Sono ancora qui e mi illudo che girando il senso di una frase magari balzerà fuori una qualche verità, allo stesso modo della vanga del contadino che nei racconti dei nonni rivoltava la terra e riportava il tesoro alla luce.
Il colpevole, sostiene Van Dine, deve aver avuto una parte importante nella storia. Non è un delinquente di professione, altrimenti che gusto c’è. Non può nemmeno essere un servitore, troppo banale.
L’assassino è sempre uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.
E poi, complici, va bene, però il cattivo è uno solo. Niente società segrete, niente associazioni a delinquere.
Dimenticavo, il delitto non accade per un caso. E non è mai, ma proprio mai, un suicidio. Bella scoperta, per Walter.
Sono ancora qui e non ho più voglia di rompermi il capo. Se una soluzione c’è, sempre che ci sia, non ce la faccio a estrarla da questa accozzaglia di frasi che mi suonano come chiacchiere.
Io piuttosto salterei all’ultima pagina dove ogni cruciverba è riprodotto con tutte le sue belle paroline e ogni indovinello ha la sua risposta e ogni rebus la sua chiave. Ci salterei a piè pari con tanti saluti ai miei neuroni e alla loro figuraccia.
Ma insomma, Walter, accidenti a te. Cosa hai voluto dirmi con Van Dine?
Che l’assassino non è il maggiordomo?
Intendevi prendermi un’altra volta per i fondelli?
Regola numero quindici dell’esimio Van Dine:
La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito
Ma vai a fare in culo, Van Dine…
Evidente è solo che ce ne ho fin sopra i capelli. Evidente è che tempo cinque secondi abbuierò il computer e spalancherò il freezer per l’unica cena che non reclami il mio daffare, sofficini pomodoro e mozzarella più bastoncini del capitano Findus.
In culo a tutti gli investigatori gran gourmet e alle loro ricette in giallo.
(da Paolo Ciampi, Di diverso parere, Romano editore)