Magazine Diario personale

Magnifiche sorti e progressive – autore Sara

Da Michele Orefice @morefice73

spartano

 

Ci vantiamo di vivere in paesi civili, ma non conosciamo il senso di questa parola. Siamo la civiltà dei grandi progressi e conquiste. Ci riempiamo la bocca di diritti e conquiste. Siamo i grandi eredi dell’illuminismo e illuminati dalla dea ragione, galoppiamo veloci verso le “magnifiche sorti e progressive”, per usare le parole di Leopardi. Questo è quello che ricordo di aver studiato al liceo. L’uscita dell’uomo dal medioevo buio e ottenebrato e l’entrata nei secoli illuminati.

In questi giorni hanno approvato  in Belgio la legge che ammette l’eutanasia anche per i minori. E’ un fatto che deve farci meditare. Siamo arrivati nel XXI secolo per dichiarare anche per legge che la vita non ha valore. Siamo arrivati fin qui per dire che di fronte alla malattia o alla sofferenza, il rimedio è l’eliminazione di una vita umana. L’aver esteso l’eutanasia, pratica che non condivido, anche ai minori significa che siamo gli stessi barbari che abitavano a Sparta e buttavano i bambini giù dalla rupe tarpea. Tanti secoli sono passati per niente. Dal passato continuiamo a non imparare nulla. L’autoritarismo nazista aveva approvato leggi che portano a conseguenze simili a quelle belghe. Curioso come l’autoritarismo e l’estrema libertà cui oggi ci ispiriamo portino a risultati simili. Per non tacere  il fatto che Hitler aveva con il “copia incolla” riesumato leggi “partorite” durante e dopo la rivoluzione francese che sotto lo slogan “libertà, egalitè e balle varie” ha partorito anche parecchie mostruosità.

Da giurista sottolineo l’incongruenza fra quelle norme che ritengono i minori incapaci di compiere atti giuridicamente importanti (di valore economico consistente oppure vietano atti personali come il matrimonio ecc) e questa nuova legge che però ritiene che un minore possa decidere di porre fine alla propria vita. E’ logicamente, oltre che umanamente, aberrante.

Non posso non raccontarvi la nostra esperienza personale. Quando si pensa ad un minore ammalato, non si racconta di tutto il contorno. Contorno che a volte è importantissimo. I quattro mesi passati in ospedale accanto a mia figlia Virginia sono stati umanamente molto arricchenti. La nostra famiglia compresi i parenti si è stretta attorno a lei. Si è creata una solidarietà enorme. Tantissime persone che neppure conoscevamo ma che di noi avevano sentito parlare per interposte persone, hanno pregato per noi. Il personale medico e le infermiere hanno creato un’atmosfera magnifica. Ho ricordi dolcissimi di conforto e aiuto. Ricordo un’infermiera che ha passato un’intera notte a cantare per Virginia per evitare che, addormentandosi, potesse morire. Un’altra ha vegliato su di lei al mio posto, consentendomi di dormire per un paio di ore. Alcune di loro vengono ancora a trovarci. La dottoressa che ci ha accompagnati a Medjugojie nel nostro pellegrinaggio  ha conosciuto in quel viaggio il comandante dell’areo (privato) e ora sono insieme. Capitano tante cose attorno ad un bambino ammalato. Tutte cose che si perderebbero se eliminassimo il problema alla radice, uccidendo il malato solo perchè terminale. Credo che ci sia un motivo se una certa malattia ha un certo decorso. Credo che ci sia una risposta al fatto che Virginia che sembrava dovesse morire a metà marzo, è rimasta, invece, con noi fino a fine  maggio. Noi a metà marzo non eravamo pronti a lasciarla, dovevamo ancora fare il pellegrinaggio a Medjugojie e imparare tante cose, imparare ad accettare la vita per come ci viene regalata, quale che sia la sua durata, imparare che la vita è semrpe degna di essere vissuta. Imparare che la malattia fa parte della vita. Imparare ad essere genitori di una creatura speciale, destinata a fare un viaggio breve qui fra noi. Una creatura che si è spenta a poco a poco, pezzo per pezzo, ma col sorriso.

Una mia zia mi ha chiesto, dopo la sua morte, se Virginia avesse sofferto. Sì, tantissimo. Ma non le si spegneva il sorriso davanti a suo padre. I dottori sono stati bravissimi a garantirle la giusta cura del dolore e un’esistenza comunque dignitosa.

Quello che più mi ha impressionato è stato ricevere i complimenti dal primario che curava Virginia per la nostra presenza costante presso di lei. Ho dovuto farmi spiegare cosa intendesse perchè proprio non ci vedevo niente di strano. Lui mi ha spiegato che tanti bambini ammalati vengono lasciati in ospedale da soli, assistiti solo dalle infermiere. Mi ha raccontato di una coppia che aveva lasciato il bambino piccolo un intero weekend in ospedale da solo perchè loro erano andati in discoteca. Mi ha detto che non sono casi rari, che spesso i bambini vengono lasciati da soli. Mi ha detto che tante famiglie scoppiano, tanti genitori si separano perchè non riescono a sopportare la situazione (cambiano gli equilibri, diversi sono i modi di affrontare la malattia o la morte di un figlio. Spesso anche solo una degenza post operatoria del figlio porta alla separazione dei genitori perchè uno di loro si sente anche solo semplicemente trascurato). Riporto crudamente quello che ho sentito e quello che ho visto parlando con alcune mamme che sono rimaste da sole dopo la morte di un figlio. La sola idea che una madre possa lasciare il proprio figlio in ospedale da solo o l’idea che un padre non si presenti mai perchè l’ospedale gli dà fastidio, mi crea una sofferenza maggiore che l’aver perso Virginia.

Viviamo nella barbarie. Abbiamo escluso Dio e le parole di Gesù dal nostro mondo “civile”. Abbiamo gettato la croce che Lui ci aveva detto di avere il coraggio di metterci sulle spalle per seguirlo (che altro non è che l’incoraggiamento ad accettare la vita per quello che è, ossia non sempre bella ma spesso difficile e dolorosa), inseguendo l’ideale della felicità a tutti i costi. Anche quando questo significa eliminare un feto o un figlio perchè in quanto malato è una rottura di palle che ostacola i nostri programmi di realizzazione personale. Ci siamo eretti giudici di noi stessi e in nome della libertà assoluta, abbiamo privato di valore la vita quando questa non è sana o non è anche solo potenzialmente concorrenziale. Rimane solo il Papa a dire qualcosa di ancora sensato e poche associazioni che lottano per difendere la vita, ma poco possono contro le grandi lobby che premono per sterminare tutti quelli che non sono utili al nostro mondo civile (ammalati, vecchi, handicappati).

Ma se anche non vogliamo sentire parlare di Gesù, basterebbe solo pensare a tutto l’amore che si genera attorno ad un bambino ammalato, alle relazioni fra personale medico, volontari, parenti, per capire che la malattia, anche quando è terminale, non va eliminata con l’omicidio-suicidio. L’amore non è monopolio dei cattolici, è un sentimento universale che riguarda l’uomo in quanto tale, anche l’ateo. L’amore non avrebbe mai portato all’approvazione di una legge che ammette l’eutanasia per i minori. L’amore non dovrebbe finire quando l’altro non è più utile, non ci dona più gioia (questo vale anche nei confronti del coniuge) o peggio, si ammala. Invece è così. Mio padre è stato in stato vegetativo per sette anni, ricoverato in un centro di lunga degenza. Mia madre è andata in pensione in anticipo, appena ha potuto, per restare accanto a lui. Ogni giorno.Sono stati la coppia più bella che ho consciuto. Mi hanno dato l’esempio più grande di amore eterno. Mio marito, che era contrario al matrimonio, si è convinto guardandoli, che dovevamo sposarci, non c’erano altre strade per il nostro amore.  Ma nello stesso reparto tanti altri erano sempre soli, perchè i rispettivi coniugi si erano stancati o avevano trovato qualche altro compagno. Ci riempiono i programmi televisivi di storie d’amore che tali non sono, ci riempiono gli occhi di pubblicità dove tutti sembrano felici e contenti, milioni di immagini relativi a vite perfette, case bellissime, figli perfetti. Non siamo pronti, non ce ne hanno dato l’occasione, per affrontare le sfighe della vita. Ci sposiamo nella convinzione che esso durerà finchè ne trarremo gioia. Programmiamo un figlio senza pensare che non è affatto escluso che non sia perfetto o che non gli possa capitare qualcosa nel corso della vita. Ma quella a cui noi pensiamo non è la vita. Abbiamo la testa ripiena di così tanti stereotipi falsi, che quando la vita si mostra ai nostri occhi per quello che è, non siamo più in grado di gestirla, di accettarla e l’unico rimedio che troviamo è uscirne: suicidandoci o con la dolce morte, ora possibile anche per i minori. Siamo barbari seduti su lussuose macchine e muniti di i-pad. Ma la sostanza non cambia. Sono trascorsi due mila anni, ma ancora non abbiamo imparato, anzi, abbiamo completamente  disimparato, ad affrontare la vita. E sì che basterebbe solo riempirla d’amore. E questi bambini ammalati ci potrebbero tanto aiutare in questo, se solo non li eliminassimo come stanno cercando di fare in Belgio. Ho capito solo stando a fianco a Virginia in ospedale quanto amore c’è in questo mondo. Quanto amore può creare l’uomo, anche nel dolore più grande. L’uomo è un essere celestiale ma se ne sta dimenticando e così imbarbarisce.


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