di Michele Marsonet. Tutti rammentiamo i tempi – non molto lontani – in cui la politica estera degli Stati Uniti dava un’impressione di grande stabilità. La si poteva approvare o disapprovare, fermo restando che era almeno comprensibile e si muoveva in un’ottica di difesa degli interessi americani nel mondo, interessi che molti facevano coincidere con quelli dell’intero Occidente.
Ora non è più così. Nell’era Obama, e particolarmente nel periodo in cui Hillary Clinton ricopriva l’incarico di Segretario di Stato, ha prevalso un approccio “ideologico” alla politica estera che, almeno a mio avviso, è assai poco americano.
L’appoggio fornito alle cosiddette “primavere arabe” ha sortito effetti opposti a quelli sperati. E in Asia si ha spesso la sensazione che alcuni tradizionali alleati cerchino di “smarcarsi” dagli USA per affrontare in modo autonomo la sfida posta dalla crescente potenza cinese.
In questi giorni, poi, desta stupore il fatto che il Presidente Obama abbia chiesto al traballante governo italiano un aiuto per stabilizzare la Libia. Naturalmente c’è anche chi si è inorgoglito per il riconoscimento del nostro ruolo nello scacchiere mediterraneo, ma a me sembra che si tratti, più che altro, di una mossa dettata dalla disperazione.
In realtà gli Stati Uniti, ricorrendo a due ex potenze coloniali come Francia e Regno Unito, abbatterono Gheddafi senza motivazioni stringenti. O, meglio, si trattava di motivazioni per l’appunto ideologiche. L’assunto è che un dittatore vada sempre e comunque rovesciato, prescindendo da considerazioni di carattere geo-politico.
Poco importa se si scambiano i fondamentalisti per sinceri democratici che intendono avviare il loro Paese sui binari della democrazia liberale. Né importa più di tanto la scarsa o nulla conoscenza dei ribelli che lottano per eliminare il dittatore di turno. L’essenziale – per dirla con Francis Fukuyama – è “esportare la democrazia”.
Quando, magari dopo l’assassinio atroce di un ambasciatore, ci si accorge che non si era ben compresa la situazione, è ormai troppo tardi, e la nazione “liberata” si trasforma davanti ai nostri occhi in una polveriera incontrollabile che minaccia di destabilizzare l’intera regione.
E’ quanto, mutatis mutandis, sta accadendo anche in Siria, Paese ancora più importante della Libia. Pure in questo caso la politica estera americana è, per usare un eufemismo, ondivaga. A dichiarazioni di prudenza si alternano prese di posizione favorevoli ai ribelli anti-Assad. Eppure è ormai chiaro che i fondamentalisti (inclusa al-Qaida) stanno giocando un ruolo essenziale nel conflitto siriano.
Cosa chiedono, dunque, gli Stati Uniti a un Paese in crisi profonda come il nostro? Da quanto si capisce, di aiutarli a stabilizzare la Libia, mettendo in conto la conoscenza italiana di quella realtà, peraltro non richiesta né sfruttata quando Gheddafi venne eliminato nonostante i suoi avvertimenti circa il pericolo fondamentalista che la sua scomparsa avrebbe innescato.
Nota giustamente Franco Venturini sul “Corriere della Sera” del 20 giugno che “la Libia sembra prigioniera di un caos permanente che alimenta non poche riflessioni sulla guerra combattuta contro il tiranno Gheddafi e ancor più sul disinteresse generale che ha seguito quella guerra”. E ancora: “Si dirà che anche altre primavere arabe si dibattono nel caos. Ma fatta eccezione per l’esempio estremo della Siria, quella libica è l’unica che emani nuove e insidiose minacce per la sicurezza occidentale. Per questo Obama sente il bisogno di correre ai ripari, di contenere la crescita dei salafiti in Cirenaica, di impedire che il territorio e gli arsenali libici mettano a repentaglio l’intero Sahel e Paesi-chiave del Nord Africa come l’Algeria”.
Tutto giusto. Ma, viene spontaneo domandare, perché gli USA se ne accorgono solo ora? Per quale motivo chiedere proprio all’Italia, che probabilmente non può farlo, di togliere le castagne dal fuoco? E perché quando partirono le incursioni aeree vennero ignorati gli appelli alla prudenza della Germania e della stessa Italia, intervenuta obtorto collo quando i giochi erano ormai fatti?
Più in generale, ripeto che mai come in questi anni gli USA hanno dato l’impressione di avere una politica estera confusa e velleitaria. Occorre prenderne atto con realismo, cercando di non farsi coinvolgere in missioni che potrebbero rivelarsi colossali trappole.
Featured image, Barack Obama, fonte Wikipedia.
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