di Umberto Fasol*
*preside e docente di scienze naturali in un liceo scientifico
Il tema della ricerca di Dio è sempre più attuale. Nonostante l’immensa pervasività del mondo economico-finanziario nella vita di tutti i giorni, la domanda di senso affiora e fa capolino ovunque, così come la parietaria cresce tra i fitti sassi del muretto non appena può, cioè appena trova un po’ di terra tenera. La natura dell’uomo, infatti, è rapporto con l’infinito e il valore dello spread di oggi la lascia assolutamente indifferente.
Margherita Hack sembra avere idee chiare su questo tema. Recentemente, invitata all’Istituto religioso Euromediterraneo, ha ribadito la sua posizione: “L’idea di Dio nasce per spiegare ciò che la scienza non sa spiegare. La scienza dice cosa sono le stelle, come funzionano. Sappiamo ricostruire un album di famiglia dell’universo ma non sappiamo dire perché sia fatto così. Ed ecco che è stato inventato Dio. Dio è comodo, troppo comodo. Ma è un’idea infantile, come Babbo Natale”. A seguire i soliti applausi. Non si sa perché. Vorrei analizzare la sua tesi, ormai logora, proponendo prima un paio di questioni e poi una riflessione.
Inizio con la prima domanda: “perché mai gli uomini, vedendo che continuano a scoprire cose nuove, una dopo l’altra, dovrebbero inventarsi un Dio Creatore di tutto, piuttosto che attendere fiduciosi i prossimi successi della Scienza?”. Se, cioè, abbiamo chiarito cosa sono le stelle, se abbiamo descritto la loro reazione termonucleare, se ancora siamo in grado di metterle in fila, dalle nebulose ostetriche alla sequenza principale, dalle giganti rosse alle nane bianche (“l’album di famiglia dell’Universo”) perché mai l’uomo moderno, colto e tecnologico, non dovrebbe sedersi soddisfatto e dire a se stesso: andiamo avanti così, di scoperta in scoperta, senza farci illusioni? Non c’è una contraddizione tra la gratificante sequenza di scoperte e l’intuizione di Dio?
Se dunque gli scienziati (Newton, Copernico, Keplero, Einstein, Mendel, Maxwell, Fermi, Rubbia, Zichichi, Rossi, Canobbio, ecc…) formulano l’ipotesi di Dio, lo fanno in un contesto di conoscenze e non di ignoranze. Avranno i loro motivi per farlo: perché ritenerli tutti bambini incapaci di parlare e di pensare? La cosa deve far riflettere perché porta a conclusioni opposte a quelle riferite dalla Hack: sono le nostre scoperte che ci avvicinano a Dio e non il nostro bisogno di capire.
Proseguo con un’altra domanda. “E’ un’idea infantile…” dice la Hack, ma, mi chiedo: “Tra le due ipotesi: il Mondo inventato da una Mente Superiore e il Mondo fattosi da solo, qual è la favola più grande?”. Altro che Babbo Natale! Quello almeno porta i doni ai bambini per stupire e diffondere gioia, ma… un Mondo Ordinato che sorge spontaneamente dal nulla e che si evolve in 13,7 miliardi di anni formando il lago di Garda e le Dolomiti, le barriere coralline e il tramonto sul mare, gli occhi dei bambini e il genio di Mozart, i fiori del campo e le sequoie giganti della California, il ciclo dell’acqua e la fotosintesi clorofilliana…credere che tutto questo si sia fatto da solo non è infinitamente più folle di tutte le nostre fiabe? Come si fa a pensare che anche solo una delle nostre cellule possa autoassemblarsi a partire da miliardi di molecole possibili con altrettante infinite combinazioni?
Concludo ora con la riflessione. Dio è la spiegazione necessaria di ciò che esiste così come esiste. La complessità irriducibile dei fenomeni materiali che la Scienza descrive trascende a tal punto la natura dei suoi costituenti da richiedere una Finalità ordinatrice e causale, pena la contraddizione. In parole semplici: la retina e il cristallino non vedono, ma l’occhio collegato al cervello sì. Perché mai l’occhio dovrebbe essere fatto così com’è e per di più collegato al cervello, quando le combinazioni possibili dei suoi “pezzi” sono molteplici ed equiprobabili? Da quali proprietà cellulari dovrebbero mai scaturire queste architetture complesse e scelte tra tutte le possibilità? Insomma: le componenti della vista possono darsi da sole ciò che non hanno?
E ovviamente l’esempio dell’occhio è certamente quello più sfruttato nelle letteratura classica ma si tratta solo di un particolare; si pensi ai cicli della biochimica cellulare, si pensi alla relazione tra la respirazione e la fotosintesi, si pensi ad ogni singolo apparato del nostro corpo o alle reti ecologiche, o ancora a tutta la sinergia dell’intera biosfera. La Scienza contemporanea avvicina sempre di più la ragione indagatrice all’ipotesi di una Mente superiore nella misura in cui svela un’organizzazione della materia “fine tuned”, che non può darsi da sola per il semplice fatto, scontato, che i protoni, i neutroni e gli elettroni non sono intelligenti.
Dio è l’intuizione della mente di fronte all’intelligenza della materia che, inizialmente uniforme, infinitamente densa e calda, si è raffreddata lentamente, si è espansa in modo controllato, si è organizzata in galassie e pianeti e, su uno di questi, la Terra, un punto azzurro e caldo immerso nel gelido spazio, è diventata il sorriso e il pianto del neonato, che ci intenerisce e ci fa toccare il Suo Mistero. La materia primordiale, fatta di particelle subatomiche e governata dalle quattro forze fondamentali, si arricchisce progressivamente di qualcosa che non ha, l’ informazione, al punto tale da diventare cosciente.
Trovo che l’idea di Dio sia terribilmente adulta. Frutto di sguardi, di pensieri, di ragionamenti, di sensazioni, di esperienze di bellezza e di progetto. Negare Dio coscienziosamente e a ragion veduta significa invece, per quanto capisco, precipitare tutta la realtà nel “non senso”. Verrebbe da ribaltare la posizione della Hack, affermando: “E’ troppo comodo rifiutare Dio come la spiegazione di ciò che non si sa”. L’idea di Dio, in effetti, continua ad intrigarmi, sia per ciò che so, che per ciò che non so. Vorrei concludere con le parole di Richard Swinburne, professore di Filosofia ad Oxford: “Io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega.”