24 novembre 2011 Lascia un commento
La morte dimora nel cuore di lei ma non riesce ad entrare nella testa di lui e a ruoli invertiti l’accudisce come una figlia, in braccio la porta fuori all’aria aperta e la pettina, le parla piano, la disseta e l’accarezza accontentandola nei ricordi, nelle domande, aprendosi alle sue richieste.
La madre ha paura della morte ma il figlio e’ nato intelligente, col cuore di pietra e la sua paura, il suo dolore, sono in un luogo lontano, serve camminare, poi fermarsi, infine accettare e solo allora, in quel posto in quel tempo, lasciarsi andare e del resto un uomo vive con l’amore di una donna ma muore solo e al contrario la donna che dedica la sua esistenza sempre a qualcuno, non puo’ morire sola, mai.
I dialoghi tra i due sono essenziali, qualche ripasso della vita che e’ stata, molti timori su cosa accadra’, parole di amici di un tempo, forse vecchi sentimenti, amore che si confonde in universale magma emotivo.
Paesaggi onirici in una natura mai matrigna anche di fronte alla morte anzi e’ possente l’immergersi in essa e l’accettazione di quanto accade, evocativa la figura della donna quasi immobile fusa nei colori delle piante, delle foglie e dell’erba perche’ non si torna alla terra, dalla terra non ci allontana mai.
Sokurov nella rappresentazione, abbonda con l’uso delle lenti anamorfiche, tecnica di minor sfoggio in "Padre e figlio" per quanto anche li’ presente e parimenti usata nel definire la dimensione unica e sfalsata dei protagonisti, creature rese aliene al resto del mondo dall’amore reciproco.
In qualche modo l’ho trovato toccante ma non commovente, troppo potente l’esperienza di continuita’ anche innanzi ai traumi che vita e morte procurano e l’appartenenza ad un unico cosmico Esistere e’ la piu’ importante delle ragioni per le quali infine, esiste un luogo nel quale ci ritroveremo.
Opera di immagini, il testo e’ talmente grande da essere sottinteso.
Scheda IMDB