E’ la domanda che mi è stata posta da un collega mentre si parlava di Vietnam e Kenya come mie probabili mete per l’estate 2013.
In realtà non è proprio cosi: partendo dal presupposto che, vivendo a pochi chilometri dalle spiagge più belle del litorale laziale, se avessi voglia di solo mare e divertimento mi basterebbe uscire di casa e prendere la macchina; oggi, come ieri, il mio concetto di viaggio è ben lontano dall’affittare una casa in Cilento per la settimana di ferragosto o tornare a Maiorca per il terzo anno consecutivo.
Complici un padre amante del viaggio itinerante, che continua a conservare in se lo spirito del marinaio; una madre pugliese che, nonostante abbia lasciato la sua terra più di 38 anni fa, è sempre legata visceralmente alla sua città natale; e l’essere cresciuta in un borgo di campagna dimenticato da dio, che mi faceva sentire ogni giorno di più la necessità di andare al di la dello steccato; la mia voglia di viaggiare mi porta oltre al semplice desiderio di villeggiatura.
Prima del mio primo viaggio da grande che a 17 anni mi ha portato per una vacanza studio di tre settimane a Brighton, ho seguito i miei in giro per l’Italia, in visita a familiari sparsi per tutto lo stivale, nella classica vacanza di agosto sulla riviera romagnola, in tour in camper tra la Sardegna e la Corsica, nelle estati intere a far il bagno nelle acque cristalline della Puglia, prima del boom del turismo di massa, quando Fasano, Ostuni e Santa Maria di Leuca erano una questione di famiglia.
E poi sono arrivati i week end umbri e toscani fatti di buon vino e scorpacciate di carne; le vacanze a piedi nudi e del far festa tutte le sere con le amiche nella Sicilia degli arancini e delle panelle; il ferragosto in giro in macchina per l’Argentario con l’amica del cuore; la scoperta delle isole più belle del Mediterraneo tra Malta, che sognavo da anni, Maiorca e Minorca; la settimana di mare e di sole nel mezzo dell’inverno italiano a Marsa Alam; il tornare a Londra almeno due volte l’anno; Amsterdam e i mulini di Zaanse Schans; Edimburgo e il paesino universitario di St. Andrews dove incrociare per strada il principe William è stata cosa molto facile; Praga e il vagare di notte sotto la pioggia.
Ma nel frattempo non sono mancati altri viaggi più importanti come quello che per i 18 anni mi ha fatto volare verso il Canada, sempre per migliorare l’inglese, o quello che nel 2003 mi ha fatto scoprire le bellezze e la dura realtà della dittatura dello Zimbabwe, facendomi sperimentare per la prima volta l’infinita nostalgia e il malessere che il mal d’Africa lascia dentro.
E finalmente qualche anno fa ho incontrato il mio perfetto compagno di viaggio – si, perché fondamentalmente a me non piace viaggiare da sola: spostarmi in treno o in areo in solitaria non è un problema, anzi riconosco che mi da modo di fare conoscenze spesso interessanti, ma devo avere qualcuno che mi aspetta dall’altra parte per iniziare il vero viaggio insieme. Dicevo, il compagno di viaggio perfetto, con il quale condivido la curiosità e la passione per la scoperta di paesaggi diversi, volti e culture nuovi, viaggi fatti di zaini e scarpe da ginnastica, vestiti per serate mondane e tacchi lasciati a casa per far posto in valigia a maschera, pinne e macchina fotografica, la voglia di sfruttare al massimo la possibilità di viaggiare per arricchire cuore e mente. Eccoci quindi in un suk polveroso del Cairo, a fotografare un tempio al tramonto a Bali, a camminare sotto la pioggia incessante a Bangkok e mietere chilometri nella savana keniota.
Non mancano comunque le passeggiate per i vicoli stretti di Napoli e il sabato alla scoperta della costiera amalfitana, il correre via dal casino di Montecarlo dopo aver vinto 800 euro alla roulette, una birra al Temple Bar di Dublino; il rincorrerlo e l’accompagnarlo grazie al suo lavoro per lo sconosciuto Borgo a Mazzano – che si è rivelato poi una bella scoperta con il suo Ponte del Diavolo - e Lucca, Berlino, New York, Seattle e Ginevra, che è diventata la nostra seconda base, complicandoci un po’ la vita, ma dandoci anche la grande opportunità di scoprire il volto internazionale di città come Berna e Losanna, comportarci come i frontalieri che vivono in Francia e lavorano in Svizzera, o altri che vivono in Svizzera e fanno la spesa in Francia, attraversare due volte il confine Svizzera-Francia-Svizzera nel giro di pochi chilometri, passare il sabato in borghi minuscoli come Coppet o in piccole cittadine che offrono un ventaglio di attività da fare da riempirti un mese intero, come Interlaken.
Tutto questo per dire che non ho bisogno di andare necessariamente dall’altra parte del mondo per essere contenta, ma necessariamente devo andare in un posto che mi riempia gli occhi di cose belle che mi facciano battere il cuore e trattenere il respiro, riempire la mente di pensieri nuovi che mi aiutino a considerare le stesse situazioni in una chiave diversa, che facciano tornare me stessa a casa un po’ diversa.