La notizia, e cioè che l’Unione Europea non paga adeguatamente, cioè come dovrebbe, i diritti di pesca al Madagascar, è emersa da una recentissima ricerca di una università canadese.
Esattamente la “British Columbia”, che definisce i rapporti tra l’UE e il Madagascar semplicemente, e non è proprio poco, molto iniqui e di sfruttamento.
Infatti, secondo lo studio, l’Unione Europea continua a pagare oggi quello che pagava circa vent’anni fa e pesca, grazie ai moderni sistemi, molto più pesce di allora.
I ricercatori hanno rilevato che dal 1986 ad oggi le quote della pesca dell’Unione Europea nei mari dell’isola africana sono cresciute del 30% e i costi, invece, sono diminuiti del 20%. Questo modo di procedere determina il risultato che il ricavato annuale del settore pesca per il Madagascar è diminuito addirittura del 90%, prendendo in esame il periodo 1986-2010.
Un regalo, insomma, all'Europa in cambio della fame per i pescatori malgasci.
Perché così non fosse, occorrerebbe che i costi per l’accesso alla pesca dell'UE dovrebbero essere basati sul valore di mercato di quello che viene pescato.
E non su di una quota fissa. Come continua ad avvenire.
Attualmente, sempre secondo il rapporto della “British Columbia” gli europei pagano un costo che è l’equivalente del meno 3% del totale del pescato per accedere alle risorse del Madagascar.
Inoltre servendosi di flotte agevolate, creando alti margini di profitto per compagnie private (uno sfruttamento analogo in Madagascar riguarda anche la terra e le multinazionali straniere agricole e no e ha prodotto destabilizzazione politica) e non rispettando affatto l’impegno preso nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, in direzione dei quali era sottinteso dovessero essere incanalati i profitti ottenuti.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)