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Ma…di già?!?!

Da Pamirilla

 

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Ecco, lo sapevo! Lo sapevo che andava così!

Per questo mi era venuto un groppo in gola e avevo cominciato a piangere lacrime silenziose e spaventate, inarrestabili come una falla nelle condutture idriche italiane.

Era giusto ieri, o poco prima, che sembrava dovessimo morire tutti arrostiti tra roghi e siccità e i pomeriggi ci si nascondeva in casa, nella penombra a sperare che il sole ed i suoi raggi incandescenti non ci trovassero e passassero oltre, ad accanirsi su qualcun altro.

Poi è arrivato Il Giorno. Solo mio, una tragedia personale. Il temporale aveva finalmente schiarito l’aria, addolcito i colori, esaltato i profumi ed io lì, a passeggiarci in mezzo…pensavo…al Giorno….già arrivato e proprio sul più bello, porca miseria.

Camminando in mezzo agli alberi ancora in festa per la pioggia ritrovata, sotto a quel cielo carico di dolcezze, intinto d’azzurro, sono scivolata piano lungo il fiume e sui profumi dell’erba e del fieno e dei fichi caduti dai rami.

Qualche fico, confesso, me lo sono anche mangiato. Ok, parecchi fichi.

Me ne stavo sospesa sul panorama che preferisco con le mani imbrattate dal micidiale siero di fico quando mi si è spezzato il cuore. Perché lo sapevo, accidenti, lo sapevo, che bastava un gesto, un movimento e tutto sarebbe sparito!!!

Il gesto è stato montare in macchina e raggiungere Il Giorno, quello in cui dovevo per forza trovarmi a Roma.

È stato come scendere all’inferno con un ascensore ultra rapido, un inferno fatto di temperature da vapoforno e popolato da demoni assetati di sangue ingannevolmente travestiti da automobilisti, pensionati e badanti dell’Est. Dopo 24 ore ho pensato “Io me ne vado su-bi-to!” e dopo 48 era già con la valigia vuota in mano che, agitandomi su e giù per tutta casa, mi dicevo “Ora la riempio e scappo, ora la riempio, sì. E scappo.” Ma dovevo rimanere e sono rimasta e poi i giorni sono diventati tre e quattro e cinque e come Circe ad Ulisse Roma mi ha stordita e incantata e non mi lasciava più andar via. Prima mi ha blandita con il temporale e, scese le temperature, mi ha indotta a credere che poi non si stava così male. E qualcuno mi ha sorriso per strada per illudermi che fossi a casa, al sicuro e non altrove. E poi cose da fare e incontri e lavoro, persone e i giorni sono passati. E stavo quasi……per cedere…..oblio……..

MA neanche per sogno!

Infine ho raccolto il senno rimasto, ho caricato armi, bagagli e gatto in macchina tra i bus che sbuffavano e gli automobilisti feroci che strombettavano, sono partita, ho imboccato l’autostrada e ho sopportato tutti i 200 e passa chilometri di strada assaporando il mio piccolo paradiso ed il mio trionfale ritorno nella casa di pietra sospesa in volo sulla valle.

Peccato che quando sono finalmente arrivata, nel buio più pesto perché ormai le giornate si sono ristrette e accorciate come un vestito cinese a seguito di un lavaggio in lavatrice decisamente sbagliato, qui impazzava la Grande Festa del Perdono e ho trovato il paese assediato da giostre e banchetti e tutte le strade di accesso chiuse. Così ho dovuto lasciare la macchina a un chilometro da casa e, smoccolando e turpiloquiando in tutte le numerose lingue che conosco, mi sono caricata armi, bagagli e gatto facendo il mio ingresso trionfale nel paese in festa nella vesti di un somaro porta bagagli e sudando come un maiale allo scanno. A casa ho cercato di recuperare un po’ di dignità con una doccia e un cambio d’abito e spero che nella confusione non mi abbiano notato in molti (anche se il paese è piccolo e la gente mormora ed io proprio inosservata non passo mai, sich).

Ma il giorno seguente ero già a parlar male delle giostre chiassose e delle bancarelle inutili con i miei amici “compaesani” e poi sono arrivati i fuochi e hanno spazzato via tutto: la festa, la confusione e l’estate.

Eggià…..l’estate? Dov’è finita?

La piazza ora è sgombra ed il paese, di nuovo calmo, sembra precipitato in una bolla di silenzio attonito.

Il cielo è grigio, il vento freddo. I vestiti estivi sono improvvisamente ridicoli ed inopportuni e la casa che ricordavo inondata di sole e di luce è buia e fredda.

Lo sapevo, lo sapevo che se mollavo perdevo tutto!!!!

È settembre, il mese delle magie improvvise. Non puoi sapere quando accade, è un attimo. Devi essere attento e pronto ad assaporarlo. C’è una vertigine tra l’estate e l’autunno, una falla che si apre inaspettata. È un battito di ciglia, l’incanto di un istante.

Ecco che l’estate si è dissolta, si è sbriciolata ed è volata via in polvere e il vento ha portato profumi nuovi. Nell’aria echi di pioggia e bagliori d’arancio.

Io non mi sento pronta, non voglio lasciar andar via questo momento che mi parla di incantesimi e promette doni e sorprese ma anche annuncia il buio e il freddo e l’inverno. Non volevo perdere un solo istante di questi giorni speciali e volevo viverli tutti qui, in questo posto che amo alla follia e che presto potrebbe non essere più mio. Invece non c’ero e intanto la giostra ha girato.

E va bene, è andata così.

Questa casa mi accoglie ancora per pochi giorni e io conto ogni minuto ed ogni gesto che so essere ultimo.

Presto dovrò tornare a Roma e sarà ….per sempre?…se c’è un “per sempre” nella mia vita.

Spero in una sorpresa, in una magia di settembre.

In fondo chissà cosa potrebbe succedere….

Respiro forte e mi infilo un paio di calzini sui piedi infreddoliti, lancio lo sguardo più lontano che posso a rimbalzare in fondo alla valle e vorrei afferrare tutto quello che vedo, mangiarlo, farlo mio.

Siedo davanti all’ultima finestra ancora ostinatamente aperta sui timidi raggi di sole di fine estate, carezzata dal vento che agita i panni stesi al di la del fiume, ascolto lo stormire delle foglie ed il gorgoglio del fiume che mi sussurrano parole dolci e mi fanno sorridere.

In fondo chissà cosa potrebbe ancora succedere…..

 

E per i corsi……per tutti quelli che mi hanno scritto e per quelli che ci stanno ancora pensando ecco: la primizia d’autunno


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