulla valle, un sottile fischio annuncia un camoscio che si affaccia sopra le ultime rocce. Appare un po' ridicolo per l'ingombrante collare rosso che gli avvolge il collo, ma di cui sembra inconsapevole. Appena accenno a a muovermi per prendere il tele obiettivo con alcuni salti scompare tra le rocce sottostanti. Il momento è perfetto, una fitta fioritura di genziana dinarica ricopre d'azzurro i macereti ai piedi della parete nord del Bicco , le mucche appena salite ai pascoli della val di Bove contribuiscono con muggiti e scampanii a rendere l'atmosfera bucolica e veloci masse nuvolose abbracciano nel loro bianco candore le cime più alte spinte dal vento vigoroso che soffia in quota. Ma ecco che l'armonia del magico momento s'infrange, mentre la luce del giorno si abbassa verso l'ultimo respiro del crepuscolo, al fracasso di due moto che solcano zigzagando i pascoli dell'alta val di Bove. Appena mi vedono i motociclisti si fermano interdetti " c'è uno" si comunicano, facendo trapelare la loro consapevolezza di star infrangendo un divieto e il timore che possano essere identificati. Poi accelerano rabbiosi e imboccata la "Passaiola" scompaiono oltre le rocce della cresta; probabilmente si getterano giù per il canalone in uno di quei raid che sempre più frequentemente e impunemente capita di assistere nell'alta montagna del Parco. Chiamo la forestale per segnalare il fatto,ma consapevole dell'inutilità del gesto. Denunce e segnalazioni fatte più volte, all'ente parco ad esempio, non hanno portato mai ad alcun risultato in merito al contrasto della sempre più ampia diffusione dei mezzi motorizzati in montagna e anzi sempre più forte ogni volta è la sensazione che segnalando tali infrazioni si crei più fastidio che altro.
Perchè questa è la triste realtà, che ormai anche le zone più impervie e gli ambienti più pregiati del territorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, sono magari vietati agli escursionisti e agli alpinisti, ma sono lasciati alla mercè incontrollata di moto (specialmente) ma anche fuoristrada, quad e (in inverno) motoslitte che scorazzano impunemente per ogni dove senza alcuna limitazione. I prati in quota e gli ecosistemi più fragili dell'alta montagna, come ben sanno chi la frequenta da anni, sono solcati dalle carreggiate lasciate a perenne memoria dei danni alla cotica erbosa derivanti dal crescente numero di mezzi che sale fino alle quote più elevate in barba ad ogni divieto poichè ormai tutti sanno che ciò si può fare impunemente. Le moto, ad esempio, ti affiancano rombanti sugli alti pascoli del Monte Lieto e del Patino, durante le escursioni?: l'Ente Parco, al quale invii foto e documentazioni non ritiene non solo di intervenire, ma nemmeno di risponderti: "abbiamo ricevuto ma siamo impossibilitati a controllare il territorio che ci è stato affidato, amen!". In Val di Bove si potrebbe facilmente controllare l'accesso con mezzi passivi (i punti di accessosono obbligati), ma dopo decenni che le moto la percorrono in lungo e largo niente si è fatto.
L'amara constatazione è che la realizzazione del Parco Nazionale dei Sibillini, a questo punto dopo più di un decennio dalla sua costituzione, poco o niente sia servito a risolvere o attenuare quelle problematiche ambientali che spinsero molti, specialmente tra i soci del CAI e di altre associazioni ambientaliste a lottare tenacemente per la sua realizzazione: protezione degli ecosistemi più pregiati, limitazione della motorizzazione in alta montagna anche attraverso il recupero naturalistico e la chiusura delle strade che permettono di raggiungere le alte quote; creazione di un modello economico e di gestione del territorio alternativo a quello che sta distruggendo per mezzo dell'urbanizzazione selvaggia le aree collinari e costiere della nostra regione. Se quest'ultimo aspetto nei Sibillini non ha raggiunto l'intensità di altre zone è solo per la scarsità di popolazione che ancora vive in montagna e di mancanza di attività economiche intensive, ma tutto il resto è rimasto com'era, anzi peggiorato a causa dell'attrattiva indotta dal Parco. Lungi dallo stimolare una fruizione turistica sostenibile, esso sembra esser diventato uno specifico attrattore del peggiore turismo di massa come l'invasione primaverile di auto e camper sui piani di Castelluccio, il degrado estivo dei laghi di Pilato e di altri "topos" come le Pisciarelle, l'Ambro e così via. Ora quel turismo degradante sta debordando oltre il limite delle strade di penetrazione e sempre più prepotentemente invade quegli spazi della natura e quegli ambienti peculiari che furono creduti così importanti da giustificare, allora, la creazione di un parco nazionale che li conservasse integri: nell'incredibile inerzia degli organi preposti alla loro salvaguardia.