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La sentenza della Corta Costituzionale, che sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori riapre prepotentemente la questione della rappresentanza sindacale. La Consulta afferma che è illegittimo negare la rappresentanza sindacale aziendale ad “associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”. Ad essere considerati incostituzionali, sono in sostanza il modello Pomigliano e Mirafiori, poi esteso in tutto il gruppo Fiat, che aveva estromesso dalla rappresentanza sindacale la Fiom ed i sindacati di base non firmatari del contratto separato Fiat. In pratica, incostituzionale è quel fascismo di fabbrica imposto da Marchionne e sostenuto da Cisl e Uil (oltre che dal sindacato padronale, Fismic).
Così, la Fiom potrà tornare nelle fabbriche Fiat. Così, anche nelle aziende del gruppo Fiat i lavoratori potranno scegliere liberamente da quale sindacato farsi rappresentare. Perché il giudizio della Consulta sostiene e rafforza il principio costituzionale della rappresentanza unitaria in proporzione agli iscritti, senza altri vincoli. Detta in altri termini, il principio costituzionale dell’agibilità sindacale è garantito anche qualora un sindacato non firmi un contratto collettivo. La libera azione sindacale è un diritto che non può essere subordinato all’accettazione di un accordo. Nei fatti, è la sanzione della contemporanea esigibilità del diritto alla rappresentanza sindacale ed al dissenso, e quindi al conflitto, che non possono essere considerati l’uno alternativo all’altro. E l’importanza di tenere unita la rappresentanza sindacale con il diritto al conflitto, si è mostrato in tutta evidenza con l’assenza formale di Fiom e dei sindacati di base dagli stabilimenti Fiat.
La partita, però, non è per niente terminata: rimane il nodo dell’accordo del 31 maggio 2013 firmato da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Un’intesa che richiama nella sostanza gli stessi criteri di rappresentanza dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, che la Consulta ha definito incostituzionali. Nell’euforia della sentenza della Corte Costituzionale, non si può sottacere il fatto che l’accordo del 31 maggio, non solo ammette alla contrattazione collettiva nazionale esclusivamente le Organizzazioni Sindacali firmatarie dello stesso accordo e prevede sanzioni per chi si oppone all’applicazione dei contratti; di più, nelle previsioni dell’intesa, nella elezione della Rsu varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per i sindacati firmatari dell’accordo. Insomma, se la sentenza della Consulta riporta la Costituzione nelle fabbriche, come giustamente afferma Landini, il vigente accordo del 31 maggio la Costituzione la risbatte violentemente fuori.
Quell’accordo è stato sostanzialmente accettato dalla Fiom, probabilmente nell’ansia di dover rientrare nelle fabbriche dalle quali era stata estromessa (anche se occorre dire che nell’ambito Fiat quell’accordo non aveva valore, essendo Fiat fuori da Confindustria). Ora la Fiom, che ha condotto questa importante e vittoriosa battaglia legale contro la Fiat, per affermare il sacrosanto diritto all’agibilità sindacale, ha la responsabilità di lottare perché tale diritto non sia umiliato da un accordo pattizio tra padroni e sindacati. Una responsabilità che ovviamente ricade anche sulle forze politiche che oggi esultano alla lettura della sentenza della Corte Costituzionale, in specie a quelle che davvero hanno sostenuto il diritto di libertà sindacale anche per la Fiom.
Non è un caso che, all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale, Fiat fa sapere di rimettere “piena fiducia nel legislatore affinché definisca un criterio di rappresentatività”, capace di dare “certezza di applicazione degli accordi”. Esattamente ciò che, anche per ammissione di Confindustria, si prefigge di fare l’accordo del 31 maggio, la cui parte sulla rappresentanza sindacale è solo funzionale alla esigibilità dei contratti. Non è un caso nemmeno il fatto che, contemporaneamente, il presidente dell'Autorità di garanzia per gli scioperi, Roberto Alesse affermi la necessità, a suo parere, che i contenuti dell’accordo del 31 maggio “vengano, in qualche modo, blindati per il tramite di un intervento del legislatore da concertare con le Confederazioni firmatarie”.
Insomma, la sentenza della Consulta, mentre riafferma il diritto alla libera azione sindacale, riaccende di fatto l’antagonismo padroni-lavoratori in merito ad una vera democrazia nei luoghi di lavoro. Deve riaprirsi, perciò, il fronte di lotta (in realtà mai chiuso) per una piena e generale agibilità sindacale. Ma questa volta dovrà necessariamente essere ben più ampio di quello finora condotto quasi esclusivamente dal sindacato di base. Se così non sarà, a vincere saranno i padroni, sarà Marchionne; a perdere saremo tutti, Fiom compresa.
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