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[Lungo i bordi] Il musicista non è una professione?

Creato il 24 novembre 2011 da Subarralliccu @subarralliccu

[Lungo i bordi] Il musicista non è una professione?

Vivere di musica: un sogno per tanti, un capriccio secondo altri, soprattutto per chi considera il musicista come “un idealista che svolazza tra i propri sogni”. Ne parliamo con Alessandro Atzori, batterista e percussionista, che collabora con diversi gruppi nella realtà cagliaritana e non solo (tra i tanti Nowhere to fly, Coldscape, Echo 80 e Aqs4et) e insegna nelle scuderie Capitani.

Approfitto della tua esperienza per chiederti subito: è davvero possibile vivere di musica a Cagliari? Se sì, in che modo? Domanda insidiosa, la tua risposta potrebbe alimentare o stroncare certe illusioni…

La dimensione di chi vive di musica in generale da queste parti è composta da attività live e spesso da insegnamento del proprio strumento (tanto per iniziare manca quasi completamente l’attività in studio, come registrazioni etc.). Riuscire a vivere solo di una delle due è davvero difficile, visto che a Cagliari, ma in un’isola in generale, la dimensione degli spettacoli, delle produzioni, dei progetti è abbastanza piccola se comparata con altre realtà più “evolute” da questo punto di vista.

Cagliari è una città molto viva, propone spettacoli live praticamente ogni giorno della settimana, iniziative nei vari locali e via discorrendo, e questo dovrebbe portare ad un ambiente in fermento per quanto riguarda la proposta artistica; alla buona premessa va però aggiunto il contro della “sottodimensione”, nel senso che gli spettacoli che si susseguono tendono un po’ ad assomigliarsi, sia perché in un ambiente piccolo come il nostro, pur essendoci parecchi musicisti anche molto preparati, si finisce per vedere spesso proposte ripetitive sui palchi dei locali, sia perché si ha la consapevolezza, da parte degli addetti ai lavori, di mancanza di “prospettiva”, della impossibilità di intraprendere il passo successivo e questo fa si che ci si fermi un po’ su territori conosciuti e redditizi dal punto di vista economico, ma non particolarmente stimolanti da quello strettamente artistico.

Questa situazione porta inoltre ad una commistione giornaliera e fisiologica tra chi cerca di cavare dalla musica il suo sostentamento, e chi invece ha altri lavori e la sera si esibisce (spesso peraltro con ottimi risultati e riscontri) sui palchi della città; commistione che a volte porta a problemi relativi soprattutto ai prezzi delle prestazioni live e a confusione per ciò che riguarda la regolarità legale e fiscale delle prestazioni di ognuno.

Fanno spesso notizia le lamentele dei residenti, che portano a frequenti modifiche in termini di orari e difficoltà nella scelta di luoghi in cui fare musica dal vivo, con annesse polemiche (inverno o estate sembra fare poca differenza). Ritieni che Cagliari sia una città “rumorosa”?

Ogni anno la stagione estiva del Poetto inizia con ritardi, battaglie legali, rilievi fonometrici richiesti dai residenti, contro-rilievi di cooperative che rappresentano i musicisti ed altre beghe. Questo aspetto lascia già intravedere un clima non troppo favorevole alle attività artistiche di un certo tipo, che spesso si svolgono da tarda sera in poi… Pur essendo di parte, facendo il musicista, cerco di avere, all’interno delle polemiche tra operatori del settore e residenti in luoghi sensibili, una posizione che consideri i vari punti di vista: le regole ci stanno, dateci lo spazio per esibirci e lasceremo ai residenti che vogliono riposare il loro giusto spazio; stabiliamo degli orari (ragionevoli per entrambe le campane, non drastici come è stato fatto qualche anno fa) e rispettiamoli.

Non penso che la città sia rumorosa (almeno dal punto di vista delle attività artistiche notturne, se apriamo invece, per esempio, la parentesi traffico si toccano altri discorsi), ma penso purtroppo che la città a volte sia poco “educata”. Se abbiamo degli orari per fare un concerto sotto le finestre di un residente, lo facciamo, finiamo il concerto, ma se poi qualcuno rimane lì sotto tutta la notte a giocare ai “guerrieri della notte” facendo tintinnare bottiglie, credo sia un problema di educazione pura e semplice, che non deve coinvolgere la mia possibilità di esibirmi nè la possibilità di chi vuole assistere ad un concerto e neppure la prospettiva per chi offre un servizio di ristoro di guadagnarci qualcosa in quelle occasioni.

Insomma, se per avere quiete pubblica l’idea è quella di far star zitte tutte le espressioni artistiche, beh non sono per niente d’accordo, considerato inoltre che certi quartieri sino a non molto tempo fa la quiete ce l’avevano ma perché bui, deserti, poco curati e ancor meno considerati.

Facciamo una panoramica sui locali in cui si fa musica live: in quali condizioni si suona?

Non eccezionali, devo ammetterlo. Sono davvero pochi i locali concepiti e portati avanti con l’idea della musica dal vivo, e spesso sono curati da persone con una passione sconfinata che però sembrano aver messo in conto di non guadagnarci, o soltanto sopravviverci, e quindi li fanno funzionare solo per una specie di missione, o per il semplice piacere di assistere od organizzare un evento live.
Ciò fa sì che spesso si abbiano problemi tecnici di vario genere, visto che si suona in locali dove il live è un’attività collaterale, che molte volte non ci sia del personale addetto a far funzionare le attrezzature, ed è il musicista a dover risolvere un po’ tutto se vuole portare la performance a buon fine. Il che fa riflettere, perché soprattutto nel caso di musicisti professionisti che investono migliaia di euro all’anno in attrezzatura, arrivare poi in posti dove niente è predisposto per far “funzionare” quello che dovrebbero proporre, beh non lascia granché di buonumore.

Hai collaborato con artisti del calibro di Dana Fuchs e Donna Summer, hai vissuto all’estero, in particolare a Londra (suonando anche sul prestigioso palco di Glastonbury), per parecchi anni: un paragone con la realtà londinese suonerebbe troppo azzardato?

Londra, ma in generale anche il resto del Regno Unito, ha visto per anni nascere stili e tendenze musicali che hanno influenzato il mondo, e la storia; c’è quindi la completa abitudine a vedere la musica e l’arte in genere come business, quindi come seria attività con degli standard di qualità, di rispetto del lavoro, che da queste parti non abbiamo, credo per profonde ragioni storico-sociologiche.
Lì esiste un’industria musicale seria con tutti i livelli, dallo zero amatoriale al top, al top del top, e al livello ancora più alto e si è abituati a vedere chi sta dentro quest’industria come un individuo totalmente professionale, con dei diritti, delle esigenze, delle aspettative, non come un essere necessariamente idealista che svolazza tra i propri sogni e al quale si fa un favore se ogni tanto lo si lascia esprimere con quello che fa (e qui il riferimento all’Italia viene spontaneo, almeno per, chi come, me ha visto e toccato con mano entrambi i mercati).

Dal punto di vista di chi suona posso dire che da noi è pieno di musicisti che a livello tecnico individuale e di conoscenza dello strumento sono molto avanti, ma che non avranno mai la possibilità, stando qui, di uscire dal circuito in precedenza descritto. In paesi come il Regno Unito invece, dove la “band”, il gruppo, ha sempre (diciamo dai Beatles in poi) rappresentato più del singolo musicista, all’inizio c’è meno cura dell’aspetto tecnico-musicale: esistono band di diciannovenni che hanno già messo su una campagna di marketing e hanno dei consulenti di immagine prima ancora di aver imparato a mettere due mani sugli strumenti, e qualcuna di queste band ha pure inciso dei dischi distribuiti…

Per concludere: sei mesi fa è cambiata l’amministrazione cittadina, troppo presto per fare un bilancio ma, dal tuo punto di vista, hai già avuto modo di farti un’idea?

Non ho ancora in mano elementi che mi possano far esprimere giudizi; nel mondo delle idee, chi ha nelle proprie convinzioni, nei propri ideali, nella propria agenda, una concezione dell’arte come modo di far evolvere le coscienze, tenerle sveglie e vigili e, perché no, a volte rallegrarle (anziché considerarla un’attività inutile e mangia soldi a danno di altri comparti con ben più importanti esigenze), dovrebbe rappresentare per un musicista una garanzia…

Nel mondo delle idee, il condizionale è d’obbligo.


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