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“Che c’entra lo Stato coi problemi personali?” – si chiederà l’avvocato del diavolo. “E comunque, c’è tanta gente che per vergogna tace, non chiede aiuto. Come si può aiutarli? In fondo, Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi erano persone dignitose e troppo e fragili e perciò hanno mollato”. No, non erano fragili, erano persone oneste ma disperate, sole, tradite e vessate da uno Stato che non è al servizio del cittadino bensì pretende che il cittadino sia al suo servizio, avendo ribaltato i termini del patto sociale. Il suicidio di Civitanova è una delle tante sfaccettature del vero dramma di cui tutti siamo partecipi. Lo Stato italiano è un mostro ignobile, disumano, che genera mostruosità per partenogenesi. Il suicidio è in molti casi un estremo gesto di ribellione al mostro, come quello che fece il patriota cecoslovacco Jan Palach nel 1968 a Praga o il “rivoltoso sconosciuto” che sfidò i carri armati cinesi nella piazza di Tienanmen nel 1989. Non sempre ci si ammazza per viltà o stanchezza, per onore o amore. Oppure a causa della disperazione, della depressione, di turbe psichiche. Ci si ammazza illudendosi di riacciuffare in extremis la libertà rubata con l’inganno e la sopraffazione, di gridare al mondo il proprio disgusto. Sul suicidio sono stati versati fiumi d’inchiostro e potrei scriverne a lungo, chiamando in causa filosofi e letterati. Confesso, però, che oggi non me la sento di attingere al pozzo della cultura, come faccio sempre, per sentirmi meglio. La tragica sorte delle anime in pena di Civitanova Marche mi ha tolto ogni voglia di consolazione. Pur tuttavia, si è acceso in me l’uzzolo della provocazione. Lasciatemi citare Giorgio Gaber, che disse: “Bisogna essere prudenti quando ci si ammazza, se no si fanno delle figure”. Non è il caso in questione. La coppia di Civitanova ha agito col massimo rispetto degli altri e con troppa prudenza. Non ha recato danni né fastidio a chicchessia. Sbagliato! Così facendo, i suicidi marchigiani hanno rimediato la figura dei tapini, dei perdenti, dei miserabili. Mi spiegherò meglio ricorrendo a unabattuta sfrontata dell’indimenticabile umorista Marcello Marchesi. “Non sprecate il vostro suicidio, ammazzate prima qualcuno che vi è odioso”. Non bisogna prendere alla lettera questo invito, sia chiaro, ma riflettiamoci su e lo dico soprattutto a chi avesse in mente di togliersi la vita. A tale proposito, è utile chiarire a priori che esistono quattro tipi di suicidio, secondo la tassonomia del sociologo Durkheim: egoistico, altruistico, anomico e fatalista. Voglio qui considerare il suicidio anomico cronico, cioè un grave stato di dissonanza cognitiva fra le proprie aspettative e la realtà, determinata da un mutamento sociale. È in questa categoria che rientra il suicidio di Civitanova. Agli aspiranti suicidi per motivi economici vorrei dare alcuni consigli utili. Non suicidatevi in silenzio, dignitosamente, senza recare disturbo. Fatelo in modo eclatante, togliendovi i sassolini dalle scarpe. Prendetevi qualche soddisfazione e uscite di scena alla grande, con un colpo di teatro. Come? Non me la sento, per ragioni di prudenza, di suggerire i venti/venticinque modi che ho in mente. Non vorrei, qualora qualcuno mi prendesse alla lettera, essere accusato di istigazione alla violenza. Mi limiterò a dare cinque suggerimenti. Primo, considerate che oggi la visibilità è tutto. Prima di compiere il vostro gesto insano organizzate una conferenza stampa, informate delle vostre intenzioni i mass-media, date risonanza all’evento. Secondo, il vostro suicidio dev’essere un evento, naturalmente. Perché sia tale dovete associarlo a un luogo o a personaggi o a fatti rilevanti. Coinvolgete loro malgrado personalità famose o figure istituzionali. Altrimenti non gliene frega niente a nessuno se vi uccidete, non avrete le televisioni che riprendono in diretta e al massimo vi filmerà col telefonino il primo sfigato che passa. Terzo, amplificate lo spazio e il tempo. Non uccidetevi troppo velocemente ma fate durare l’episodio. Siate il regista oltre che l’attore protagonista della vostra rappresentazione. Quarto, traete profitto dal vostro suicidio. Ricavatene denaro oltre che popolarità. Il primo andrà ai vostri eredi, il secondo renderà immortale il vostro nome. Quinto e ultimo, poiché non avete nulla da perdere fate in modo di rovinare chi ha contribuito, direttamente o indirettamente, alla vostra rovina. Fate i nomi, raccontate i fatti. Toglietevi l’ultima soddisfazione: esponete al pubblico ludibrio i funzionari di Stato, lo strozzino, il camorrista o l’amico infido che vi ha fatto precipitare nel baratro senza ritorno. Insomma, trasformate il vostro suicidio nel capolavoro della vostra vita. Avrete avuto l’ultima parola e avrete risposto alla domanda – “Ma si può morire così? – con un sorriso beffardo. Li avrete fregati tutti e nessuno potrà rivalersi su di voi. Naturalmente, è meglio non farlo, intendo darsi la morte. Non sono più i tempi di Seneca e di Cicerone. Benché il suicidio sia l’unico crimine perfetto, è disdicevole che una persona buona, onesta e dignitosa, vada a concludere la sua esistenza macchiandosi di un crimine.
Ci sono altre soluzioni eticamente valide per ammutinarsi alla vita.
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