Oltrepassammo Ponte Stazzemese, prendemmo la stradina a sinistra, salendo per la montagna passammo attraverso i paesi di Cardoso e di Volegno e arrivammo nella piazzetta di Pruno. Un paese pulito, forse il paese più pulito d’Italia insieme a Martina Franca in Puglia.
Le facciate delle case erano bianchissime, tutte tirate a calce, oppure rosate e gialline; le donne uscivano nelle stradine strette e davano il cencio per terra, come se lo dessero nella cucina o nel tinello. I vecchi seduti sulle panchine di marmo mettevano la cenere dei sigari dentro le scatole vuote dei cerini, per non buttarle per terra.
Monte Forato
Ci sedemmo al tavolino di una trattorietta in cima al paese, proprio sotto il Monte Forato. Eravamo al centro di una conca azzurra e verde, nel punto in cui sembrava si riunissero le falde del Matanna, del Monte Croce, del Monte Forato, della Costa Pulita, della Pania della Croce, del Pizzo delle Saette, del Corchia.
Era mezzogiorno pieno, tutte le valli erano illuminate da un bagliore fisso, continuo, incandescente: le ombre erano nettissime. I paesini, i piccoli cimiteri lontani avevano i luccichii del metallo, in mezzo alle grandi estensioni dei pini, dei castagni, dei noccioli che apparivano circondati da intensi aloni di calore e di splendore, come da nimbi di santi.
( Luigi Testaferrata, da “L’Altissimo e le rose”, 1980 )
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