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- No, crede a quello che gli dice la gente.
- Non é un bene.
- Già.
(David Grant, Nebraska)*
Se volessimo conoscere appieno l'America, dovremmo vivere ad Hawthorne o giù di lì.
Un luogo di fantasia, certo, ma una replica fedele di quella America dei disadattati e dei disoccupati, in bilico tra una crisi sociale e una guerra, con la bandiera piantata nel giardino di casa, la birra servita ai banconi del bar direttamente nelle bottiglie e disperati motel adagiati su lunghissime strade sinuose.
In Nebraska, al netto di Vietnam (ma con qualche accenno alla Corea) e al netto di bandiere esposte garrule al vento (nel film si vede solo un'insegna luminosa a stelle strisce -spenta?-) si racconta la vicenda dell'anziano Woody Grant (uno straordinario Bruce Dern) e di suo figlio David.
Hollywood ama rappresentare l'America dei grattacieli, degli intrighi di potere, degli eroi positivi e dei supereroi dimenticando i suoi figli più lontani dalle realtà urbane.
Payne, invece, in questo struggente road movie dai toni malinconici, grazie anche alla polverosa e bianchiccia fotografia di Phedon Papamichael, racconta un'America diversa e lontana dalle mistificazioni hollywoodiane avvicinandosi ad un modello di cinema più europeo.
Il film è un'indagine sul rapporto padre-figlio, sulle radici personali in relazione a quelle del popolo americano, un viaggio nel ricordo e nella memoria.Un viaggio equilibrato che attraversa gli stati del Midwest con lunghe ed ampie inquadrature di paesaggio (un evidente richiamo al cinema classico dei primi western).
Un viaggio raccontato dagli incontri con personaggi rincoglioniti dalla vita o dalla tv (surreali alcune scene in cui stazionano o dormono davanti alla tv senza dare segni di vita).
Un viaggio a ritroso verso le proprie origini (bellissime e toccanti le immagini di Woody che visita la sua vecchia casa) fermandosi a salutare chi non c'è più (la scena dell'omaggio al cimitero di famiglia piena di sano cinismo e humour nero) o chi c'è ancora ma è come non ci fosse più (la rimpatriata con i fratelli che si limita a qualche battuta generica su acciacchi e automobili).
Un viaggio attraverso l'America che vive (rivive) una nuova Grande Depressione.
Un padre poco presente, alcolizzato e anziano, in pieno declino fisico e mentale; un figlio deciso a regalare attimi di serenità all'ingrato genitore, una madre cinica e terribile ma anche innamorata di quell'uomo tanto vituperato (stupido idiota! - lo bollerà così alla fine del film baciandolo amorevolmente) e un biglietto di un fantomatico (e inesistente) premio da un milione di dollari da ritirare a Lincoln (Nebraska).
Un premio che ribalterà i rapporti tra i personaggi e alimenterà invidie e pretese in conoscenti e familiari.
Eccola servita la storia di un viaggio inutile ma necessario, un viaggio che è un inno all'amore padre-figlio e che termina la sua corsa su una strada solitaria.
Eccola servita la dannata commedia umana che procede e si perpetua di generazione in generazione.**Un finale aperto.
Un film bello e commovente.
*Nebraska
regia di A. Payne
Candidato a MIglior Film 2014, Miglior Attore protagonista, Miglior attrice non protagonista, Miglior regia, Miglior sceneggiatura originale, Miglior Fotografia.**la citazione è tratta da The big Lebowski, regia dei F.lli Coen (1998)
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