I capannoni dove lavorano gli uomini del carnevale sono posti a lato nord della città. Per raggiungerli si devono scorgere prima le luci tremolanti del cimitero, poi, entrati nei vasti spazi dove affiorano corpi e braccia di maschere di dimensione fantastica, sembra di trovarci in un luogo extraterreno.
Gli operai, come gnomi, su impalcature e travi, appollaiati su pancie e spalle enormi, lavorano in silenzio semiingoiati dai chiaroscuri della luce sempre insufficiente. E' un cantiere strano con strani artefici; sartie e gomene tirate qua e là su vele colorate sopra scafi dalla prua fantastica.
I bambini che entrano per la prima volta a vedere si trovano di colpo immersi in uno dei tanti regni che la favola loro presenta; gli adulti, anch'essi, sfoderano un incerto sorriso che non maschera l'invidia e l'incredulità per la serietà con cui tanti uomini si impegnano al fine di strappare un sorriso.
E' certo che la fatica dei carristi somiglia a quella di chi va a prendere l'acqua con canestri; e però questi lo sanno e non desistono, come i poeti che si dilettano a scagliar dardi verso il sole e non curano se, dove, e quando arriveranno. Essi sono i poeti del grottesco e scrivono i loro versi nel grande libro aperto del cielo di Viareggio.
[...] Il luogo ove si costruivano carri nati dal provvisorio ghiribizzo di questo o quel " bello spirito " divenne, col tempo, bottega dove il " Maestro " dirigeva e concretizzava, con mezzi sempre più plasticamente seducenti, il progetto primo.
Il bozzetto diveniva volume colorato e dopo lo spettacolo annuale se ne andava in fuoco e fumo; ma nel cuore e nella mente dell'artefice, sotto la cenere calda covavano ancora le faville per la nuova fiammata. Così, di anno in anno, di carnevale in carnevale [...] assistiamo a veri miracoli di movimento, di comunicazione, di espressione. Le masse si stagliano contro il cielo; serpenti enormi, verdeluccicanti, stretti e incatenati da pugni rossi, galli rostrati in lotta, pesci sfuggenti agli arpioni, case spaventate per l'avanzate dei grattacieli, inferni danteschi coi dannati in tuta blù.
[...] A guardare il tutto stretti tra la folla, si sente operare in noi il fatto della nuova dimensione, del nuovo linguaggio. Sappiamo che è gioco, che è solo cartapesta colorata, che è carnevale e che si vuol dire di cose serie in modo diverso, scherzoso, garbato. In noi si muove la molla della riflessione, si intuisce che tanto lavoro, tanta creazione ha all'origine la seria volontà di porgere un messaggio di guardia; una ammonizione quasi. Sentiamo che qualcosa ha valicato il limite del gioco per introdurci in un luogo dove si vuole che si partecipi con qualcosa di più del semplice consenso di un sorriso; che ci si impegni, insomma.
( Luisa Petruni Cellai, Cento anni di Carnevale, Giardini Editori e Stampatori, 1973 )