Mais: da Paese autosufficiente oggi l’Italia ne importa oltre il 35%

Da Pukos

Il futuro del settore si discute oggi a Cremona nella Giornata Mondiale del Mais organizzata nell’ambito di BioEnergy Italy (http://www.bioenergyitaly.com)

Contrariamente a quanto avveniva fino a pochi anni fa quando si sfiorava abbondantemente l’autosufficienza produttiva, oggi il nostro Paese si trova costretto a importare oltre il 35% di mais dall’estero, e il prodotto nazionale si trova addirittura a soffrire una quotazione inferiore rispetto a quello straniero. E’ uno dei temi emersi oggi durante la Giornata Mondiale del Mais organizzata nell’ambito di BioEnergy Italy presso CremonaFiere.

Le ultime rilevazioni dell’Associazione granaria di Milano quotavano il mais nazionale tra i 145 e i 147euro/t, quello estero comunitario tra i 166 e i 168euro/t e quello non comunitario tra i 179 e i 180euro/t. Alla Borsa merci di Bologna, altro importante mercato di riferimento dove le quotazioni sono generalmente un po’ superiori, alla seduta del 5 febbraio i prezzi si sono fissati tra i 155 e i 159euro/t per il mais nazionale; tra i 163 e i 165euro/t per quello europeo e tra i 174 e i 176euro/t per quello non comunitario.

“La tendenza delle quotazioni nazionali sarà sempre più improntata verso una decisa instabilità. Gli andamenti climatici e le turbolenze dei mercati internazionali, condizionati a volte da azioni eccessivamente speculative, sono aspetti da cui non si può più prescindere”. Così si esprime Marco Aurelio Pasti, presidente dell’Associazione maiscoltori italiani, che partecipa alla Giornata Mondiale del Mais, in programma oggi a CremonaFiere nell’ambito dell’ultimo giorno di BioEnergy Italy . Il tema di quest’anno è il futuro della cerealicoltura tra politica agricola e mercato, e a Pasti viene chiesto di illustrare le misure specifiche e gli orientamenti della nuova Pac e dei Psr per la maiscoltura.

“Viviamo una situazione per certi versi sorprendente – afferma il presidente Pasti – in cui il mais nazionale costa addirittura meno di quello estero. La necessità di collegarsi ai mercati internazionali ha in gran parte smantellato quella rete di protezione che in passato ci aveva favorito, e non dobbiamo dimenticare inoltre che i repentini cambiamenti meteorologici che si sono verificati in questi ultimi anni, con la diffusione di partite di mais contaminato da micotossine, hanno rappresentato un ulteriore elemento destabilizzante”.

“Come dicevo all’inizio ci si dovrà abituare a un andamento delle quotazioni molto altalenante, che detterà la media dei prezzi su un arco non più annuale bensì calcolato in un periodo di 3 anni. Credo inoltre che si dovrebbero rivedere anche certe scelte politiche che oggi, proprio a iniziare dalla nuova Pac, manifestano più un approccio distruttivo di questa coltura che di valorizzazione. Innanzitutto la remunerazione. Il contributo di 63euro/t esistente fino a oggi, con la riforma che sta per entrare in vigore verrà tolto e distribuito in modo disaccoppiato; non dimentichiamo poi la fiscalità a cui è soggetto il mais, vecchia di 60 anni; la tassa sui concimi azotati, l’applicazione del greening ancora oggi caotica e per questo causa di ulteriori complicazioni. Un quadro dunque sostanzialmente molto complesso e una politica purtroppo disattenta, questo è lo scenario che la maiscoltura italiana ha davanti a sé”. Le previsioni produttive per quest’anno, intanto, sono viste in aumento, soprattutto per la granella: +5%. E con esse l’invito a utilizzare tecniche di coltivazione che riducano l’impiego d’acqua. Su questo tema Marco Aurelio Pasti ha un’idea altrettanto chiara.

“Il tema dell’acqua e di un suo uso più razionale è un tema che merita molta attenzione – afferma – La strada è quella dell’irrigazione goccia a goccia, un sistema però costoso che con quotazioni a poco più di 140euro/t difficilmente può essere ammortizzato in tempi brevi con un buon ritorno economico. Il problema è purtroppo legato anche ai mancati investimenti che non sono stati fatti negli anni in cui coltivare mais era più produttivo e remunerativo. E mi riferisco soprattutto alla genetica. Oggi la resa non supera le 8-10t./ha ed è ferma lì da anni. Se avessimo sfruttato l’andamento registrato tra gli anni Sessanta e Novanta avremmo sicuramente sfondato il muro di 12t./ha. Gli investimenti hanno sempre un ritorno. Soprattutto se fatti nei momenti in cui le condizioni sono ottimali”.


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