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Prologo
Insomma ieri si esce, visto che qui a Roma Febbraio è diventato Giugno. Con quella bella arietta primaverile, la brezza tiepida che si tuffa sul volto, gli odori delle mimose e degli escrementi dei cani sui marciapiedi. Sembrava il paradiso, il mio corpo aveva voglia di gustarlo. Era stufo della pioggia battente dei giorni scorsi.
E quindi Testaccio ci ha visto parcheggiare, scendere, passeggiare ed infine entrare nel ”er beershop de testaccio”, dove un giovane e romanissimo adulto (leggi: quarantenne) atterrato qui a Roma dall’Olanda si è aperto questo negozietto che vende birre artigianali e scodella panini torcibudella.
Cito solo en passant il tizio della bettola, ma ci sarebbe da raccontare: originario di Ostia, va in Olanda, trova una donna Ceca (della Repubblica Ceca, cioè, non è che legge in Braille) e poi torna qui. Forse gli mancava la suddetta arietta e i suddetti escrementi canini. Chissà.
”Che panino mi consigli?” chiedo ingenuamente, dimenticandomi di tutto: del morbo di Gilbert, che prostra le mie digestioni; dell’influenza partigiana che, non paga di avermi tenuto due giorni in stato catatonico sul divano, continua le sue piccole, fastidiose rappresaglie con malesseri vari; della generale stanchezza epatica che ogni tanto mi attanaglia.
”Guarda, puoi fare anduia e cetrioli piccanti, oppure anche guanciale e carciofi ci stanno bene assieme”.
”Mah… anduia piccante mi pare esagerata, poi non la digerisco”, mi dico, ”fammi quello col guanciale” dico ad alta voce, indicando il guanciale dietro al vetro da pizzicagnolo.
La mia coscienza era pulita, giuro. Veramente non stavo pensando che forse il binomio carciofo-guanciale era più pesante del piombo.
Dopo aver confezionato la sua opera d’arte arriva sorridente, me lo consegna e mi dice ”eccolo qui, bello gonfio e zozzo – come si dice” (già, perché tu ”zozzo” non lo diresti mai, vero?).
Mi siedo con la mia tre quarti che si era presa le verdure, e lo addento con foga, gustando ogni molecola di unto, di olio, di grasso del guanciale, di carciofo alla romana bello pregno. E sopra, per dare corpo alla malta che si sarebbe creata di lì a poco nel mio stomaco, ci butto una bella birra ceca scura.
”Ah, che bella serata!”.
L’ho pensato davvero. Giuro. Proprio prima di addormentarmi.
Guanciale
E quindi eccoci qui.
Ore 2:00 AM: ho un Gremlin in pancia.
Faccio finta di niente – ovviamente – tante volte con l’indifferenza lui se ne va.
Seee… magari…
Alle 2:30 AM: si era moltiplicato. Si stava alimentando del guanciale coi carciofi, sono sicuro, e stava crescendo. Probabilmente si era già sposato, battezzato il primo figlio e adesso stava traslocando per ampliare casa in attesa del secondogenito, muovendosi dalla bocca dello stomaco verso sinistra. C’era un certo fermento in me. Una vita autonoma.
Eppure non mi sono assolutamente scoraggiato! Via quindi in cucina, un bel bicchierone d’acqua col Brioschi in grani. E per sicurezza una manciata di grani addizionali buttati giù a freddo che hanno provocato l’effervescenza direttamente nelle mie viscere.
Sì è vero, mi sono sentito un poco come Erode, stavo uccidendo la simpatica famigliola di mostri impazziti che aveva preso vita nelle mie viscere.
L’effetto è stato rapido. La vita estranea è cessata.
Ma i cadaveri dei Gremlins erano ancora lì, andavano smaltiti e quella era solo una questione di tempo. Un tempo in cui sarebbe stato impossibile per me chiudere occhio.
Preso allora un cuscino aggiuntivo dal divano, lo metto sotto al guanciale (il ciscino per dormire, intendo!) mi sdraio col busto un po’ rialzato e apro il mio bel Maigret da dove lo avevo lasciato…
Commissario
Sì ci voleva proprio (e qui entriamo in quello che dovrebbe essere il vivo di questo post e che invece pare ne sia diventata la conclusione), un bel commissario Maigret. L’invenzione di George Simenon, che poverino voleva diventare famoso scrivendo ”vera letteratura”. Invece non è mai riuscito a scrollarsi di dosso il motivo del suo successo: questo commissario francese, corpulento, silenzioso ma tagliente, fumatore di pipa, che non perde mai i nervi e -soprattutto – non fallisce mai un’indagine. Il più grande commissario di Francia, osannato dai suoi colleghi.
Assassinio all’Etoile du Nord ed. Adelphi lo dipinge – in tre racconti – come un saggio, oramai alle soglie della pensione. Nel momento delicato di transizione tra la realtà produttiva e quella del tempo per sè stessi, il tempo giusto per trasferirsi nella casa di campagna sulla Loira in compagnia della moglie e dedicarsi agli hobbies: cura dell’orto, riposo, sole, passeggiate.
Già. Peccato però che non ci riesca. E non perché sia un drogato di lavoro; piuttosto, il lavoro lo insegue proprio nella sua vita privata, ritirata e nascosta dalle luci della ribalta.
In questa raccolta vengono descritti tre casi, diversi da quelli a cui era abituato: non si tratta infatti di crimini efferati, lotte fra gangs o rapine, ma di piccole tragedie quotidiane che seguono il fil rouge dell’amore e della passione. E il movente non è chiaro sin dall’inizio, nemmeno il lettore riesce ad intuirlo. Solo scavando, osservando, domandando in maniera timida e riservata- non come faceva in passato negli interrogatori estenuanti ad avanzi di galera che dopo ore ed ore cedevano – pian piano coglie quegli scampoli di umanità quasi buona, ordinaria che hanno scatenato la serie di eventi che porta al crimine.
Lo stile non barocco, ma pulito e sintetico, assieme alle storie ben architettate lo rendono un libro che tiene compagnia – specialmente nelle veglie notturne causate da incaute indigestioni o da altri motivi – e a tratti quasi scalda il cuore.
Un libro da leggere con il l’animo leggero, che si gusta anche con lo stomaco pesante.
Ma in quest’ultimo caso, meglio se accompagnato da un Brioschi…