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Creato il 31 luglio 2012 da Indian

Lezioni condivise 67 – A passion play

Ricostruire le origini certe della Sacra rappresentazione è un po’ come cercare la vera sorgente del Danubio, non per questo si deve evitare il ragionamento, ricercare almeno una base di discussione. D’altra parte il rischio, per questo genere di passeggiate, è che ci portino fino al paradiso terrestre e anche qui avremmo il dubbio del se la genesi sia sacra o profana.

Non spingendoci oltre l’antica Roma possiamo tuttavia già isolare dei significativi elementi e affermare che questo genere drammatico che si sviluppa nel lunghissimo periodo medievale, si forma attraverso la complessa contaminazione con le manifestazioni profane e civil religiose (pagane) di epoca romana, iniziate già 300 anni prima di Cristo.

Un elemento fondamentale è certamente la Fabula, che fin dal tempo dell’antica Roma designava ogni genere di rappresentazione teatrale di carattere collettivo, popolare, organizzato dallo stato stesso nell’ambito dei ludi pubblici. Gli attori, esclusivamente maschi, erano quasi tutti schiavi o liberti, recitavano anche le parti femminili. Anche gli autori erano di bassa condizione sociale e nessuno di loro era romano.

Le autorità esercitavano sulla fabula una censura preventiva, controllando ciò che si metteva in scena.

Altro elemento è il corteo, curiosamente coinvolto nel discorso sotto diversi aspetti afferenti il suo significato, piuttosto dinamico se si va dall’etimologia fino agli ancora attuali cortei studenteschi/operai/femministi e via dicendo o le processioni dei santi, tutte rappresentazioni, manifestazioni.

In realtà il corteo, ha a che fare con la corte, il recinto, le mura che circondavano la rocca su cui si ergeva il palazzo del re, il cui seguito fu anch’esso denominato corte; il corteo è la corte che si muove o sta anche ferma e fa compagnia, accompagna. La fabula si sposta dalla strada o dal teatro a corte, davanti al trono da cui il re vi assiste circondato dal suo seguito.

Impossibile fotografare tutte le interferenze, diramazioni e intersecazioni che hanno riguardato il fenomeno. Dall’impasse usciamo con una scena posteriore, millenaria, di un corteo che si snoda in pubblico, con le portantine trasportate dalle Confraternite e che è parte di una fabula, ove lo spettatore è anche attore. Questa manifestazione non si svolge a teatro ma a corte. Partiamo da qui con la fusione di tutti gli elementi originari della sacra rappresentazione: la fabula, il corteo, l’elemento sacro, il luogo ove si svolge.

Ma tutto ciò è complementare, contorno, la Sacra rappresentazione è in realtà un genere letterario di argomento religioso che allo stesso tempo trae ispirazione dal dramma liturgico (la cui etimologia rimanderebbe ancora al popolo, ma il cui uso corrente, religioso, significa per Dio) e in un altro contiene il dramma liturgico stesso, quello della passione, che si sviluppa agli albori delle letterature nazionali europee e ha aspetti differenti da nazione a nazione.

La prima sacra rappresentazione viene considerata il Jeu d’Adam , ed è precedente al Duecento. Dello stesso genere dei jeux (rappresentazione), sono i miracles e i mystère, che ebbero poi il soppravvento. In Italia la Sacra rappresentazione è legata alle Laude e paradossalmente per questo meno legata ad ambienti clericali e più popolari.

Nel nostro immaginario la Sacra rappresentazione ha fermato il tempo, eppure la spettacolarizzazione ne ha forzato confini e apportato delle modifiche alla tradizione, nel tentativo di rendere tattile il mistero, anche la liturgia ne viene investita con la frammentazione del Passio, il venerdì santo, non più letto dal solo celebrante, attore, cristo, che esercita l’actio, mentre i chierici e altri (sempre escluse le donne, salvo novità tardive) rappresentano il dramma, passio, narrazione, folla. I chierici vestono in albis come nella Roma antica.

La sacra rappresentazione entrò dunque nella liturgia o viceversa, non era più un dramma sacro, si era trasformato a tal punto da essere laicizzato. Così, sebbene queste rappresentazioni paraliturgiche avvenissero dentro la chiesa, la chiesa come istituzione proibì ai chierici di parteciparvi. Il secondo passo fu estromettere le sacre rappresentazioni dalle chiede. Il pretesto fu che vi partecipava una folla troppo numerosa da non poter essere accolta degli edifici sacri, ma non si trattava di soluzioni fisiche, il problema vero fu che la chiesa si accorse di non riuscire più a controllare quella sua creatura.

Così con gli Acta Nodarum, anche i Vescovi sardi che impedirono questi atti (compresi i canti a tenore e i balli sardi). A Cagliari si conserva memoria di una commedia pubblica del 1618, in piazza palazzo.

I divieti attraggono e la rappresentazione del Passio andò diffondendosi tra i trovatori, menestrelli e giullari. Dopo alcuni decenni questo fenomeno diventò adulto e autonomo, venne adottato dalle corporazioni e si trasferì nelle vie del paese, nelle campagne…

All’ora nona di venerdì santo la processione parte, si snoda per le vie del paese, fino a percorrerle tutte. Gli attori sfilano a testa bassa in abiti scuri, qualcuno ha della cenere in testa in segno di penitenza, qualcuno è scalzo. Davanti al corteo sfila la portantina su cui è disposto il Cristo morto, pallido di grandezza naturale e il volto rigato di sanguee il capo incoronato di spine, retta da is cunfradis salmodiantivestiti di tuniche con cappuccio munito di buchi per gli occhi… Lungo il percorso i balconi e le finestre erano gremiti di gente che si segnava al passaggio…

Tutto il mondo della sacra rappresentazione si trasferisce nella scena popolare, dopo un percorso movimentato e ai giorni nostri, le processioni ripercorrono lo stesso itinerario antico. Il pubblico è sempre anche attore. La sacra rappresentazione è ora un fatto completamente laico, reale, “concreto”, la città diventa spazio scenico di mimesis, rappresentazione.

(Storia del teatro e dello spettacolo – 5.2.1997) MP

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