Chissà perché Roma si è meritata un susseguirsi di sindaci afflitti da un ‘infanzia infelice, così che da grandi e “arrivati” si concedono i più disparati risarcimenti per le frustrazioni di ragazzini timidi, bruttini, vigliacchetti: passeggiate sui fori deserti con Tom Cruise, Elton che canta per loro al Colosseo, nazistelli in Campidoglio e squadracce amiche incaricate di prendersi delle vendette postume, un’anima rock che affiora e fa trionfare i Rolling Stones sull’epico palcoscenico del Circo Massimo.
Eh si perché lo spericolato sindaco Marino, con consapevole che per ogni misfatto c’è un trailer che dovrebbe sconsigliarne la replica, che quell’area ne ha viste e passate tante, ma quel che è troppo è troppo e già altre iniziative hanno confermato la vulnerabilità del complesso archeologico, che i Pink Floyd in Piazza San Marco non erano stati un test per valutare la resistenza al passaggio delle grandi navi, insomma dimentico di questi esempi dimostrativi, ha concesso il Circo Massimo per l’ennesimo ultimo concerto dei Rolling Stones in modo che al sua “rivoluzione silenziosa” possa arricchirsi di suoni e ritmi.
Naturalmente prima di autorizzare l’evento ha istituito una apposita Commissione – lui va matto per le Commissioni, che forse considera risolutive se non addirittura esaustive del problema, si tratti di abusivismo, senza tetto o rifiuti. Per dir la verità non sappiamo se l’organismo sia giunto a una conclusione, sia sa soltanto che il tavolo OSP cui partecipano i rappresentanti delle istituzioni coinvolte per decidere degli usi dello spazio pubblico di Roma ha detto si, incurante delle obiezioni dell’unico ente abilitato a dare un responso decisivo in materia di tutela e compatibilità: la Soprintendenza Archeologica di Roma.
Così grazie all’opera di mediazione condotta dalla Direzione Regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio e delle altre Soprintendenze presenti nell’OSP, tutte già animate dalla moderna aspirazione alla semplificazione degli ostacoli frapporti dalla fastidiose burocrazie, il concerto si svolgerà in una delle aree archeologiche più significative del mondo per la felicità nostalgica di circo 100 mila stagionati ammiratori.
Se tanto di dà tanto non nasce sotto i migliori auspici il grande progetto di realizzazione della più grande area archeologica del mondo che il sindaco Marino, avviata con la pedonalizzazione di Via dei Fori, peraltro ridotta a un sentiero grazie agli operosi cantieri di una metropolitana perpetua e largamente inutile. Marino vorrebbe dare corpo 125 anni dopo al sogno dell’allora Ministro dell’Istruzione Baccelli, anche lui affetto dall’isteria delle commissioni, ma che almeno riuscì a farne lavorare una per redigere una legge sulla zona archeologica romana. Poi dopo la cavalcata del Duce sulla strada stesa per lui come un tappeto trionfale, i visionari sono stati tanti e decisamente più autorevoli e appassionanti di Marino, che però mostra tutta la determinazione del Fare, insieme a tutta l’approssimazione che comporta, cifra caratteristica della classe al governo del Paese. Così salta a piè pari tutto il fitto dibattito svolto in tanti anni e torna al 1887 con lo stesso progetto di un’area che comprenda il Foro romano, i Fori imperiali, il Colosseo, il Foro di Augusto, parte del Celio, il Circo Massimo, le terme di Caracalla e la via Appia Antica.
Piano encomiabile, per carità, che tutti ci sentiamo di condividere con entusiasmo per l’ambizione e la potenza che dispiega. Ma che ha bisogno non solo di studi aggiornati sui flussi di traffico per esempio, oltre che sui finanziamenti, che Marino pensa di attingere da un “club dei filantropi”, disinteressati, meglio se anonimi, che la sinistra non deve sapere cosa fa la caritatevole destra, un motto che il sindaco ha fatto suo, ritenendo di non cancellare gran parte delle inopportune misure in materia di urbanistica e edilizia del suo predecessore.
Ma quello che desta più preoccupazione è che l’ipotesi, che spunta come un fiore dalla palude di inefficienze e indecisionismo della Giunta romana, si dovrebbe realizzare proprio in contemporanea con la grande opera di smantellamento del sistema di controlli, vigilanza e tutela, oltre che dell’edificio di norme che ne regolano l’azione, messo in campo dall’attuale governo in doverosa continuità con i dicasteri del patron. Da anni si sta conducendo un’aggressione in piena regola soprintendenze, accusate di ostacolare in nome di un integralismo conservatore la realizzazione di opere necessarie allo “sviluppo”.
Si sono tagliati i fondi, ridotti gli organici, promossi soggetti inadeguati e incompetenti e favorita una meritocrazia aberrante, elevando chi meritava la rimozione, al fine di screditare l’intero sistema, si sono nominati ministri estemporanei e estranei alla materia, ma tutti egualmente adescati e avvinti dalla stessa fascinazione: la cultura deve essere profittevole, i beni artistici devono produrre quattrini, sono un giacimento, una miniera, il petrolio, secondo tutta quella paccottiglia di stereotipi che rappresentano il bagaglio ideologico dell’attuale ceto dirigente.
E gli organismi di controllo, tutela e compatibilità sono invece un arcaico rimasuglio che blocca modernità dinamismo, crescita, quella delle Grandi Opere, delle Grandi Navi, dei Grandi Ponti, dei grandi Auditorium a Ravello, del Grande Emporio Benetton a Venezia, della Grandi Torri a Marghera, delle Grandi Tav, dei Grando Project Financing, del Grande Outlet Italia.
È difficile sapere se resta ancora qualcuno in polverosi uffici che si senta impegnato a difendere i beni artistici architettonici archeologici paesaggistici. A salvaguardarli anche dalla promulgazione di leggi che promuovono allegri e scriteriati regimi autorizzativi, licenze generose, abusivismo legittimato dal pagamento di modesti oboli, cementificazioni rese ineluttabili dal doveroso costruttivismo, cura non originale di una crisi impiegata proprio per ridurre i beni comuni in benefici esclusivi.
È proprio vero, pare che il Bel Paese proprio come l’omonimo formaggio debba soddisfare la fame, quella inestinguibile di un esercito di sorci voraci di fare cassa.