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Ma dov’è finita la libera economia di mercato?

Creato il 19 settembre 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

di Giovanni Palladino

Quanto hanno fatto (e forse continueranno a fare) gli Stati Uniti in materia di politica monetaria ed economica nei primi due decenni del 21° secolo passerà alla storia come una irresponsabile sfida alle leggi naturali del buon senso monetario ed economico, leggi naturali che dovrebbero essere sempre rispettate in una libera e responsabile economia di mercato.

Commentiamo innanzitutto le seguenti cifre degli Stati Uniti, tutte espresse in miliardi di dollari.

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Fonte: Office of Management and Budget – Ministero del Tesoro

La prima e l’ultima colonna mostrano l’evoluzione dei due grandi disavanzi dell’economia Usa, ma è la quarta colonna che mostra la “violenza” più clamorosa fatta alla legge naturale del buon senso monetario ed economico: per sanare il disastro finanziario compiuto nel 2007/2008 dal capitalismo speculativo di rapina, tramite alcuni grandi istituti bancari e assicurativi, la Federal Reserve – in accordo con la Casa Bianca e con la potente lobby del mondo finanziario – ha deciso di coprire l’enorme buco con la stampa di moneta “out of thin air”, cioè creata dal nulla. In pratica la nuova liquidità è stata usata per acquistare titoli pubblici da parte della Banca Centrale. Questa liquidità è stata poi girata dal Tesoro a banche e compagnie di assicurazione che meritavano di fallire. Mai nella storia del mondo occidentale è stata fatta dalle autorità monetarie un’operazione tanto rischiosa e irresponsabile, che avrà certamente gravi conseguenze per tutti.

La politica di “quantitative easing” ha così permesso alla Banca Centrale Usa di fissare non solo la struttura dei tassi d’interesse a brevissimo termine (funzione di sua competenza), ma anche quella dei tassi a medio e lungo termine che di norma dovrebbe essere determinata dal libero mercato. Se dal 2009 sino a oggi la Fed non fosse intervenuta con i suoi enormi acquisti diretti di titoli pubblici per coprire il buco creato dal “capitalismo stile Las Vegas”, il libero mercato avrebbe richiesto al Tesoro Usa tassi d’interesse molto più alti per comprare quella valanga di titoli. L’offerta era talmente elevata e rischiosa che la domanda del mercato vi sarebbe stata solo a condizione di tassi allettanti.

La Fed ha detto di aver eseguito una politica di “monetary accomodation”, ma in realtà si è trattato di una scandalosa manipolazione della struttura dei tassi d’interesse. Manipolazione che ha creato sul mercato azionario e obbligazionario Usa una seconda “bolla” finanziaria molto più pericolosa di quella del 2008, perché al suo prossimo e inevitabile scoppio non vi sarà più una Federal Reserve “povera” di titoli pubblici in portafoglio come nel 2008 ($496 miliardi rispetto ai $4.160 miliardi attuali) e quindi con minori possibilità di intervento: la “croce rossa” ha ormai poca benzina nel motore.

Pertanto la Fed si illude che con la fine del piano quinquennale di “accomodation” (i suoi acquisti mensili di titoli pubblici termineranno il prossimo ottobre) l’attuale struttura manipolata di tassi d’interesse a medio e lungo termine possa restare su livelli modesti per almeno altri 6 o 9 mesi. È invece molto probabile che entro l’anno il Tesoro Usa sia costretto ad aumentare sensibilmente i tassi per attrarre gli investitori, che ormai sono in prevalenza stranieri. Ed è anche una illusione che il clima di “guerra fredda” (o, peggio, “calda”) possa dare al dollaro lo ‘status’ di moneta forte come nel passato, perché nel mondo sta crescendo il desiderio di “de-americanizzazione” o di “de-dollarizzazione” del sistema monetario internazionale.

La disaffezione verso lo zio Sam è dovuta all’enorme importo di dollari usciti dagli Stati Uniti negli ultimi 15 anni per il forte disavanzo della bilancia dei pagamenti, dollari che sono in gran parte ritornati in patria con l’acquisto di titoli pubblici Usa da parte degli investitori stranieri. Pochi sanno che oggi la Cina possiede più “treasury bonds” statunitensi ($1.265 miliardi) delle famiglie americane ($959 miliardi) e che gli stranieri ne possiedono per ben $5.997 miliardi, pari a circa la metà del totale.

È importante riflettere sulle seguenti cifre (espresse in miliardi di $):

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Fonte: Federal Reserve – Washington

Da queste cifre risulta chiaro che:

  • la Cina, pur avendo avuto un saldo commerciale positivo di $320 miliardi nei confronti degli Stati Uniti nel periodo suddetto, ha per la prima volta ridotto il suo portafoglio di “treasury bonds” Usa. Nell’ottobre 2013 la Cina aveva raggiunto la consistenza massima di questi titoli con $1.317 miliardi; nel luglio 2014 questo importo era sceso a $1.265 miliardi, con una riduzione di ben $52 miliardi. Il miglior “cliente” del Tesoro americano ha quindi iniziato a perdere “appetito” per questi titoli, come pure Taiwan e la Russia;
  • il Giappone e i paesi Opec si mantengono fedeli, mentre Germania e Italia, pur avendo storicamente un buon saldo commerciale positivo nei confronti degli Stati Uniti, sono acquirenti avari, ossia più prudenti;
  • le banche centrali sono i principali possessori, ma da quest’anno hanno ridotto di molto i loro acquisti di titoli pubblici Usa (tanto stava provvedendo la Fed….), mentre hanno aumentato gli acquisti di oro (dal 2009 la Banca Centrale della Cina non comunica più i suoi consistenti acquisti del metallo giallo per non allarmare la Federal Reserve, che da decenni non compra più lingotti e consente che il mondo sia invaso da una valanga di dollari; questa è una scelta obbligata della Fed sin dagli anni ’70 per il crescente disavanzo della bilancia dei pagamenti Usa che impedisce l’accumulo di riserve valutarie e in oro, come invece fanno da tempo la Cina e la Germania, grazie ai loro elevati surplus commerciali).

È evidente che la credibilità del più grande mercato finanziario del mondo (Wall Street) si sta riducendo per i gravissimi errori compiuti dal governo e dalle autorità monetarie e di controllo statunitensi prima e dopo la crisi del 2008. Prima, per aver dato carta bianca e luce verde agli speculatori sul mercato mobiliare e immobiliare (con la complicità interessata di grandi istituti bancari e assicurativi, che hanno ideato nuovi prodotti finanziari rischiosi e truffaldini). Dopo, per aver preso folli misure di soccorso degli stessi grandi istituti, senza neppure aver provveduto a varare una seria riforma del mercato-casinò.

Ora gli operatori di questo mercato continuano a fare il tifo per la politica monetaria lassista della Federal Reserve, sperando in una prosecuzione del regime manipolato (al ribasso) dei tassi di interesse. Ma questa speranza è destinata a cadere presto con la fine del “quantitative easing”. Da novembre il livello dei tassi a medio e lungo termine, dopo 5 anni, dovrebbe tornare a essere determinato dalle libere forze del mercato e la “bolla” potrebbe scoppiare.

I difensori della Fed sostengono che la politica di “monetary accomodation” ha salvato l’economia Usa, come è dimostrato dalla ripresa del pil, dalla discesa della disoccupazione, dalla riduzione del deficit pubblico e soprattutto dal “boom” di Wall Street. Ma in realtà è tutto un artificio:

  • la ripresa economica è debole e squilibrata;
  • l’occupazione è aumentata grazie al lavoro “part-time” e la classe media continua a perdere peso economico;
  • dopo la copertura delle perdite enormi causate dallo “stile Las Vegas”, il deficit pubblico è in discesa da due anni, ma è sempre molto alto e il Tesoro prevede una sua preoccupante risalita nei prossimi anni;
  • il “boom” di Wall Street deriva dalla “droga” erogata dalla Fed.

Una “accomodation” fatta contro il buon senso monetario ed economico (per non parlare della mancanza di competenza, di etica e di moralità al vertice delle istituzioni) non può che finire come i fuochi di artificio: con il botto. Nel frattempo l’Europa assiste muta e supina, ma è tempo di “urlare” e di opporsi a tanta follia.


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