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Le argomentazioni di Sepulveda sono sostanzialmente delle giustificazioni per "una guerra giusta": i peccati contro natura commessi dagli indigeni (vedi per esempio sacrifici umani, sodomia, idolatria), lo stato di servitù naturale e di inferiorità di quelle genti che giustifica la loro sottomissione, la necessaria evangelizzazione "forzata" per l'imposizione di nuovi valori e la difesa delle vittime innocenti di sacrifici umani e di altre pratiche contrarie al diritto naturale. Per controbattere Las Casas leggerà per 5 giorni consecutivi la sua Apologia in latino contestualizzando da vero antropologo ante litteram usi e costumi di popoli diversi, raccontando le sue esperienze dirette in quel continente dove ha a lungo vissuto. Anche per Monsignor Las Casas è imprescindibile l'annuncio del Vangelo, ma egli è totalmente contrario alle atrocità dei conquistadores di cui è più volte stato spettatore, considera illegittime tutte le guerre di conquista condotte dagli spagnoli, comprende e giustifica invece le lotte difensive degli indios. Le conclusioni dell'illustre consesso e della disputa accademica non saranno mai ufficialmente proclamate, ma forse il prevalere delle argomentazioni di Las Casas hanno influito sulla decisione dell'Imperatore di promulgare Nuove Leggi ( Leyes Nuevas) più tolleranti nei confronti dei nativi anche se nell'avanzare della colonizzazione non è certo cessata la condizione di abuso e sfruttamento nei loro confronti.
I quesiti che ci si è posti a Valladolid in fondo sono semplici e sintetizzabili in pochissime parole, ovvero, "Chi sono gli indiani? Degli esseri inferiori che bisogna sottomettere e convertire? Sono invece uomini liberi e uguali? Gli indigeni hanno un'anima?” Ho usato l'aggettivo “semplice”, ma la valenza delle domande per un terrestre del XXI° secolo e anche per fortuna per qualcuno del XVI° è assolutamente straordinaria, nel vero senso etimologico della parola, cioè "extra-ordinario, fuori dell'ordinario". E chi si è posto questi profondi quesiti? Non certo gli esseri primitivi in forse sul loro riconosciuto o meno statuto di uomini a tutti gli effetti, quegli indios delle Americhe che hanno ingenuamente accolto con sorrisi e ghirlande di fiori i colonizzatori spagnoli, "loro" erano troppo ignoranti e incivili per osare simili vette del pensiero. No, i dubbi amletici e le perplessità scaturiscono da uomini timorati di Dio, dal gotha del potere sacro-temporale della grande Spagna del XVI° secolo, chiamato secolo d'oro perché epoca di grandi conquiste, quella Spagna che senza colpo ferire ha fatto tabula rasa di tutte le civiltà precolombiane, Maya, Inca e Aztechi in testa, è questione di 25 milioni di morti, quella stessa Spagna che ha cacciato in esilio i suoi ebrei dopo secoli di fruttuosa pacifica convivenza fra i cittadini delle tre religioni monoteiste e che chiama “marrano” ovvero “porco” quell'ebreo che turandosi il naso sceglie la conversione forzata per non essere costretto ad abbandonare quella che considerava la sua patria.All'incirca tre secoli più tardi, nel 1830, gli amerindi degli Stati Uniti hanno dovuto conoscere l'Indian Removal Act che ha significato lo sradicamento di diverse tribù dai loro territori tradizionali e poi il trasferimento in Riserve, grandi a volte come mezza Italia, ma pur sempre territori delimitati per chi di confini non ne aveva mai avuti. Anche loro, i pellerossa del sud-ovest americano si sono scontrati con la violenza dei civilizzatori bianchi, certo con qualche differenza perché nel frattempo il "progresso avanza", si dà ormai per scontato che l'anima ce l'abbiano tutti, anche se magari un po' selvaggia, la schiavitù viene abolita nel 1863 col XIII° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e per giustificare occupazione e proprietà di terre abitate da altri non serve scomodare impropriamente Dio, basta scovare molto più prosaicamente un bel giacimento d'oro, avere il portafoglio pieno e fare delle leggi ad hoc. E poi lentamente, perché ci ha messo circa cinque secoli, anche la Chiesa si è finalmente assunta il riconoscimento delle sue responsabilità. L'8 marzo 2000 in San Pietro Papa Giovanni Paolo II ha pronunciato un "mea culpa giubilare" chiedendo perdono per le colpe commesse, crociate e inquisizioni, persecuzione degli ebrei, conversioni forzate, razzismo e ingiustizie sociali, parole accompagnate da un documento stilato da una commissione internazionale di vari teologi "Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del Passato". Un momento importante di ripensamento storico perché non è mai troppo tardi.
Non ricordo il titolo, ma qualche anno fa ho visto una mostra al Museo Santa Giulia di Brescia di artisti che nell' '800 e '900 hanno dipinto la "wilderness" americana. Natura prorompente e maestosa, vista dal vero ancora di più, ma quei grandi meravigliosi spazi non sono così incontaminati e immacolati come appaiono nelle tele e agli occhi del turista odierno, nella realtà è corso molto sangue.
PS. Tzvetan Todorov: La conquete de l'Amérique La question de l'autre Editions du Seuil, 1982 Jean -Claude Carrière: La Controverse de Valladolid Pocket 1992
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