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Chissà chi avrà tradotto questa simpatica espressione. Forse sarà stato lo stesso Joseph Raymond McCarthy. Oscuro senatore del Wisconsin, intuì molto bene qual era il clima ideologico che permeava gli Stati Uniti alla fine degli anni '40: le bombe di Hiroshima e Nagasaki erano state un terribile ma chiarissimo avvertimento a quello che era il "vero" nemico, e, una volta liquidati il Reich e i "musi gialli", occorreva impegnare ogni energia per contrastare il dilagante pericolo bolscevico.
I giornali statunitensi seguivano gli avvenimenti della guerra civile cinese con un'attenzione insolita per una stampa ben consapevole di come gli americani fossero generalmente assai poco interessati alla politica estera, ma le cronache del dicembre-gennaio '48-'49 da Nanchino e Shangai appassionavano il grande pubblico, quasi si trattasse di una finale di football. E quando il 31 gennaio '49 si diffuse la notizia che ventimila uomini dell'esercito di Mao erano entrati a Pechino, sembrò quasi che le guardie rosse fossero sbarcate a Boston.
Qualche tempo dopo, alla fine di giugno del '50, quando le truppe coreane del nord attaccarono il sud, il dramma si ripeté: gli strateghi dei mass media amplificarono a dismisura quella che poteva essere una guerra "periferica", un conflitto minore fra due stati sconosciuti, poveri e lontani: e invece si trattò di un confronto durissimo tra Est e Ovest, la prima delle guerre "per procura" combattute fra USA e URSS.
La guerra di Corea terminò nel '53, ed il suo significato simbolico fu straordinario: la sfida aperta tra capitalismo e comunismo.
McCarthy s'inserì assai abilmente in questo clima e iniziò la sua campagna addirittura scagliandosi contro il Dipartimento di Stato (il Ministero degli Esteri) USA, denunciando che il suo apparato, anche ai livelli più alti, era in mano al nemico: oltre duecento fra dirigenti e funzionari, infatti, erano agenti comunisti infiltrati!
Naturalmente molti deputati e senatori dello stesso partito di McCarthy, repubblicano, dichiararono subito che si trattava di una grottesca montatura, ma McCarthy aveva visto giusto: il pericolo rosso era la principale preoccupazione dell'americano medio e a nulla valsero gli inviti alla prudenza ripetuti dai più seri commentatori politici.
Tant'è che McCarthy fece in modo che il Congresso approvasse la costituzione della HUAC, House on Un-American Activities Committee, una Commissione per le attività antiamericane, ed egli stesso ne divenne presidente.
Una svolta senza precedenti: l'anticomunismo non era più una posizione politica, ancorché maggioritaria negli USA, ma una sorta di dogma su cui si misurava "l'americanità" degli americani. E non si trattò solo di un aberrante terrorismo ideologico, ma di un formidabile sistema per individuare e colpire qualsiasi forma di dissenso verso il governo e, in generale, l'american way of life. Di più: era la stessa libertà di pensiero e di critica, pur così cara ai padri della democrazia americana, a venire messa in discussione.
Il Partito Comunista degli USA era una formazione combattiva, a cui guardavano con simpatia molti intellettuali, ma sostanzialmente ininfluente rispetto al rigido bipolarismo statunitense: e non era certo questo piccolo partito (peraltro già abbondantemente infiltrato dall'FBI) l'obiettivo di McCarthy, bensì qualsiasi atteggiamento critico verso l'ordine costituito. E chiunque avesse un tale tipo di comportamento era automaticamente definito "comunista", e come tale doveva essere distrutto.
Del resto la storia americana è segnata - oltre che da grandi spinte democratiche - da momenti di grande oscurantismo e intolleranza: il genocidio dei nativi (le vittime si stimano nell'ordine di alcuni milioni) non fu certo un episodio di esuberanza di qualche colono un po' rude, bensì uno sterminio pianificato, che, ad esempio, vide uno dei primi casi di guerra batteriologica: [*] coperte infestate dal vaiolo furono gentilmente donate dai generali in blu ai capi pellirosse.
Dopo la guerra di secessione (1861-65) i nordisti studiarono un complesso sistema di rappresentanza elettorale degli ex schiavi, in modo che si evitasse un'effettiva parità giuridica tra bianchi e neri. Il presidente Theodore Roosevelt (1901-1908) fu un sostenitore sfegatato delle idee razziste, tanto da essere citato come "fulgido esempio" dai teorici nazisti. Et cetera.
L'FBI controllava da tempo le principali biblioteche del paese, schedando tutti coloro che visionavano o prendevano in prestito libri considerati "sovversivi"; ma, soprattutto, aveva avviato un dettagliato programma investigativo su tutti gli impiegati dell'amministrazione pubblica, servendosi di testimonianze provenienti da fonti anonime che i sottoposti all'indagine non erano in grado di identificare o con cui non potevano confrontarsi.
E così McCarthy aveva una cospicua base documentaria su cui impostare il proprio lavoro, il cui aspetto più rilevante - e di maggior impatto mediatico - erano le audizioni condotte in Senato.
L'ambiente di Hollywood fu un terreno di caccia particolarmente favorevole: vi lavoravano molte persone costrette a emigrare dall'Europa dopo l'avvento dei fascismi, e anche qui vennero colpiti non solo gli elementi dichiaratamente di sinistra, ma pure quelli genericamente liberali.
Charlie Chaplin fu una delle persone accusate di attività antiamericane, e l'FBI intervenne affinché venisse cancellato il suo visto di rientro, quando lasciò gli USA per un soggiorno in Europa nel 1952; e, in effetti, la sua carriera cinematografica fu stroncata, nonostante che egli non venisse trovato colpevole di alcun reato.
Rispetto al maccartismo il mondo di Hollywood non fu certo entusiasta delle purghe anticomuniste (tranne John Wayne, naturalmente...): all'inizio molti resistettero ma poi finirono col cedere e collaborarono con la Commissione per le attività antiamericane: in ciò si distinse non solo il regista Elia Kazan, ma anche un'icona come Gary Cooper - il tipico americano medio, serio, coraggioso, di sani principi - che in una vergognosa deposizione denunciò vigliaccamente molti colleghi; il grande Walt Disney collaborò intensamente con l'FBI, fornendo informazioni sulle persone "sospette" che lavoravano nell'ambito dell'industria cinematografica. (Altrettanto fece Elvis Presley nei confronti di coloro che lavoravano nell'industria discografica)
Ci fu chi venne distrutto professionalmente e moralmente, come John Garfield e Sterling Hayden, e chi per non scendere a compromessi espatriò: fra di essi Joseph Losey e Jules Dassin; altri ancora attuarono una sorta di opposizione interna al sistema, come Humprey Bogart, John Huston, Billy Wilder, e persino il conservatore John Ford.
In tutta questa vicenda delle liste nere particolare clamore suscitò il caso dei cosiddetti «Dieci di Hollywood», persone che, salvo alcuni, lavoravano nell’industria cinematografica in posizioni non particolarmente rilevanti, ma che divennero un simbolo della resistenza morale alla paranoia collettiva: convocati di fronte alla Commissione per le attività antiamericane, si rifiutarono in blocco di deporre e furono condannati a varie pene detentive; erano considerati tutti comunisti, e la loro convocazione di fronte alla Commissione doveva seìrvire come esempio per tutta l’industria culturale.
I «Dieci di Hollywood» in realtà erano... nove (Alvah Bessie, Herbert Biberman, Lester Cole, John Howard Lawson, Ring Lardner, Albert Maltz, Samuel Ornitz, Adrian Scott e Dalton Trumbo), perché il decimo, Edward Dmytryk, si dissociò quasi subito dalla protesta, collaborando con la Commissione come aveva fatto Kazan. A tutti loro fu proibito di lavorare a Hollywood per periodi più o meno lunghi, e solo alcuni poterono tornare ad Hollywood sotto pseudonimo: il caso più eclatante fu quello dello sceneggiatore e regista Trumbo, che firmandosi Robert Rich vinse un Oscar per la sceneggiatura con The Brave One (La più grande corrida).
Gli elementi più pubblicamente visibili del maccartismo furono i processi a coloro i quali vennero accusati di essere agenti comunisti all'interno degli apparati governativi. Il processo più famoso fu quello subito da Ethel e Julius Rosenberg, accusati di aver passato all'URSS documenti segreti sui progetti nucleari, che si concluse tragicamente con la loro condanna a morte. Tali processi si basavano sulle notizie fornite da informatori spesso del tutto inattendibili, e molte di queste deposizioni si rivelarono poi false.
Conseguenze meno drammatiche, ma comunque rilevanti, si abbatterono su centinaia di insegnanti, intellettuali, scrittori (Dashiell Hammett, fra tutti).
La crociata anticomunista di McCarthy entrò in crisi nel 1954, quando le sue udienze vennero trasmesse in televisione, permettendo al pubblico di farsi un'idea diretta delle tecniche da inquisizione stalinista. La stampa iniziò anche a informare su come McCarthy avesse rovinato la vita di molte persone con accuse non supportate da nessuna prova o da prove false: fece grande scalpore la circostanza in cui il Procuratore Capo dell'esercito, esasperato dalla grossolanità di McCarthy, lo apostrofò: "Signore, non ha nessun senso della decenza, in fin dei conti?".
La credibilità di McCarthy presso l'opinione pubblica subì un duro colpo ed egli stesso venne indagato dal Senato per non aver cooperato con i membri del comitato investigativo, e per averli definiti pubblicamente gli "agenti involontari" e i "procuratori de facto" del Partito Comunista. Dopo tale censura a McCarthy venne tolta la presidenza della Commissione e i giornali smisero di dare notizia delle sue isteriche denunce sulle "cospirazioni comuniste".
Da allora il termine maccartismo è entrato in uso per indicare repressioni di massa, persecuzioni, schedature, all'insegna dell'anticomunismo.
L'opera teatrale di Arthur Miller Il Crogiolo, scritta durante l'epoca di McCarthy, utilizzò il processo alle streghe di Salem come metafora del maccartismo, suggerendo che una tale persecuzione può avvenire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo: di qui l'espressione caccia alle streghe per definire quel periodo. Fahrenheit 451, di Ray Bradbury (1953) parla di un mondo in cui leggere o possedere libri è considerato un grave reato...
Fin da subito dopo l'era di McCarthy, i timori di rinnovate forme di persecuzione maccartista si sono rinnovati. Ad esempio, nel 2003 vi furono pesanti forme d'intolleranza verso gli appartenenti all'industria cinematografica e televisiva contrari alla Guerra in Iraq: molti sono stati accusati di essere "anti-americani" o "non patriottici", per aver preso pubblicamente posizione su questioni di coscienza, o per aver semplicemente espresso punti di vista opposti a quelli del governo.
Ma, purtroppo, l'ignobile Patriot Act è stato votato quasi all'unanimità dal Congresso statunitense. E l'NSA, la National Security Agency, ha potuto sorvegliare impunemente milioni di telefonate, e mail, fax, dei ciittadini statunitensi.
[*]La guerra batteriologica risale almeno al 1347 quando truppe tartare, impegnate nell'assedio del presidio genovese di Caffa sul Mar Nero, catapultarono all'interno della fortezza cadaveri di appestati: trasportata dalle navi dei genovesi in fuga, la Morte Nera sbarcò in Europa dove sterminò in appena tre anni 20 milioni di persone.
Quattro secoli dopo, la propagazione intenzionale di infezioni sconosciute e quindi micidiali, costella l'espansione del colonialismo europeo: nel 1763 Sir Jeffrey Amherst, governatore della Nova Scotia diffuse tra i pellerossa coperte infettate di vaiolo; più o meno nello stesso periodo gli inglesi mandarono tra i Maori (che popolavano allora la Nuova Zelanda) gruppi di prostitute infettate dalla sifilide: ben presto le popolazioni indigene furono sterminate.
Durante la II guerra mondiale i giapponesi disseminarono in Manciuria la peste e il colera; crollato l'Impero del Sol Levante, il responsabile di questo progetto non solo non venne processato come criminale di guerra, ma fu invitato negli Stati Uniti a collaborare al funzionamento del più grosso centro di guerra batteriologica americano, Fort Detrick, dove dal 1942 venivano selezionati, prodotti e stivati in bombe o testate missilistiche germi di malattie quali peste, morva, tifo petecchiale, carbonchio...
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