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Mafiosi e Scrittori – le regole di Iannozzi Giuseppe

Creato il 17 dicembre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Mafiosi e Scrittori – le regole di Iannozzi GiuseppeMafiosi e Scrittori
Le mie regole

di Iannozzi Giuseppe

1.Gli scrittori e i mafiosi sono sullo stesso piano: solo che i primi usano la macchina per scrivere anziché pistola e pallottole. Comunque è solo una sottigliezza che col tempo cesserà di esistere; presto, molto presto, gli scrittori scriveranno col sangue dei morti ammazzati caduti proprio davanti ai loro piedi.

Oggi chi apre la bocca per dire di un libro, se non tira fuori almeno almeno una lode sperticata, ma al contrario giusto un appunto o una nota negativa, tempo due minuti e si trova col cranio fracassato da una Olivetti 35, come minimo.

Tuttavia domani sarà tutto molto più semplice: un paio di colpi, una pallottola al cuore e una in mezzo alla fronte per maggior sicurezza e il tizio che avrà osato esporre un giudizio negativo sarà sol più buono per l’obitorio.

Finalmente niente più teste spaccate che nella bara rimangono senza volto, irriconoscibili persino a mogli fidanzate e madri. Finalmente anche i critici avranno un volto nella morte bello come la morte: la pallida fronte avrà giusto un tappo di cera, quasi invisibile, e il cuore seppur attraversato da parte a parte non lo vedrà nessuno sotto lo smoking, quello bello che il malcapitato criticone non aveva ancora finito di pagare.

2. Sconsiglio vivamente di uscire, soprattutto nelle ore del crepuscolo: c’è sempre qualche scrittore in libertà vigilata con una stilografica in mano pronto a piantarla in mezzo alle scapole del malcapitato, quand’è fortunato. No, perché ci sono pure gli scrittori-attentatori-mafiosetti che tendono dei veri e propri agguati a critici e giornalisti. Se non dispongono d’una pistola, non si fanno mica problemi: li accoppano con risme di carta da 500 e passa fogli, e poco importa che si tratti di cartaccia riciclata o di autentica polpa di abete, perché quando te la danno sulla capoccia il cervello trema tutto, peggio d’un budino finito sulla sedia elettrica. Poi c’è anche da dire che non si accontentano di un colpo e basta, giusto per portare un avvertimento: ci vanno giù e ancora giù e ancora giù pesante, fino a che non vedono la loro vittima a terra, esanime, senza più un alito di vita. Se non vedono la testa spaccata che versa sangue nel primo tombino utile, quelli non si fermano. Sono terribili, peggio di qualsiasi Padrino. Sono scrittori fondamentalisti per cui portare la Morte è una vera e propria missione di sangue.

3. Ho l’impressione che la deriva che hanno preso alcuni scrittori sia quella del capolavorismo – neologismo davvero brutto, più d’un colpo da tempia a tempia -, per cui ogni libro perché stampato non può che essere assolutamente bello, in quanto sopravvive il pregiudizio, pregiudizio assai ingenuo ma non troppo, che il semplice fatto di scrivere con un minimo di grammatica faccia di qualunque broccolo un mezzo genio un angelo e in alcuni casi persino un Rimbaud caduto. C’è gente che la meritocrazia non sa dove stia di casa, per il semplice fatto che la meritocrazia la odiano, proprio come Lucifero si dice avveleni da sempre il cuore di Dio col suo odio. Sono in molti a non capire che il capolavorismo è quella peste di cui parlava Camus. C’è gente che di fronte a una stroncatura non può fare a meno di gridare “Allo scandalo!”. C’è tanta gente, sempre in numero più alto del necessario. Ahinoi, tutti sono uguali a tutti, topi che squittiscono, che fuori dai tombini vengono alla luce, partoriti dalle fogne solo per rimettere un bolo di sangue e subito morire, lasciando occhietti neri fissi al cielo che eppure è azzurro. Il capolavorismo è così: una volta che entra nell’individuo ci resta, fino a che o morte o guarigione. Peccato che la guarigione sia qualcosa che sfida il concetto stesso di miracolo… ne consegue che gl’individui colpiti vivono di peste finché l’organismo e lo spirito glielo consentono, dopodiché muoiono, finalmente consegnati all’Oblio. Però sin tanto che riescono a respirare, nonostante bubboni e boli di sangue in gola a strozzargli la voce, non riescono davvero a trattenersi dall’evitare di contagiare chiunque gli capiti a tiro, a portata di bocca – con un bacio di Giuda -, a portata di orecchio – con un sussurro di Jago. E’ così che accade, ahinoi, è questa la tragedia del nostro tempo. E’ questo il motivo precipuo per cui evito che la gente mi si faccia troppo dappresso, che tenti di baciarmi agli angoli della bocca o su di essa con o senza lingua. E’ per questo motivo che evito di ascoltare la tanta gentaglia che vorrebbe confessarmi nell’orecchio parole, parole, parole d’amore di odio di convincimento. Di appestamento.

4. La quarta di copertina è un piccolo gioiello, spesse volte migliore di quello che dovrebbe essere il libro vero e proprio firmato dell’autore. Ho letto anche bellissimi libri di soli riassunti. Praticamente una testa d’uovo si è preso il disturbo di leggersi, che so!, un centinaio di libri e di questi cento ne ha fatto il riassunto – roba da fumati! – che uno direbbe proprio inutile; ed invece quell’unica testa è riuscita a trasformare quelle che in realtà, nonché in origine, erano delle autentiche ciofeche in piccoli gioielli della letteratura. Leggere la quarta di copertina ha fatto sì che molti autori siano stati risparmiati dalla mia ira, perché se neanche quella fosse stata buona, allora li avrei scagliati nel caminetto affinché l’inferno li consumasse con amorevole lentezza.

5. Charles Bukowski è stato uno dei pochi veri scrittori della Letteratura contemporanea perché non era uno scrittore, era uno che stava comodamente tra scarafaggi emorragie e blatte, tra corse di cavalli puttane e timidi brufoli, proprio nell’occhio di una anarchia lontana dagli idealismi di destra o di sinistra. Era un gran stronzo, con un cuore di cazzo. Era tutto quello che oggi le fighe e i fighetti non saranno mai.

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