Mafia albanese, un’epopea criminale

Creato il 28 ottobre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Federico Giamperoli

da NarcomafieC’erano una volta l’ondata migratoria albanese, la marea umana che scatenava il primo grande dibattito sull’immigrazione e ci bloccava sette anni sulla ratifica dei trattati di Schenghen. Oggi molta acqua è passata sotto i ponti e i centinaia di migliaia di albanesi che vivono, studiano e lavorano onestamente nel nostro Paese hanno più visibilità degli allarmi di allora sulla delinquenza e il degrado che potevano portare in casa nostra. Quel clima di emergenza però si è lasciato dietro un effetto controproducente curioso: appena gli albanesi hanno smesso di essere “ brutti, sporchi e cattivi” agli occhi di chi li denigrava, di criminalità albanese si è smesso di discutere, e di quella organizzata non si è mai nemmeno cominciato a parlare. Anche se gli albanesi che fuggivano dal loro Paese ne erano, e ne sono tutt’ora, soprattutto vittime.Ma la criminalità organizzata non segue la visibilità mediatica; e, provvista di notorietà o no, la criminalità organizzata albanese e kosovara è presente, in Italia ed in Europa. E da 15 anni è una novità prorompente del panorama delle piovre criminali del continente.All’inizio degli anni ’90 era solo un consorzio di traghettatori di clandestini tra le due sponde dell’Adriatico; speculatori senza scrupoli della disperazione partorita dal crollo del peggior regime comunista europeo. Poi un veloce susseguirsi di vicende sia esogene che endogene l’ha portata ad una scalata senza precedenti nel mondo delle nuove mafie. Dopo i clandestini e il feroce sfruttamento dei braccianti e della prostituzione fu la volta della guerra civile jugoslava e dei traffici di armi: il link decisivo per mettere le mani anche sulla droga, essendo i due traffici il più delle volte paralleli. Nel 1997 il collasso del neo-capitalismo da operetta messo in piedi da Sali Berisha, con la privatizzazione dell’economia albanese degenerata un colossale “schema di Ponzi” finanziario, le consorterie criminali si infiltrarono e presero la guida delle rivolte armate conseguenti; il momento del controllo territoriale.Infine, le due manne dal cielo: nel 1999 la bombe della NATO scacciarono i serbi dal Kosovo e i guerriglieri indipendentisti dell’UCK divennero un braccio armato dei padrini di Tirana e Durazzo. Così, sotto la copertura militare (ed il naso) dell’Occidente, la neonata repubblica balcanica degenerò ben presto in una zona franca di traffici illeciti globali. La seconda manna tardò poco ad arrivare: l’11 settembre, la guerra in Afghanistan e l’anarchia che ne seguì fecero esplodere le coltivazioni di oppio. I signori della guerra- Al-qaedisti o meno- ne fecero la loro miniera d’oro e una valanga di eroina “brown sugar” (cosiddetta per il colore e l’aspetto appena raffinata) si diresse sull’Europa attraverso i porossissimi e corrotti confini dell’ex-URSS, iraniani e dell’instabile Caucaso.Il Kosovo è li ad attendere, avamposto ideale verso i mercati di sbocco, mentre i concorrenti potenziali nell’affare della sponda italiana si sono rarefatti: nessuno si aspetta il ritorno dell’eroina, nell’era della coca e dello sballo chimico. La camorra casalese dà il benvenuto ai nuovi arrivati con proficui traffici incrociati; Cosa nostra boccheggia e cede alla ‘ndrangheta il maxi affare della cocaina e del riciclaggio finanziario e imprenditoriale. Le cosche pugliesi, che negli anni d’oro della tratta dei migranti sono stati i referenti primari dei nascenti gruppi mafiosi dell’altra sponda del mare Adriatico,vengono letteralmente surclassate dai nuovi arrivati e si avviano al declino.Il resto è cronaca dei 2000: il quasi monopolio delle mafie albanesi sulla distribuzione dell’eroina si estende anche in Germania, Benelux,  Nord-Europa e Gran Bretagna, detronizzando trafficanti turchi e curdi. Ma è nel nostro Paese che la presenza delle mafie albanesi e dell’annesso traffico di eroina di ritorno assume i quantitativi più spettacolari: nel 2005 l’osservatorio internazionale sul traffico di droga certifica, nel silenzio generale, che l’Italia è giunta al settimo posto al mondo per quantitativi di eroina sequestrata dalle forze dell’ordine: più che in Germania, Francia e Spagna messe assieme.La domanda sorge spontanea: da dove arriva questo ritorno ? Oggi le sostanze che tirano sul mercato sono ben altre: le chimiche per lo sballo serale, mentre la cocaina si assume sul lavoro sia tra gli operai che tra gli impiegati, per saltare il pranzo sulle impalcature come per essere aggressivi in tribunale; è la droga del nostro tempo, adatta a rispondere alle richieste di un mondo del lavoro precario e che non concede soste. Le risposte sono due: innanzitutto non si tratta di un ritorno del “buco”: la brown sugar si fuma, grazie alla lavorazione e raffinazione in “cristalli” frantumati; non richiede alcun particolare supporto tecnico di consumo ed elimina la paura del contagio di AIDS tipica dell’utilizzo delle siringhe. Ma è una delle ragioni del consumo che ha sorpreso gli investigatori: osservando Milano, dove i consumatori cronici di cocaina non sarebbero meno di 20mila, l’anti-droga scopre che proprio tra di essi è più facile iniziare il consumo di eroina da fumo, per rilassare gli effetti dell’abuso di coca che provoca alterazioni nervose, aggressività e tachicardia. Le cronache criminali delle metropoli italiane danno segnali inquietanti: a Torino, Milano e Genova si trovano ragazzini di 16 anni che fumano eroina, acquistandola ad un quarto del costo di una dose “da buco” di 20 anni fa. E come la coca, anche la nuova tendenza è assolutamente interclassista nella sua diffusione.L’ultima novità riguarda però ancora l’Albania; mentre le bolle immobiliari di mezzo mondo crollano sotto i colpi della crisi economica, sui porti di Valona e Durazzo si affacciano senza sosta nuovi cantieri edili. Sorgono casermoni, alberghi e 5 stelle e supermercati, mentre il centro di Tirana si trasforma lentamente in una piccola Las Vegas adriatica. Nessun economista però si illude: la crisi ha colpito sia gli investimenti esteri (l’Albania è il primo Paese al mondo a vedere scomparire i ristoranti di McDonald’s) che le rimesse degli emigrati, il 15% del PIL nazionale, e l’ondata di cemento non sembra avere molto a che fare con l’economia ufficiale.

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