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Ma l’Ebola che fine ha fatto?

Creato il 16 gennaio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La sfera mediatica, sopratutto quella italiana e di stampo generalista, con l’attenzione rivolta principalmente agli ultimi disumani atti di terrorismo jihadista a Parigi, in Medio Oriente e in Nigeria, ha quasi ignorato ciò che veniva trattato quasi in maniera ossessivo-compulsiva fino a qualche settimana fa: l’epidemia di Ebola in corso nell’Africa Centrale, definita la peggiore della storia dall’anno del suo esordio, il 1976.

In Italia, a livello mediatico, tutta l’attenzione si è fermata al momento dell’annuncio della guarigione dal virus, venerdì 2 gennaio, del medico volontario di Emergency Fabrizio Pulvirenti. A ieri, giovedì 15 gennaio, le sortite e variegate homepage di Repubblica e Corriere della Sera non presentavano alcuna traccia di notizia, aggiornamento o accenno su Ebola. Il virus continua a mietere vittime – nonostante i passi in avanti per annientarlo – in Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria, il quarto e ultimo paese colpito.

Partiamo dall’aggiornamento dei dati su vittime e infetti. Al 14 gennaio la stima dei morti è di 8429: 3538 in Liberia, 3062 in Sierra Leone, 1814 in Guinea  e 8 in Nigeria. Nel conteggio rientrano anche le sei vittime in Mali e quella negli Stati Uniti. I casi di infezione totali superano i i 21 mila casi.

Le autorità governative della Liberia hanno dichiarato, il 13 gennaio, di essere “sul punto di contenere la diffusione del virus ebola” sul loro territorio. L’epidemia sarebbe dunque arginata, i nuovi casi si registrerebbero solo in due delle sue quindici contee del paese, in Montserrado, al confine con la Sierra Leone. Nello stesso giorno la Cina annunciava il proprio ulteriore impegno nel combattere l’epidemia di Ebola, mandando in Africa occidentale 232 operatori sanitari. Nonostante l’assenza di casi di contagio fra i cittadini cinesi, Pechino avrebbe speso 121 milioni di dollari per combattere l’ Ebola. Forse un’operazione mediatica e strategica, abbracciata anche da Cuba e Russia, per porsi in una posizione più attiva rispetto a Usa e Europa. L’agenzia di stampa Reuters ha riportate le forti polemiche avanzate dall’Organizzazione mondiale della sanità nei confronti di stati, governi e istituzioni. Essi, secondo l’Oms, sarebbero colpevoli di non aver saputo gestire l’emergenza umanitaria in maniera consona e adeguata alle proporzione tragiche sviluppate.

L’agenzia specializzata dell’Onu, attiva dal 1948, ha inoltre avanzato la richiesta di vedere aumentati i propri poteri nell’immediato futuro per ciò che riguarda emergenze ed epidemie, avendo evidenziato carenze nell’organizzazione e nelle tempistiche di azione. C’è da dire però che la stessa l’Organizzazione con sede a Ginevra aveva promesso entro ottobre, una volta aver messo sotto controllo la situazione, la pubblicazione di un fascicolo completo di tutti i dettagli per la gestione del focolaio di Ebola. Sono passati 3 mesi e così non è stato. Per ovviare a tali problemi di precarietà, le soluzioni suggerite dall’Organizzazione ruoterebbero attorno a una necessaria modernizzazione delle proprie capacità, ampliando il mandato dell’agenzia, creando squadre di esperti e strutture in grado di gestire al meglio i fondi e le informazioni. Nel suo comunicato, l’Oms ha criticato inoltre i precari sistemi di sorveglianza, preparazione e comunicazione del rischio a seguito dell’epidemia, denunciando anche atti di discriminazione e chiusura delle frontiere a sfavore dei viaggiatori proveniente dalle zone coinvolte.

Il 9 gennaio ha fatto sperare l’annuncio dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità: tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio il vaccino per ebola comincerà a essere testato sulle persone nei paesi colpiti dall’epidemia. Si era parlato, poco prima di Natale, di una possibile incompatibilità del vaccino, messo a punto dall’azienda farmaceutica italo-svizzera Okairos, con le popolazioni africane. Tale problema, che si era già posto in altri casi di vaccini del passato, è stato ufficialmente estirpato. Lo studio della National Institutes of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) ha smentito ogni dubbio di incompatibilità, aprendo così la strada all’utilizzo del vaccino tra le popolazioni africane.

Durante i test, l’efficacia del vaccino non è stata duratura, scomparendo entro 11 mesi dalla terza iniezione, ma i ricercatori sottolineano che si tratta di un dato atteso, e che quella sperimentata nei trial in corso è una versione più potente dello stesso farmaco.

Questi risultati hanno già dato le basi ad una versione più potente del vaccino, che viene utilizza come vettore un virus del raffreddore degli scimpanzé e che è in fase di sperimentazione negli Usa, nel Regno Unito, in Mali e in Uganda, per fare fronte all’attuale epidemia di ebola”, spiega Julie Ledgerwood, ricercatrice del Niaid che ha coordinato lo studio. “Il nostro però è il primo studio a dimostrare sicurezza ed efficacia comparabili di un vaccino sperimentale per l’ebola in una popolazione africana. Si tratta di risultati molto incoraggianti, perché le persone più a rischio per l’ebola vivono principalmente in Africa, e in passato per altre malattie era stata osservata una minore efficacia dei vaccini nelle popolazioni di questo continente”.

Nel frattempo, la scorsa settimana, è stata individuata la tipologia del primo caso di passaggio del virus Ebola tra animali e persone. Come illustrato dalla rivista Emno Molecular Medicine, il Robert Koch Istitute ha concluso i propri studi inerenti a Emile Ouamouno, “paziente 0″ morto due anni fa, nel dicembre del 2013, considerato il primo decesso dell’epidemia di Ebola corrente. Dopo aver perlustrato – in Guinea meridionale – il villaggio di provenienza di Emile, e la fauna circostante, i ricercatori dello studio di ricerca tedesco non hanno individuato tracce del virus. Esaminando però gli indizi trovati ai piedi di un albero di cola calvo – bruciata a marzo – a pochi metri dalla casa di Emile Oumouno, il risultato è apparso più che interessante. Infatti, l’analisi dei campioni raccolti avrebbe rilevato tracce di dna di pipistrello Mops condylurus, comunemente detto “dalla coda libera”, tipico dell’Angola. Tale specie è già sospetta di aver provocato l’epidemia di ebola in Suda ne 1976. L’ipotesi più plausibile, secondo il Robert Koch Istitute, è che Emile abbia contratto il virus nei pressi di quell’albero avendo avuto contatti con questi pipistrelli.

Tags:Africa,ebola,OMS

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