Quella che si è conclusa è stata, per la 'povna, una settimana di scrittura socialmente molto intensa. Ha cominciato lunedì, con il crowdfunding del progetto di Lab121 (ne approfitta per ribadire il consiglio); ha continuato martedì, con il Giorno della Memoria (e se non è sociale, per statuto, quello); ha ribadito mercoledì, con la collaborazione con Panzallaria; e poi pure venerdì e sabato, facendo (courtesy of BibCan) da Dopofestival alla sala stampa quirinalizia di Iome.
Poteva bastare, effettivamente. E invece succede che uno tira l'altro. Era un po', infatti, che Spersa e la 'povna si erano dette di voler fare un post a dialogo, discettando di uno dei concetti che ha contribuito a provocare quella affinità, virtuale ed elettiva, che poi si è fatta conoscenza, e dunque amicizia - forte, bella, intensa - come è giusto, fuori dal blog.
Si tratta della doppia nozione di "sceneggiatore" (courtesy of la 'povna) e di "barattolo" (qui il copyright è di Spersa), che vogliono dire un po' poi la stessa cosa, in fondo. Ma che, analizzati un po' più a modo, contribuiscono a chiarire le pieghe di una visione di se stessi nel mondo che è - prima di ogni altra cosa - laica, indipendente e individuale.
Che lo sceneggiatore sia uno dei personaggi principali della vita della 'povna, è cosa nota, almeno per i lettori di Slumberland. Infatti fa capolino tra i tag, frequentemente, e anche nella prosa della fiction. Quello che si può aggiungere, per spiegarne l'uso e l'influenza nella sua trama quotidiana e biografica, è il senso che lei, personaggio protagonista, per definizione, della sua propria esistenza, attribuisce a questa (per lei inderogabile - un po' come il narratario, che ne è il feedback necessario di confronto) funzione narrativa.
Al contrario del narratario (che esiste da sempre come esigenza primaria - le cronache familiare narrano di una 'povna che, a due anni e mezzo, invece che con la fiaba della buona notte, si addormentava recitando una sintesi di "Che cosa ho fatto oggi" a una mamma 'povna in atteggiamento da uditore), l'idea dello sceneggiatore - pur presente, implicita, da quando la 'povna ha memoria del concetto di "autosufficienza" (anni diciannove, lo ha raccontato spesso) - diventa effettiva in quell'anno 2006, horribilis, dal quale - come accennava sabato - sembra che finalmente si stia uscendo. Allora, di fronte a una trama dell'esistente che sembrava tutto, fuorché digeribile, la 'povna prima si sentì male (moltissimo); poi, piano piano, comprese che era necessaria una riscossa. Fu così che, si era di tardo autunno, durante un aperitivo con Viola (narratario di complemento adamantino e necessario, in quel periodo), l'idea fu coniata e messa in pratica.
Venne usato anche il contributo, sotto forma di battuta, dell'amico Alieno: "C'è stato un problema di fraintendimento" - le aveva detto una volta, in quella lunga estate, faticosissima - "tu avevi commissionato allo sceneggiatore uno script da C'è posta per te, pensando a Nora Ephron, ovviamente; quello ha capito Maria De Filippi: è ovvio che poi è andato tutto male".
Allora la 'povna aveva riso poco (non ne aveva le forze). Ma l'immagine le ritornò alla mente in quei giorni di dicembre.
"Sai che ti dico?" - disse a Viola una domenica sera, davanti alla birretta - "io lo licenzio".
"Mi sembra ottimo" - glossò Viola. Detto, e fatto: di lì a poco, approfittando del nuovo anno, la 'povna coniò il motto, nuovo di zecca: quell'"anche no" che le sarebbe stato prezioso per affrontare il 2007 a testa alta, andando incontro a un periodo di folle, strana, pura bellezza che l'avrebbe ricondotta sui binari di una vita vissuta così come le piaceva interpretare.
Fu bello davvero, quel periodo? Certamente sì, per come lo volle leggere la 'povna. E fu sicuramente anche, davvero, pazzo. Eppure, adesso come allora, a otto anni di distanza, la 'povna sa benissimo (ma ne era anche a quel tempo consapevole) che tanta di quella sua pura perfezione (perché così la interpretò, in una lunga cavalcata che andò da gennaio a fine giugno) fu tale grazie agli occhi della 'povna, che avevano ritrovato - organizzandola nella metafora della sceneggiatura, che è buona come qualunque altra - la sua capacità di mantenere intatto verso il mondo quel suo marchio di fabbrica: il calviniano, fottutamente migliorista (eppure per lei solo inevitabile) ottimismo della volontà.
Che si chiami sceneggiatore, entusiasmo (come le dicono da quando ha sei anni e mezzo; e come le scrisse il Narratario, in quello stesso 2006 di merda, supplicandola a gran voce di non perderlo), barattolo ( si legga su questo punto Spersa), poco importa. Il concetto appare chiaro, e fa agio sull'idea individualista della propria fortuna costruita pezzo a pezzo, in solitudine; e sulla volontà di interpretare senza finta indignazione, fatalismo, lamentela querula e continua, la realtà. Significa poter dire orgogliosamente "ho sbagliato, è colpa mia" (come lo è nei fatti quasi sempre), e non altrui - la società, la Spectre, il mondo - e, invece di passare il proprio tempo a piangere, rimboccarsi le maniche, e provare a rimediare.
Da allora a oggi, la 'povna si appella allo sceneggiatore come a un serbatoio di ironia, punti di vista differenti, leggerezza: un modo per uscire dall'inerzia (intesa in senso strettamente fisico) - ché cambiare sistema di riferimento può essere sempre un modo ovvio, ma assai utile, per mantenere intatta la presa di attrito sul reale.
Con questo post di amarcord, la 'povna si accoda dunque a Spersa nell'ennesimo evento social del 2015, con un'ultima glossa: il suo sceneggiatore, l'ha detto spesso - e per tutti i motivi che le sembra di avere illustrato con chiarezza - è rigorosamente minuscolo. Proprio per questo (e lo dice a margine di un curioso dibattito che si è sviluppato, qualche settimana fa, proprio da Spersa), posto che ciascun altro è ben libero di interpretare il suo proprio sceneggiatore con la grafia e l'ontologia che più gli piace (come è ovvio), vorrebbe sommessamente ricordare - specie a chi accusa troppo e troppo spesso gli atei (e laici) di mancare di rispetto alla sensibilità credente - che vale anche il viceversa. E cioè che, ogni qual volta qualcuno, parlando dello sceneggiatore della 'povna, lo cita con la lettera maiuscola, commette, nei fatti, esattamente quell'atto di mancanza che, in contesti simmetrici, è tanto pronto a denunciare.