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Luisa Petruni Cellai, Viareggio – Via col libeccio

Da Paolorossi

Il rumore della risacca l’aveva svegliato. Si sollevò a sedere sul letto che cigolò. In quella posizione scorse, nell’angolo di luce che la luna colava nella stanza, le brache ciondolanti da una seggiola e la manica col distintivo. Si sentì soffocare. Aveva resistito a cinquant’anni di mare, a sette naufragi, al vaiolo e in quel piccolo letto si sentiva morire. Dalla parte del viso butterato gli cominciò uno strano formicolio.
[…] Si alzò. Il camicione che gli avevano dato gli ballonzolava a metà delle gambe scure e stecchite. Dio… com’era lunga quella sua prima notte d’internato, più lunga assai di quelle passate rannicchiato nel gozzo, avvoltolato alla meglio e vigilato dalla nebbia e dalle stelle.
S’avvicinò alla seggiola e la stoffa ruvida della divisa gli dette noia. Allora aprì la finestra e stette fermo col viso verso la parte dove indovinava il mare. Le nuvole avevano coperto la luna. Era rimasta di lei una traccia sopra un orlo fine e per l’aria un vago chiarore di perla. Dal mare giungeva un ansito inquieto come un richiamo. Allora il formicolio al viso aumentò, il senso di soffocazione anche. La testa gli scoppiava in un frenetico desiderio di frescura. Di colpo aprì la finestra, quindi rapido cominciò ad infilarsi le vesti.

Viareggio - Darsena vecchia - Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.9-novembre 1993

Viareggio – Darsena vecchia – Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.9-novembre 1993

[…] In darsena si sentì subito meglio. Scorse il suo scafo come qualcosa di divino e, lesto,  senza porsi domande, lo slegò, pose i  remi sugli scalmi e con un tocco sapiente alla banchina prese il largo. Dopo alcune virate si fermò a guardare indietro. L’alta mole dell’istituto gl’inviò un austero richiamo. Egli riprese a remare. Il mare pareva assecondarlo. L’acqua scorreva leggera sotto di lui che si sentiva di nuovo potente e felice. L’aria salsa gli riempiva i polmoni e le macchie in viso s’erano tinte d’un rosso acceso. Remò finché la luce del faro si impicciolì ai suoi occhi e finché le forze glielo permisero. Si trovò poi immerso nel silenzio pieno, rotto solo dal suo affannare e dal rumore delle onde, che sembravano mormorare un loro misterioso rosario.  Allora l’eccitazione cadde. Tornò a ragionare. La pioggia si era mutata in una trina fine di noia. Non era ancora giorno e l’acqua e il cielo avevano una brutta tinta indefinita che faceva tristezza.
Allora volse lo sguardo alla riva. La foschia fasciava l’orizzonte intorno.
Era stato un pazzo… si, un pazzo… come sempre… Ora avrebbe dovuto riattaccarsi ai remi e tornare!
Ma che stanchezza dentro… e com’erano restii e duri quei lucidi bastoni!… E il mare… quello non voleva sapere di lasciarlo tornare… Gli troncava le braccia a metà, gli rubava il remo e ridevano l’acque contro lo scafo. Sentì amaro in bocca come se il fiele gli si fosse sparso tutto lì. Eppure doveva tornare. A quell’ora lassù lo  stavano cercando… e i compagni forse avevano già davanti la scodella calda e mangiavano… Oppure erano ancora lassù nel dormitorio. Rivide la finestrella e un orizzonte di tetti. Allora smise di remare. Il senso di soffocazione tornò. I remi presero a urtare colpi secchi contro i fianchi del gozzo, come a scuoterlo dalla immobilità in cui era caduto. La pioggia passandogli per le secche del collo l’aveva intanto avvolto in tentacoli freddi. Gli venne voglia di dormire. Si sdraiò di fianco sulla traversa, il braccio sinistro sotto la testa a mo’ di guanciale e le dita dei piedi agganciati per sicurezza ad uno spigolo alla maniera di sempre.
Il cielo si stava schiarendo a sud in un azzurro occhio lontano, forse il libeccio sarebbe venuto a sgominare quelle nuvole noiose. Poi le onde cominciarono a frangere. Egli intuì in un barlume di coscienza il pericolo incombente, ma non gli oppose che il lieve sipario delle sue palpebre stanche.
Giunse il libeccio ad asciugargli i panni, a fargli vivi i pochi peli sugli zigomi sporgenti. Il mare, che aveva cambiato il ritmo di ninna nanna in un coro di litanie, prese ad ululare, a schiantarsi in una disperata frenesia di pianto.

Viareggio - Molo - Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.14-giugno 1995

Viareggio – Molo – Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.14-giugno 1995

( Luisa Petruni Cellai, Via col libeccio tratto da “Le barbe di catrame”, pag.13/15 – Azzaro Viareggio, 1959 )

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