Lugo non è città di transito, Lugo è meta. Mi ha accolto in un giorno soffice di nebbia e mi si è svelata un poco alla volta, senza sfacciataggine. Mi ha attratto con un’insegna, quella del Caffè letterario, e il Caffè mi si è offerto come fosse un’oasi nel deserto. Non che Lugo sia un deserto. Tutt’altro. E’ gremita di uomini, di cose, di memorie. Mostra con comprensibile orgoglio il “Pavaglione”, sotto il cui porticato i commerci hanno dettato legge per qualche secolo; custodisce come un bene di famiglia il monumento a Francesco Baracca, che sarà un pochettino enfatico, ma è entrato nella sensibilità di ciascuno con il punto esclamativo della sua ala rivolta al cielo come un’invocazione o una sfida. Tuttavia l’idea che il Caffè sia un’oasi non si lascia scacciare. Poiché ha a che fare con il libro, l’oasi dovrebbe essere tutta mentale. Invece non è così. E’ vero: al Caffè letterario si discutono romanzi e saggi, si analizzano scritture, rimbalzano idee e visioni del mondo. Ma il Caffè letterario è anche sostanza concreta. E’ accoglienza e incontro, è il “punto G” di una comunità che sembra darsi appuntamento anche per riflettere su se stessa e ricordare se stessa. E’ questa l’impressione che ne ho tratto. E poiché ci troviamo a vivere in una dimensione così frantumata e spesso frastornata, i Lughesi sembrano considerare il Caffè letterario un luogo di costruzione o di ricostruzione. Certamente sarà merito di chi, nel corso degli anni, ha dato identità alla manifestazione e vi ha profuso energia e passione, ma il merito forse andrà condiviso con chi accorre, ascolta, partecipa senza temere di mettersi in gioco. E’ questo raro intreccio che giustifica l’oasi. E’ per questo motivo che si lascia Lugo con il desiderio di tornarvi. Prima o poi. di Osvaldo Guerrieri
"Lugo non è città di transito" di OSVALDO GUERRIERI
Creato il 16 dicembre 2013 da CaffeletterariolugoLugo non è città di transito, Lugo è meta. Mi ha accolto in un giorno soffice di nebbia e mi si è svelata un poco alla volta, senza sfacciataggine. Mi ha attratto con un’insegna, quella del Caffè letterario, e il Caffè mi si è offerto come fosse un’oasi nel deserto. Non che Lugo sia un deserto. Tutt’altro. E’ gremita di uomini, di cose, di memorie. Mostra con comprensibile orgoglio il “Pavaglione”, sotto il cui porticato i commerci hanno dettato legge per qualche secolo; custodisce come un bene di famiglia il monumento a Francesco Baracca, che sarà un pochettino enfatico, ma è entrato nella sensibilità di ciascuno con il punto esclamativo della sua ala rivolta al cielo come un’invocazione o una sfida. Tuttavia l’idea che il Caffè sia un’oasi non si lascia scacciare. Poiché ha a che fare con il libro, l’oasi dovrebbe essere tutta mentale. Invece non è così. E’ vero: al Caffè letterario si discutono romanzi e saggi, si analizzano scritture, rimbalzano idee e visioni del mondo. Ma il Caffè letterario è anche sostanza concreta. E’ accoglienza e incontro, è il “punto G” di una comunità che sembra darsi appuntamento anche per riflettere su se stessa e ricordare se stessa. E’ questa l’impressione che ne ho tratto. E poiché ci troviamo a vivere in una dimensione così frantumata e spesso frastornata, i Lughesi sembrano considerare il Caffè letterario un luogo di costruzione o di ricostruzione. Certamente sarà merito di chi, nel corso degli anni, ha dato identità alla manifestazione e vi ha profuso energia e passione, ma il merito forse andrà condiviso con chi accorre, ascolta, partecipa senza temere di mettersi in gioco. E’ questo raro intreccio che giustifica l’oasi. E’ per questo motivo che si lascia Lugo con il desiderio di tornarvi. Prima o poi. di Osvaldo Guerrieri
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