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Milano, anni ’30: Lea Carlisi, tredici anni, costretta dalla sorte a crescere prima del tempo, aiuta il padre vedovo, portinaio in un palazzo signorile. Lea conosce i suoi inquilini, le liti, le riappacificazioni, la quotidianità di ognuno; nessuno però la incuriosisce quanto Lolita Moreno, una signora straniera, bellissima e misteriosa che riceve telegrammi da tutto il mondo e poi parte, si assenta per mesi.
Ma una mattina Lolita Moreno viene trovata nel suo appartamento, uccisa. Nessuno ha visto nulla, nessuno ricorda. Lea è ancora una bambina e nasconde un segreto più grande di lei. Nessuno sembra considerarla nelle indagini, eppure proprio la piccola portinaia è l’unica ad aver visto l’assassino, un uomo vestito di marrone. Un solo scambio di sguardi è bastato per legare la sorte di Lea a quella dell’assassino, a cui ha, insensatamente, promesso di tacere per sempre. Quel giorno Lea indossava un nastro rosso fra i capelli, e il nastro, come un fil rouge d’Arianna, ricomparirà nei momenti salienti, intrecciandosi con l’evoluzione della protagonista.
Così inizia la metamorfosi: la timida portinaia viene mandata a riprendersi dallo spavento dagli zii ad Albissola. Il mare e il sole, l’amicizia con il cugino Lupo e una coppia di inglesi dissipano le brume e rivelano il suo naturale talento per il canto. Tornata a Milano, Lea inizia una nuova vita: prende lezioni da Ardesia, un famoso soprano, e per pagarle lavora come impiegata; è corteggiata dal vicino Renzo e da Maurizio, proprietario di una fabbrica di ceramiche. Ma il fantasma dell’uomo vestito di marrone periodicamente riappare, turbando la ragazza: la segue sul tram, le scrive lettere ricordandole la loro tacita promessa. Il padre si risposa, i magistrati la richiamano a testimoniare ma Lea non parla.
Nel frattempo il suo talento canoro le procura le prime scritture nei teatri, ma la giovane promessa della lirica, mentre sulla scena diventa Manon e Violetta, rinuncia all’amore, si sente sempre più sola, sempre più vecchia dentro. Come nome d’arte ha scelto Lolita Moreno, perché proprio da quel giorno è iniziato il suo mutamento, o forse per ricordare quella donna misteriosa dimenticata da tutti. Gli anni passano, Lolita-Lea è una diva e canta in tutti i teatri del mondo: ma un giorno, in Argentina, dove vive con il suo promesso sposo Montès, il passato, a cui nessuno può sottrarsi, irrompe improvviso e mescola ancora le carte…
Dopo Lorenza d’Oltremare, Lolita Moreno (1940) è il secondo libro di Mura (alias Giulia Volpi Nannipieri) che leggo, recentemente ripubblicato in formato elettronico da Sem Edizioni. Confermo il giudizio sull’abilità narrativa di quest’autrice oggi dimenticata, anche se alcuni spunti interessanti a volte si perdono nello svolgersi della trama, e forse lo stacco tra la faticosa scalata di Lea e i suoi trionfi successivi è troppo netto. Il finale aperto lascia all’immaginazione del lettore l’inevitabile verdetto; sono interessanti, data l’epoca di pubblicazione, i riferimenti all’onor militare, a segreti dell’aviazione e alle spie russe; ovviamente i personaggi ambigui sono stranieri, come imponevano le convenzioni dell’epoca fascista. Notevole la figura di Lolita-Lea, poco affine con gli “angeli del focolare” del Ventennio: intraprendente, corteggiatissima, si riscatta con impegno e talento dalla sua difficile condizione iniziale, realizzandosi come donna di teatro; indipendente e autonoma, ma non così aliena, in fondo, ai richiami del sentimento e della normalità. Scandalosa ma non troppo, sicuramente coraggiosa e determinata.