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Lviv, Lvov, Lwow, Lemberg, Leopoli, da bambina sentivo alternativamente tutti questi nomi e credevo si trattasse di tante città diverse, invece è sempre la stessa, ma ogni appellativo è testimonianza di un determinato momento storico, per lo più di occupazione o annessione, la vera indipendenza per la Galizia-Volinia, questa regione dell'Ucraina sud-occidentale, è arrivata solamente nel 1991. Leopoli in italiano, dal latino Leopolis poichè si tratta di città antichissima, Lev nel XIII secolo quando è stata fondata la prima fortezza sulla sommità dell'attuale Collina del Castello; Lwow durante l'annessione polacca dopo la prima guerra mondiale, Lemberg in tedesco quando la Galizia divenne per quasi 150 anni parte dell'impero asburgico austroungarico e nei terribili 4 anni di occupazione nazista dal '41 al '44, Lvov per i russi nei loro 50 anni di permanenza finiti nel '91, quando si è definitivamente sciolta l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Lviv infine, per l'Ucraina indipendente di oggi.
Tanti nomi ha naturalmente significato grande mescolanza di genti e religioni, ucraini, russi, polacchi, lituani, armeni, bielorussi, ebrei, greco-ortodossi, cattolici uniati, sinonimo anche di grande fermento culturale ed artistico nei secoli. La fierezza indipendentista ucraina è nata proprio qui, dove si parla solo ucraino e non certo il russo come per esempio a Kiev.
Lwow è bellissima, una vera sorpresa, meritatamente inserita nelle città patrimonio dell'Unesco. Nel centro storico si alternano tutti gli stili, dal neoclassico al barocco, dal gotico ed il rinascimentale al rococò ed il liberty; dei palazzoni squadrati ed immensi tutto cemento del realismo socialista che infestano la capitale lontana non c'è traccia se non nelle periferie, abbondano invece caffè e konditoreien di sapore viennese e mitteleuropeo (per la gioia di Gastone, ghiottissima) con relativa atmosfera.
Il mercato è ricco, animato e colorato, si vendono persino polli con le zampe (da noi introvabili perché non fa chic),
Le strade sono tutte lastricate in pavé, nelle piazze mercatini di libri usati, tutti rigorosamente in cirillico.
Gli edifici sono restaurati solo in parte, ma con gusto e rispetto, l'aeroporto è una obsoleta villa neoclassica che sembra pronta per il debutto in società di una diciottenne più che per atterraggi e decolli,
insomma, la terza città ucraina dopo Kiev ed Odessa avrà pure le sue difficoltà economiche, ma anche fascino da vendere.
E poi chi l'avrebbe mai detto che nella centralissima vecchia piazza del mercato la sera i giovani ballano come a Cuba? e aleggia la fantasia di chi si porta a spasso al guinzaglio un maiale?
Su internet Gastone ha lavorato benissimo, siamo in uno splendido hotel in pieno centro, proprio davanti all'imponente teatro dell'opera ed alla reception sono gentili e parlano perfino inglese, cosa volere di più? Prospekt Svobody è la via principale, appaiono già i negozi con le marche della globalizzazione, Ploshcha (piazza) Rynok è circondata di edifici stupendi, a tre o quattro piani con tre finestre per piano (tre era infatti il numero di finestre consentito senza dover incorrere in una tassa supplementare), notevoli la Dimora Nera costruita a fine XVI° secolo per un mercante italiano
e casa Kornyakt, dal nome del commerciante greco, suo proprietario. Spettacolari pure la chiesa e monastero greco-cattolico Bernardini col lungo soffitto barocco appena restaurato (la città vanta più di 80 chiese, in parte distrutte ed ora ricostruite e riconsacrate), la Cattedrale Armena e la Cappella Sepolcrale Boyim, dell'omonimo mercante ungherese e della sua famiglia; sulla sommità della sua cupola c'è un'insolita scultura di Cristo seduto che medita e non vorrei sembrar blasfema, ma ho pensato che forse si preoccupa per il conte Leopold von Sacher-Masoch che scrive i suoi libri erotici sado-maso nella casa natale poco più in là.
La cosa che però con Gastone abbiamo preferito in assoluto è stata la passeggiata al cimitero Lychakivske, un Père Lachaise locale; non eravamo in grado di leggere il nome in cirillico delle personalità sepolte e poi francamente non le conoscevamo comunque, ma ci hanno incantate il posto, un bosco magico addormentato, la bellezza di certe sculture tombali e lo stupendo viale tutto alberato per accedervi, sede di molti istituti universitari.
Ecco solo una velocissima panoramica turistica della città Lviv com'è oggi, per il Lwow ebreo-polacco che io cercavo, è tutta un'altra storia e un altro percorso, in ogni senso, e un pomeriggio intero, gambe in spalla, ci affidiamo a Svetlana, una bella e distinta guida ucraina, dal passo gagliardo. Per la verità la sintesi è presto drammaticamente fatta: di quella comunità di 120.000 persone (un terzo della popolazione locale), per non contare le varie migliaia di profughi ebrei arrivati dalla Germania e dalla Polonia occidentale prima della guerra, non rimane praticamente nulla, tutti sterminati nel campo di Janowska, in città e nel lager di Belzec poco distante ed ora in Polonia. Non solo nulla delle persone, ma più nulla anche dei loro luoghi, i due ghetti ebraici (ci ha vissuto il famoso cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal), quello più interno e benestante, quello più ampio e periferico (non so purtroppo dove abitassero i bisnonni, non l'ho mai chiesto). Rase al suolo come altre 24 sinagoghe (oltre ai nazisti ci hanno dato dentro alla grande anche i russi e gli ucraini), quella Grande Centrale, quella Riformata e quella della Rosa d'Oro (accanto a quest'ultima solo un ristorante dal medesimo nome),
il vecchio cimitero è diventato il grande mercato Krakivsky a cielo aperto, idea dei russi negli anni '70 utilizzando le pietre tombali come fondazioni. Rimangono l'Ospedale Ebraico, bell'esempio di edificio moresco-eclettico, lo stabile dove ha vissuto Sholem Aleichem, uno dei fondatori della letteratura yiddish moderna, la stazione ferroviaria Kleparivska da cui sono transitati i 500.000 ebrei galiziani morti a Belzec, un Memoriale,
statua vagamente cubista che raffigura un'anima tormentata rivolta verso il cielo; rimangono soprattutto tante targhe commemorative, -questo era il posto di.... qui ha vissuto..... qui sono morti... (a Drohobycz e Boreslaw non ci saranno nemmeno quelle), prati e vuoti architettonici, testimonianza muta, ma eloquente, di una presenza che è stata cancellata.
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