Ma il PD cos’è? Cosa fa? Dove va? E perché tituba?

Creato il 27 agosto 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
L’anima centrista del Partito Democratico ha detto “no” allo sciopero generale del 6 settembre indetto dalla Cgil. Che dell’anima centrista facesse parte il vecchio democristiano Beppe Fioroni lo sapevamo da tempo, come sappiamo che i suoi rapporti Oltretevere vanno ben al di là di un semplice baciamano papale o cardinalizio. Che a Fioroni si sia unito Uolter Veltroni non ci sorprende più di tanto; dopo aver ammesso di non essere mai stato comunista, non ci aspettavamo che fosse anche lui un vecchio democristiano infiltrato però nelle file del Pci. Ancora una volta insomma, il Pd arriva trafelato a prendere le distanze da qualsiasi spunto o manifestazione o gesto politico che si porti appresso la parvenza di rappresentare un’istanza della “sinistra”. Anzi, sembra quasi che l’ex Comintern abbia una paura fottuta semplicemente a dirlo, qualcosa di sinistra. E il ritornello è sempre lo stesso malinconico refrain che accompagna da 17 anni la svolta socialdemocratica degli ex comunisti: “Così si fa un favore a Berlusconi”. Iniziarono quando dichiararono pubblicamente che Mediaset era “una grande industria culturale”, sdoganando in un colpo solo tette, culi e qualunquismo estremo. Continuarono quando non misero mano al conflitto di interessi permettendo a Silvio di fare quel che cazzo voleva (e continua a farlo). Hanno reiterato il concetto del “favore” ogni volta che si è avvertita la necessità di dare una spallata al berlusconismo e, quindi, di staccargli un biglietto di sola andata per Antigua. Quando dicevamo che Silvio è ancora saldamente al potere non per meriti suoi ma per l’assoluta pochezza dell’opposizione, ci hanno dato dei disfattisti-qualunquisti-grillini d’accatto senza considerare che ci eravamo permessi solamente di leggere i fatti e di commentarli. Il problema è che il Pd, fin dall’inizio del delirio d'onnipotenza dalemiano, ha ritenuto Berlusconi un interlocutore politico quando Silvio, per sua stessa ammissione, con la politica non c’entrava una mazza. I democrat non avevano capito, e ancora non lo capiscono, che non si può considerare un interlocutore politico un uomo d’affari che in politica c’è entrato solo per salvare se stesso dalla galera e le sue aziende dal fallimento, perché così facendo, se poi si disegna addosso leggi e provvedimenti, non puoi dire che si è fatto leggi “ad personam” perché lo sapevi benissimo che è andato a governare apposta. Il fatto è che con gli anni, per la ex sinistra post-ideologica, Silvio non ha rappresentato un nemico a-politico da abbattere a tutti i costi, ma una specie di simulacro invincibile al quale fare da contorno accontentandosi delle briciole lasciate sotto il tavolo dalla munificenza del Sultano, in attesa della ineluttabile, naturale dipartita fisica. Gasparri diceva che “l’antiberlusconismo porta alla sconfitta”? e quelli del Pd si erano volentieri adeguati al credo di Caspar quasi fosse l’oracolo del Quadraro. La riprova è che i pidini non vincono le primarie nelle quali si presenta Vendola o un vendoliano, non hanno mai creduto che fosse possibile battere la destra a Milano e a Napoli e, soprattutto, non pensavano che i referendum promossi dal Di Pietro protagonista di repentini cambi di umore, quasi avesse le mestruazioni, raggiungessero il quorum. A percentuale raggiunta le facce di D’Alema, di Veltroni, di Fioroni e in parte dello stesso Bersani, non sprizzavano propriamente gioia ma quasi un sottile disprezzo per un risultato al quale nessuno di loro aveva contribuito. E ora ci si è messa anche la “casta Susanna” a rompere le palle. Quando la Camusso ha annunciato che per il 6 settembre la Cgil avrebbe proclamato lo sciopero generale, a piazza Sant’Anastasia sono iniziate le fibrillazioni. Da una parte hanno cominciato a cantare la canzone di sempre, “Così si fa un favore a Berlusconi”, dall’altra hanno preso atto che non è possibile andare contro 6 milioni di lavoratori, pena la perdita definitiva della credibilità che, pur immeritatamente, le ultime elezioni e i referendum hanno fatto riacquistare al partito. E allora ecco la posizione pilatesca di Bersani: “chi del Pd vorrà aderire allo sciopero lo farà a titolo personale”. Come dire che Rosy Bindi e Dario Franceschini saranno in piazza, lui a Cesenatico a bere lambrusco taroccato, D’Alema sull’Ikarus e Uolter in Africa nella vana speranza che ci resti. Grazie alla Bindi e a Franceschini, Bersani potrà dire “visto? Il Pd c’era”, continuando a prendere per il culo un elettorato che poi li contesta pubblicamente con cartelli del tipo “Da iscritto del Pd mi vergogno di essere rappresentato da questi politici”. Amaramente, dobbiamo ancora prendere atto che i dirigenti del Pd non hanno la minima idea di quali sono le istanze della base del partito. Arroccati nelle loro stanze, e con il culo attaccato con il Millechiodi agli scranni parlamentari, continuano a vivacchiare in attesa che accada qualcosa a loro insaputa, qualcosa che li porti a sedere nei banchi più alti di Camera e Senato senza aver mosso un dito per andare a occuparli degnamente. Alla fine ha ragione Tonino Di Pietro che sembra rinsavito: “Ci sentiamo come quelli che stanno al fronte e aspettano che arrivino le riserve. Da soli non ce la possiamo fare. Chiediamo al Pd di rompere gli ormeggi e di uscire allo scoperto. È tempo di fare”. Purtroppo, piuttosto che come Di Pietro e Nichi Vendola, Bersani e il suo Louis Moreno sull’Ikarus la pensano come Pierfy Casini e Matteo Renzi. Ma sarà solo una maledetta coincidenza.

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