Mentre io ero assoggettata al mio universo emotivo, Lui, l'uomo di casa, l'essere razionale per eccellenza si ostinava a portare avanti la sua dura battaglia per dimostare che è possibile mantenere un dignitoso rapporto di normalità con la vita quotidiana, anche in condizioni d'instabilità e di emergenza come quella che ci siamo trovati a dover affrontare.
Io facevo il bello e il cattivo tempo, Lui ritesseva i fili di una matassa che io mi divertivo (oh come mi divertivo) a ingarbugliare e confondere continuamente. Io vivevo assurde e inaspettate altalene emotive, Lui raccoglieva i pezzi, gli stralci di conversazione, i frammenti di paure irrazionali e dubbi atavici e cercava di ridargli un ordine e un senso. Io ero centrata e focalizzata su un obiettivo preciso, Lui faceva di tutto per continuare ad assomigliare a un essere umano, capace di guardare ancora con interesse al mondo circostante, curioso di quello che accade lì fuori, per regalarci momenti di svago.
Lui era la parte pratica, la costante razionale, io la componente emotiva, impulsiva e sognatrice.
Lui era l'occasione di uscire da me stessa e dai nostri drammi, era la possibilità per la nostra relazione di non implodere su stessa e mi ricordava l'importanza di alimentare le nostre passioni comuni per non perdere di vista la vita al di là di un figlio. Ma non lo faceva in modo plateale, esplicito bensì, più come un sussurro, il suo operare era da dietro le quinte: silenzioso e costante. Per questo troppo spesso non me ne sono accorta, ho equivocato e frainteso, non ne ho compreso l'importanza e il valore.
Io lo volevo presente, capace di entrare in risonanza con le mie parole, in immediata corrispondenza emotiva con me e con il mio vissuto. Io lo volevo empatico, capace di sentire quello che sentivo io, nello stesso momento.
Lo volevo complice delle mie messe in scena, dei miei teatrini interiori.
Lui invece prendeva le distanze dal mio modo, preferiva rimanere in superficie e non scendere in quegli abissi. Stavo male, la chiamavo incompatibilità, indifferenza, incomunicabilità, incomprensione.
Ma questa diversità invece è stata una ricchezza, la nostra salvezza. Il suo senso pratico ha arginato il mio fiume in piena, mi ha offerto le coordinate di riferimento, i confini entro i quali le cose possono accadere e continuare a muoversi senza spargimenti inutili di sangue. Oggi mi rendo conto che se Lui avesse vissuto le cose al mio stesso modo, con lo stesso pathos e lo stesso trasporto, con quell'insana teatralità e quell'intensa drammaticità, io non so dove saremmo ora. Comprendo oggi quanto quel suo agire in modo pratico, il suo non farsi sopraffare dalle emozioni, abbia permesso a me di muovermi in tutta sicurezza e libertà nel mio universo interiore, sondarlo ed esplorarlo, scendere e risalire a mio piacimento, sicura del fatto che lì fuori c'era Lui, saldo e ben piantato coi piedi a terra, a occuparsi di tutto il resto mentre io svolazzavo per aria, o navigavo i miei mari, facile preda sia dell'entusiasmo che dello sconforto. E' stato il porto che accoglie e offre sicurezza e riparo.
Non ha usato il mio linguaggio, fatto di aria, metafore e astrazioni, viscere, carne e sangue, ma ha usato il suo, che è fatto di terra, materia, acqua, che evoca in me immagini di solide montagne e di imponenti alberi.
Il mio è il potere esplosivo e distruttivo dell'uragano, il suo è il lavoro caldo e sotterraneo del magma denso.
Io ho il dono della trascendenza, Lui dell'essenzialità, della pragmaticità.
Io strabordo, esondo, Lui rispetta i suoi confini e dentro di essi attua il cambiamento.
Io sono tanta, Lui è minimale, essenziale ed efficace.
Io divago, mi perdo nei miei stati d'animo, mi cullo nel passato e nel futuro, mi lascio sfuggire il presente, Lui è diretto, preciso, attuale.
E così era Lui a raccontarmi le cose del mondo di fuori, a cena, sempre Lui a trovare cose da fare, a proporre concerti e uscite, a tornare la sera con un film da vedere, a pensare a tutto quello che a me, così impegnata su me stessa, sfuggiva troppo spesso.
Se ho avuto tempo e modo di esplorare i miei limiti e poi superarli, lo devo a Lui.
Ora lo so.
E poi un giorno di circa due mesi fa mi sono ritrovata a sognare Parigi, a immaginare i suoi tetti, le sue strade, i suoi negozi, le sue atmosfere, i suoi cieli. Lui non si è perso in quei viaggi mentali con me , non ha assecondato il mio lato sognatore alimentandolo con le parole, Lui ha fatto molto di più (quello che forse io non sarei stata capace di fare) occupandosi degli aspetti squisitamente concreti e pratici.
Lui l'ha reso semplicemente possibile.
E così giovedì partiremo per Parigi, diremo addio a questo lungo, umido e freddo inverno dell'anima e saluteremo finalmente l'arrivo della nostra primavera.
Questo viaggio sarà lo spartiacque che separa il prima e il dopo, sarà per noi una luna di miele, come la prima volta.
Perchè ci stiamo ridando la possibilità di scoprirci e sorprenderci ancora, di guardarci con occhi nuovi e puri, di ricominciare una nuova fase fatta solo di noi.
Credo che Parigi sia la città perfetta per due anime che sono tornate a scegliersi ancora, per la seconda volta.