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È ineludibile, poi, completare la troppo frettolosa riforma della legge sullo scioglimento dei consigli comunali, inserita nel 2009 in uno dei tanti pacchetti sicurezza. In particolare, occorrerebbe rafforzare ed estendere le cause di ineleggibilità per gli amministratori collusi, modificare i criteri di scelta dei commissari (da individuarsi fra soggetti esperti di gestione), consentire loro di operare anche in deroga alle regole del patto di stabilità per rilanciare l'attività di governo degli enti sciolti, includere nel procedimento le società private o partecipate che svolgono servizi in house. Infine andrebbe introdotto lo scioglimento anche per i consigli regionali inquinati dalle mafie: le indagini (non solo sulla Lombardia) dimostrano quanto le cosche siano interessate a quelli che sono i più importanti centri di spesa oggi esistenti. Non è un ostacolo su questa strada la Costituzione, che anzi prevede già all'articolo 126 un'ipotesi di scioglimento (per motivi di sicurezza nazionale o per atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge), da rendere cogente anche per questa specifica tipologia.
Con riferimento alle infiltrazioni nel mondo dell'economia, è urgente la regolamentazione dell'auto-riciclaggio. Oggi si assiste alla situazione paradossale per cui un mafioso che ripulisca, anche reinvestendolo, il suo stesso denaro illecito non può essere per questo punito. Anche in questa prospettiva sarebbe utile rivedere l'attuale inutile delitto di falso in bilancio, rendendolo effettivo e idoneo anche a verificare preventive «strane» iniezioni di denaro nelle società. E sarebbe necessario emendare la parte del codice antimafia - strumento varato con un gran battage ma nei fatti apparso molto meno utile - per rafforzare la disciplina delle certificazioni antimafia (che ancora oggi sono un mero controllo formale) e prevedere la stazione unica appaltante, da utilizzarsi obbligatoriamente da parte degli enti locali infiltrati, con la presenza di esperti delle forze dell'ordine (finanza e Dia) che monitorino gli appalti anche nella fase esecutiva.
Per finire, il capitolo sui beni confiscati. Non basta più l'idea di una destinazione meramente simbolica a fini sociali, devono trasformarsi in occasioni vere di lavoro. Meno ludoteche e centri per gli anziani, quindi, e più cooperative di giovani di produzione e lavoro. Non deve essere un tabù neanche la vendita (con le necessarie garanzie per evitare riacquisti indebiti) di beni non utili allo scopo; per far ciò bisogna rivitalizzare l'Agenzia, che funziona poco e male, dando a essa disponibilità economiche e materiali e creando altre sedi sui territori; e bisogna garantire provvidenze temporanee a favore di imprese avviate su beni confiscati alla mafia o per imprese tolte alle mafie; il fallimento di queste è una sconfitta pericolosissima anche sul piano dell'immagine e della credibilità delle istituzioni, perché dà l'impressione che dove la mafia porta lavoro, lo Stato lo toglie.
Al di là delle modeste proposte fatte, l'augurio vero è che il contrasto alle mafie possa essere una priorità vera; è inutile girarci intorno, se non ci liberiamo di questa zavorra sarà davvero difficile sperare di svoltare e metterci al pari con gli altri stati occidentali.
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