Qualche considerazione sparsa partendo da uno spunto. Ho scritto qualche tempo

Perchè questo lungo sproloquio intorno a cose note? Solo un discorso ellittico (poteva essere diversamente?) per tornare alla nostra parola che abbiamo detto deve essere decisa. Il problema di molte cose che leggo (e che probabilmente scrivo anch'io) è un difetto appunto di decisione. Che non sta tanto nella selezione di cui si diceva prima, anche se (fattore che forse Jakobson ha tralasciato) per scegliere bisognerebbe pure avere un'idea di quello che il menu della lingua offre, cioè avere un ventaglio di opzioni lessicali che invece molti indizi fanno supporre che si stia drammaticamente restringendo. Questo certo è un fatto, una questione eminentemente culturale, che riguarda non solo chi non sa, ma anche chi preferisce non sapere, chi sceglie la via più semplice (penso ad esempio all'impoverimento del linguaggio giornalistico e dei media, all'ipersemplificazione). No, questa è solo una parte del problema, dato che si può fare eccellente poesia anche con un vocabolario tanto ristretto da essere iperselettivo. Un breve esempio, tra i tanti:
Sono donne che sannoD'accordo, ho fatto un esempio estremo, per molte ragioni (vocabolario volutamente semplificato, primazia del suono e della forma, anastrofe, francesismi, una velata metonimia ecc.), di un testo in cui la selezione è accuratamente asservita alla funzione poetica (degli elementi ad esempio ritmici e rimici: è evidente che il mare non "si sa", che l'aria non "si fa" ecc.). Ma non basterebbe tutto ciò. C'è qui (ripeto, è solo un esempio tra infiniti) un altro paio di cose essenziali al fine poetico: la messa in scena di un'intera compatta sinestesia, tre robusti agganci isotopici (mare, vele, arselle), uno strepitoso finale trappola che ti fulmina, con quel termine inusuale, e ti costringe a fermarti a immaginare quale sapore senta davvero il poeta sulle labbra. O quale forse egli sogni di sentire sulle labbra delle ragazze livornesi che passano cicalando in quel lontano 1938. Ma quel che è più rilevante è che in questo piccolo testo di un grande poeta, nella sua semplice leggerezza, c'è molto poco di "contiguo" in senso spaziale, temporale o logico nella scelta delle parole, poco di "combinato". La contiguità è quella ben più alta dell'io dell'autore con il momento, un io molecolare, tanto calato nel momento da scomparire del tutto. Quindi l'impressione di naturalezza che dà l'aria zampillante e sorgiva di questi versi è assolutamente vera e contemporaneamente del tutto falsa, come abbiamo appena visto. Qui tutta la selezione è orientata abilmente sulla funzione emotiva ed è tale che, in effetti, senti l' "arietta" attraversare la trasparenza dei versi. Il problema di molta poesia che si legge e che si scrive oggi è di segno contrario. Se la base principale del linguaggio è la convenzione sociale che lo regola (ciò che De Saussure chiama langue), una delle spinte che funziona di più nella comunicazione ordinaria è, per ovvie ragioni, la consuetudine. Per quanto sia possibile riscrivere gran parte del corpus poetico italiano utilizzando (quasi) soltanto le 2500 parole del "Vocabolario ad alto uso" di cui parla il De Mauro, uno dei punti critici rimane il meccanismo mentale che ci spinge a stabilire un'equivalenza "minima" o consuetudinaria tra selezione e combinazione. Cioè, in altre parole ci porta, magari dopo essersi lambiccati il cervello, a scegliere una soluzione "facile" o comoda, anzi - come ho avuto modo di dire spesso - confortevole, appagante, sequenziale ("Aspettavo. / E mentre aspettavo / ho visto le foglie d'autunno / seguire il corso del loro declino; / morire nel rosso, / già gialle". Già, in effetti avrebbe potuto andare diversamente? Forse sì, se la poesia fosse stata surrealista). C'è quindi, come ho cercato di sottolineare, un difetto di decisione in questo tipo di scelta. Che, a pensarci bene, non è dissimile dalla scelta che fa chi scrive qualcosa del tipo "il tuo in(de)finito amore": diciamo pure che chi pensa di risolvere la questione in questo modo, cavandosela con poco, sbaglia di grosso (con una battuta direi che qui più che poetico il problema è sentimentale, con buona pace dell'autore). E ancora, ma con qualche differenza, tutte quelle parole composte che ho trovato specie in molta poesia femminile (sanguelinfahumus, tradiscetrasgredisce, ventretempio ecc.), una specie di necessità di "gravidanza" delle parole, che però da una parte crea qualche confusione dall'altra denuncia, ancora, un difetto di focalizzazione del pensiero, là dove invece starebbe bene, ne sono convinto, magari una bella similitudine. E', per usare termini calcistici, un fallo di reazione rispetto a ciò che si diceva poco prima. C'è infatti almeno un altro punto critico, a mio avviso, quello che sta all'opposto, sempre in termini di selezione/combinazione: una ricerca artefatta del discontinuo, del lontano, dello straniante o dell'urtante (un esempio "antico", anni '70: "sicchè carpeggi nell'autorimettere donna / franchezza acclamàti per lustra o demanio / oh pomario, sacchi di menticata senza grugni..." o anche, più recente: "Lo spettro è divenuto barriera cancerogena / quando sei apparsa immacolata dalla stiva del tuo cranio / immobili discendenze facciali altrimenti dette rughe / han preso piede nella morsa dei ricordi dentro me" (*). Ovviamente stiamo parlando solo di alcuni tra quelli che potrebbero essere punti critici in un testo poetico. La poetica del semiasse, come la chiamo scherzosamente, riguarda quindi soprattutto, dal mio punto di vista di lettore, un elemento disturbante, un disequilibrio, un appiattimento all'interno del testo, come se appunto la mancanza di una delle direttrici, dei vettori, rendesse il testo "monodimensionale", afasico, senza una sostanziale prospettiva, una profondità. Non so se riferirsi ai vecchi strumenti citati all'inizio sia ancora utile, è una cosa forse da indagare (in ogni caso lo è nella misura in cui può concorrere alla comprensione del valore del testo). Certi strumenti, certo, non rendono mai spiegabile quel che di indicibile rimane nel linguaggio poetico. E certamente la parola poetica, se mai avesse un compito e un diritto, ha quello di essere in primis anti consuetudinaria e anti conservativa. Ma ha anche quello di essere decisa, almeno nei termini che qui ho cercato di intravedere. (g.c.) (continua, forse...)
così bene il mare
che all'arietta che fanno
a te accanto al passare
senti sulla tua pelle
fresco aprirsi di vele
e alle labbra d'arselle
deliziose querele.
(G. Caproni)
(*) i brani citati sono tutti autentici. Ne ometto gli autori perchè in questo contesto sono solo degli esempi.