Maioliche e “piattari” neretini in uno studio di R. Viganò
5 dicembre 2013 di Vincenzo D'Aurelio
Il punto di partenza della ricerca storica sono le fonti e il problema principale che deve superare lo studioso non è solo quello di trovarle, ma anche quello di valutarne la loro attendibilità. Tantissimi, difatti, sono i documenti creati ad arte come tantissimi sono i volumi di storia nei quali i fatti, successivamente, si rivelano falsati. Purtroppo tali manipolazioni inducono in errore quanti, a loro volta, a tali fonti affidano i risultati delle proprie ricerche. Autori salentini come il De Ferrariis, l’Infantino, il Tasselli ecc. le cui opere per anni sono state ritenute “fonti attendibili e precise” e alle quali è legata molta della storiografia post-ottocentesca, oggi, alla luce di studi metodologicamente più corretti, mostrano ampie zone d’ombra. È necessario, quindi, rivolgere lo sguardo alle cosiddette fonti di “prima mano” come quelle archivistiche sulle quali il galatonese Riccardo Viganò (1969), cultore di memorie patrie e, dal 1998, Ispettore Onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, ha sviluppato il suo ultimo studio dal titolo Per uso della sua professione di lavorar Faenze. Storia delle fornaci e delle manifatture ceramiche di Nardò tra la seconda metà del XVI e gli inizi del XIX secolo (Edizioni Esperidi, Lecce 2013 – Eur 13,00). L’autore è da sempre interessato allo studio delle produzioni ceramiche post-medievali e moderne ponendo particolare attenzione a quelle di area salentina. Numerosi sono i suoi contributi scritti sul tema e quest’ultimo lavoro è il coronamento di una lunghissima e paziente ricerca archivistica durata circa tre anni.
Il lavoro del Viganò è una ricostruzione storica attinente all’attività di fabbricazione di maioliche che vedeva in Nardò un centro particolarmente attivo. Le “Faenze” neretine, termine usato popolarmente e surrogato dalle famose ceramiche faentine, erano particolarmente pregiate e perciò richieste da una committenza “scelta”, generalmente di estrazione aristocratico-borghese ed ecclesiastica. Le raccolte in superficie effettuate in area neretina hanno portato alla luce numerosi frammenti ceramici la cui tipologia manifatturiera e stilistica riconduce a questa produzione che il Viganò documenta dalla fine del XVI secolo ai primi del XIX quando essa è ormai destinata all’oblio.
L’autore cerca gli indizi delle fabbriche di Nardò spulciando tra le carte notarili rogate dai notai del luogo, o vicini ad esso, e conservate presso l’Archivio di Stato di Lecce oltre alle registrazioni rinvenibili nei libri dell’Archivio Storico Diocesano di Nardò o in quelli della Parrocchia Cattedrale della stessa città. In tal modo spuntano i nomi dei “piattari” (termine popolare derivante da “piatto” e perciò fabbricanti/venditori di piatti) i quali sono spesso artigiani che nel campo hanno una lunga tradizione familiare e, in alcuni casi, trasferendosi da padre in figlio, sfocerà, dopo il Seicento, in una vera e propria attività imprenditoriale.
Curiosando nel vissuto familiare, elemento pregnante in tutti i documenti notarili di ordinaria compilazione, il Viganò si districa tra liti, acquisti, doti e successioni sino a ricostruire almeno tre secoli di ogni famiglia d’artigiani e delle quali, puntualmente, ne stila un albero genealogico. Il lavoro, però, non si ferma qui e difatti egli localizza le botteghe proiettando l’attuale rete viaria neretina sulle piante antiche della città sino a individuare visivamente gli edifici che, a loro volta, sono concentrati tutte in un’unica area il cui toponimo, già ab antiquo, era ben eloquente: “via dei piattari”. Riccardo Viganò, parafrasando M. Bloch, riesce a studiare quegli uomini nel loro tempo accostando alla loro quotidianità del vivere l’arte del fabbricar maioliche.
Molte notizie riportate nel testo sono supportate da note che rimandano al fondo archivistico e ciò dona al lavoro un maggior carattere di qualità poiché esso può essere posto come strumento utile a chi vuol continuare a far ricerca sul tema. Il testo, oltre ad un’antologia delle fonti, è corredato da un ricco apparato fotografico che riproduce e descrive esempi di ceramiche neretine. Anche in tal senso l’autore ha “fatto ricerca” portandolo ad individuare, tra musei e collezioni private, importanti e pregevoli manufatti. Alcuni esemplari sono esposti presso il “Museo della Ceramica di Cutrofiano”.
La catalogazione effettuata dall’autore è, credo, ancora parziale ma ci sono già elementi sufficienti per comprendere l’importanza storica e la pregevolezza manifatturiera di quello che fu un prodotto capace di competere con le ceramiche più famose di Puglia: quelle di Laterza. Il lavoro di Riccardo Viganò è il primo passo, anche se già abbastanza ampio, di uno studio complesso e avaro di fonti ma che, una volta affrontato, sarà certamente in grado di gettare altra nuova luce sulle importanti e antiche produzioni artigianali salentine.