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Luci, ombre e bollette pagate

Creato il 01 giugno 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Ci sono giorni che il cuore piange, e non dobbiamo farci distrarre dalle sigle dei cartoni animati che guardano i nostri figli, o dai bei posti in cui potremmo finire per aver comprato lo spazzolino giusto al momento giusto. Quei giorni il cuore piange perché noi non sappiamo farlo, abbiamo perso l’uso, ce ne vergogniamo, non vogliamo accendere sirene nelle notti degli altri. Nel mio caso questo cuore piange anche se io da anni non riesco a piangere per nessun motivo che non sia morte. E non è una metafora rubata alla penna di Sparks, il cuore piange davvero. Lo sento. Perde qualcosa che non sono lacrime, perde appigli che s’era costruito per ancorarsi alle “cose” e alle persone, perde speranza, con facilità scivola tra lo stupore  e la rabbia, brucia mentre lascio la mia eredità su Instagram, mentre penso al vero peso di cose che non sento più e prendo respiri con la tratta sempre più lunga.

Hai fatto il check-in un piede alla volta

una tempesta alla volta

ormonale,

extratropicale

di neve e umori

elettrica.

Il tuo viso si è acceso quando hai spento il display del telefono

e ti ho sollevato la gonna leggera

che faceva caldissimo

per andare a vedere le luci del mondo accese contemporaneamente

che filtrano dal  nostro sorriso, quel quasi. Amore.

Ci hanno messo insieme, L7 con M4, come pezzi dell’Ikea, altro che colla la forza di sorrisi. La garanzia scade, precisano, se esposti alla Bora di Trieste. Senti, prima di fare piani a lunga scadenza aspettiamo che ci facciano una vita a lunga conservazione. Passami l’antinfiammatorio. In attesa del sole paghiamo il pagliaccio, l’abbonamento Sky dei bar, l’affitto alle nuvole. Ma non ti preoccupare dei soldi. Quelli come noi sono così belli che si studieranno nei migliori corsi di Storia Moderna e Contemporanea della Bicocca. Vivremo di glorie. Ognuno con le sue Salerno-Reggio Calabria infinite che ci tagliano il petto. Con le sue escursioni, termiche sopratutto, e mali che sono uguali ad altri ma solo in scala.

C’è chi riempie stadi, chi riempi quaderni. Vorrei sapere cosa hai scritto di me in quel quaderno. Anche dalla terza fila settore A.

Il tempo risucchia i pensieri, è peggio di un innamorato, non ti da il tempo di far succedere le cose come vorresti. Te le presenta e ti dice che son tue. Fendo il buio artificiale di queste bollette non pagate per non guardare le cose come non vorrei. Tutti i bambini pensano che si possa scegliere. Poi sceglie Papà, il marito, il datore di lavoro, lo Stato, l’Enel. E qualcuno ti ricorda sempre che devi fare la tua parte. La guardo in faccia, con la faccia del bambino che pensa di scegliere. “Tu quanta batteria hai ancora”? Per farmi girare il mondo. Non c’è bisogno che lo dica, lei sa.

Non è ancora abbastanza mattina, noi abbracciati nel freddo, con cerotti che si attaccano più ai vestiti che alla pelle, in letti diversi. Un pensiero.

– Ti vorrei abbracciare e piangere.

– Perché piangere?

– Perché si piange solo dove ci si sente al sicuro.

Un pensiero. Essere “così” e il suo viceversa.




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