Sono tutti belli, profumati, incamiciati, con la gelatina nei capelli, le ragazze sono tutte truccate, coi tacchi alti, ed hanno talmente tanto profumo da darmi la nausea.
Sembrano più maturi i miei compagni di classe delle superiori, senza dubbio sono diventati più belli.
Il ristorante è squallido, praticamente siamo in un container con le pareti tappezzate di figure indiane e foto di caccia.
Roba da rabbrividire.
Se non fosse per l'odore di fritto, potrei tranquillamente credere d'essere in uno di quei container che ci sono nei cantieri edili, quelli in cui il geometra tiene le sue carte per intenderci.
La tovaglia è di carta giallognola, i bicchieri hanno aloni di sapone o di calcare e nella boccetta dell'olio c'è un moscerino.
La televisione a schermo piatto è appesa al muro e sintonizzata sulla partita Juventus-Milan.
Siamo in questo tremendo ristorante per un capriccio di Daniele, se non poteva vedere la partita non sarebbe venuto a cena.
La cena l'ha organizzata Silvia, ci teneva a rivederci tutti.
Siamo in nove, quattro femmine e cinque maschi, gli altri non sono venuti.
Claudia e Sonia sono diventate mamme da poco e sono assenti giustificate.
Nicola è tornato a Napoli, Francesco è al creatore, Chiara e Patrizia erano impegnate.
Sono seduto a capotavola, alla mia sinistra c'è Silvia, infermiera che da come è diventata magra sembra essere lei stessa una malata bisognosa di cure, alla mia destra c'è Matteo l'elettricista, poi Tommaso, imprenditore edile, davanti a lui Lorenzo che è all'università da tre anni ma ancora non ha le idee chiare per il suo futuro, di fianco a questo Irene, che studia economia e commercio, poi la bella Eleonora che è estetista, poi Ilenia, impiegata elle poste, ed a capotavola, davanti a me, proprio difronte alla televisione, Daniele il calciatore.
Le cene coi vecchi compagni di classe le ho sempre odiate ed ho sempre trovato una buona scusa per non andarci, un paio di volte mi sono dato malato, un'altra volta dissi che ci sarei andato ma poi non mi presentai e l'anno scorso detti la colpa alla gelosia della mia ragazza.
Quest'anno, Silvia è venuta a trovarmi al lavoro e mi ha lasciato un biglietto scritto.
Fondamentalmente ero curioso di rivederli, di vedere le loro facce, dopo quattro anni avevo davvero voglia di parlare con loro e sapere cosa stessero combinando della loro vita.
Non ci siamo più visti dopo la maturità e sinceramente sentivo il bisogno di disintossicarmi da loro.
Alle nove al ristorante “il Nibbio” ed eccomi seduto su di una sedia impagliata ad osservare i miei vecchi compagni di classe.
La cameriera sembra Moira Orfei, il ristorante è tremendo e mentre mangio la mia quattro stagioni rinsecchita scopro che anche la pizza è schifosa.
L' apparenza conferma l'essenza.
Mi sono bevuto tre birre medie ed ho voglia di parlare, Silvia dice che il lavoro è stancante e poi mi racconta della sua ultima vacanza in Grecia.
Le chiedo di suo fratello e mi confessa che, a Berlino, si trova molto bene.
Il fratello di Silvia è gay, in una grande città non si sente gli occhi di tutti puntati addosso.
Sono le undici ed il ristorante è ormai vuoto, la cameriera ci dice che se vogliamo possiamo fumare dentro.
Ne approfitto ed accendo.
Ilenia gioca con il tappo dell'acqua.
Domando a Tommaso come va il lavoro, se ha sentito la crisi.
Mi risponde che il lavoro sta andando bene, ha a lavorare cinque magrebini che lavorano a pochi euro l'ora, gente che ha bisogno di lavorare e che non batte ciglio, sono ragazzi di vent'anni senza permesso di soggiorno, coetanei nostri.
Lavorano a nero logicamente, è sottinteso.
Tommaso è felice mentre me ne parla, si sente un duro: lui se ne frega delle regole.
La rivolta in Magreb è stata una manna dal cielo per la sua impresa e per tante imprese come la sua.
Matteo, pulendosi gli occhiali, domanda a Tommaso come fa a capirsi con quelli.
Tommaso risponde che non c'è bisogno di parlarci troppo e dice: -gli mostri quello che devono fare e loro lo fanno.
Matteo afferma che non potrebbe lavorare coi negri, li chiama negri.
Gli chiedo il perché.
Mi dice che i negri puzzano, che non dovrebbero vivere con i bianchi e che il loro cazzo è infetto.
Matteo sogna Symzonia, è più razzista di Poe e non lo sa, e non sa neanche chi è Poe.
Gli dico che certi discorsi non hanno senso, mi fanno schifo, e che per rispetto andrebbero chiamati neri e non negri.
La discussione si anima, anche Eleonora dice a Matteo che i suoi discorsi sono da stupido razzista.
Eleonora è innamorata di me dalla prima superiore e lo è ancora, ne ho la conferma proprio mentre alza la voce e sottolinea la mia affermazione.
Matteo diventa rosso e s'innervosisce, io ordino un'altra birra e mi godo la scena.
-Io non sono razzista!
Pronuncia Matteo che intanto è diventato più rosso della gonna di Silvia.
Tommaso dice invece che vanno chiamati negri, vanno fatti lavorare per pochi soldi e poi mandati a fanculo perché tanto non capiscono un cazzo, sono un razza inferiore e vengono da noi solo per prendere e noi dobbiamo prendere da loro senza rimpianti. Lo dice compiaciuto.
Vorrei uscire dal ristorante e rigargli con le chiavi il Suv nuovo.
Daniele, che fino ad allora non aveva aperto bocca tranne per esultare ai goals della sua Juve, esclama: -devono morire tutti, anche i romeni e i Rom.
Lo dice rutteggiando, ha bevuto tre lattine di Cocacola e credo che potrebbe prendere il volo da un momento all'altro.
La bionda Ilenia alza la testa dal suo Iphone nuovo e lucente, poi rivela che per lei anche gli zingari dovrebbero morire perché rubano i bambini.
-Andre- mi dice Matteo con la faccia imperlata di sudore -quelli sono la rovina delle città, dell'Italia, sono drogati e vendono la droga, li vedi ubriachi a pisciare per le strade.. dovrebbero levarsi dai coglioni... Sbaglio? Vengono a casa nostra e fanno i padroni, portano le malattie, rubano, delinquono, vendono morte... Andre...
Matteo mi chiama Andre, io non mi sento di chiamarlo Matte.
-Le case popolari vanno sempre a loro, la figlia di mia cugina non può andare all'asilo nido perché i bimbi di questi albanesi merdosi passano avanti e non lasciano posto a noi italiani. Le nostre carceri sono piene di stranieri e le paghiamo noi con le nostre tasse. La mamma del cugino di mia zia è vedova e sono sei anni che aspetta la casa popolare ma passano avanti gli albanesi e i negri pezzi di merda.
Matteo finisce il suo monologo con un -ovvia,- ha il nodo alla gola.
Poi s'asciuga la bava attorno alla bocca.
Finisco la mia birra e ne vorrei un'altra, ma devo guidare e preferisco non berne ancora.
Poi ci ripenso e ne ordino un'altra, i discorsi che sento devo buttarli giù, mi sembra d'avere una palla di pelo in gola.
Lorenzo, dice che per lui il problema sono anche gli italiani, quelli drogati e chi gli va dietro cercando di recuperali, dice che i drogati portano solo malattie e dovrebbero ammazzarli tutti, la droga è per i deboli e questo è un mondo per uomini forti.
Si sente un uomo forte Lorenzo.
-Addirittura ammazzati? Mio padre era un tossico ed ora ha tre figli che stanno bene, magari uno di noi scopre la cura per il cancro, oppure un nuovo modo per impostare la società, se non fosse stato per le persone che lo hanno aiutato, a quest'ora io non sarei mai nato.
Dico io, nettamente infastidito dalle meschine affermazioni di Lorenzo.
-Non lo sapevo, scusa.
Lo dice con la testa china, la sua pseudo forza non gli dà l'acume per confermare la sua tesi.
-Tranquillo, non ci sono problemi.
Rispondo io dandogli una pacca sulla schiena ingobbita.
I miei compagni delle superiori sono per i campi di sterminio, non c'è dubbio.
-Quindi, per voi, le nostre città sono degradate per colpa di tutte quelle persone che avete detto?
Domando loro accendendo una Camel blu che prendo dal pacchetto di Silvia.
-Il degrado è dovuto ad una mancanza della politica, è questa che dovrebbe occuparsi di queste cose..
Dice Irene grattandosi la testa con veemenza, forse ha le pulci.
-La colpa è di Berlusconi allora? Diamo sempre la colpa a lui.. sei una comunista di merda..
Replica Daniele che forse pensa di essere ascoltato dal cavaliere in persona ed essere dunque acquistato dal Milan per poi essere girato in prestito alla Juventus. La sua amata Juventus.
-E i cinesi, vogliamo parlare di loro? Sporchi musi gialli che invadono le città e mangiano gatti.
Dice Matteo.
-I cinesi non posso proprio vederli, mi fanno impressione con quei loro visi schiacciati.
Ecco la perla di Tommaso, ci mancava.
Sono sbalordito, probabilmente loro credono che noi italiani siamo esseri perfetti ed una città abitata da soli italiani (non drogati) sarebbe specchio della nostra pseudo perfezione.
La città pulita e perfetta, la loro utopia.
Da non credere.
-Siete stati ultimamente a Firenze?-domanda Ilenia -Avete visto che schifo tutti quei barboni alla stazione? Loro rendono brutta la città, immaginatevi un turista che arriva a Firenze e vede tutti quelli, là a dormire.. Che figure che facciamo.
Ilenia mi manda nei pazzi, vorrei schiacciarle la testa sul tavolo e dirle che se un turista si mettesse a parlare con lei, allora sì che scapperebbe.
Ma resto in silenzio.
Matteo dice che Ilenia ha ragione, vuole scoparsela, è sicuro.
Tommaso sostiene che i barboni, i negri e gli zingari sono come mele marce in una cassa delle stesse, prima o poi quelle mele marce faranno marcire anche le altre.
Non ha parlato dei drogati per rispetto a me e a padre, ma mette anche loro al pari delle mele marce sopraelencate.
-Ragazzi, vi state riferendo a luoghi comuni, non è tutto come dite voi.
-Se sono diventati luoghi comuni, significa che sono portatori di verità.
-Bella considerazione, ma penso che il vostro accanimento sia eccessivo.
-C'è troppo buonismo, ci vorrebbe chi dico io.
-Chi? Per fare cosa?
-Lo so io chi, e a fare cosa.
Lo scambio di battute tra me e Lorenzo potrebbe durare ore, le sue idee non muteranno mai ed io non voglio sbattermi più di tanto, so a chi si riferisce ma preferisco sorvolare.
Eleonora, che è bellissima, deve andare via, c'è fuori il suo fidanzato che l'aspetta.
Sono sicuro che sia venuta a cena perché c'ero io.
Chiediamo il conto.
17 € a cranio.
Il ristoratore non ci fa lo scontrino, vorrei fargli i complimenti per il profondo senso estetico manifestato nell'arredare il suo locale, ma resto nuovamente in silenzio.
Mentre esco, vedo un ragazzetto nordafricano col grembiule legato attorno alla vita a buttare nel cassonetto un sacco nero, penso che sia il lavapiatti e che anche lui non sia assicurato, che stia lavorando a nero e forse conosce gli operai di Tommaso.
Tommaso e Lorenzo vogliono coinvolgermi nel loro puttan-tur nella periferia sud di Firenze, dicono che ci sono delle biondine stupende, giovani e tanto porche, rumene appena maggiorenni che con 30€ si fanno scopare il culo.
Daniele dice che è tardi: deve vedere controcampo su Italia1.
Matteo se ne va con Ilenia.
Ringrazio loro per l'invito e gli dico che la mia ragazza mi aspetta a casa.
Non sembrano dispiaciuti ma anzi sono contenti.
Salgo in macchina dopo aver salutato tutti.
Vedo partire i puttanieri con l'enorme Mercedes lucente di Tommaso.
Alla radio, Pannella parla del sovraffollamento delle carceri e del suo ennesimo sciopero della fame, poi il notiziario parla di una rissa in cui sono rimasti uccisi tre africani, pare che i poliziotti abbiano dovuto sparargli al petto per calmarli e dare una lezione a tutti gli altri.
Un altro barcone carico d'immigrati è arrivato a Lampedusa, ci sono anche due donne incinte.
Nel campo in cui vengono accolti non c'è più posto.
Poi la musica, Ryuichi Sakamoto suona il piano, devo accendere il riscaldamento della macchina perché un brivido di freddo mi percorre la schiena.
L'armonia della musica riempie la mia auto.
Mi fermo ad un distributore e compro le sigarette.
Arrivo a casa e la mia ragazza mi chiede com'è andata la serata.
Le rispondo che è andata, sono stanco ma ho comunque voglia di mettermi a scrivere qualcosa.
Accendo il computer, controllo la posta e leggo che sono stato invitato a partecipare ad un concorso letterario che ha come tema il degrado.
Sorrido.
Mi metto subito a scrivere, il cursore sembra affamato di spazi vuoti che da sinistra verso destra riempie di parole e punti.
Tanti discorsi, tante affermazioni, tante utopiche soluzioni.
La mia stanza è buia, solo una luce illumina la tastiera, la pancia mi brontola per la pessima pizza mangiata.
Vado a letto sconsolato per la cosa scritta e col mal di pancia.
Non riesco a dormire, la radiosveglia segna le 3 di notte, mi sento la febbre, ho freddo e tremo.
Penso al degrado, alle parole dei miei compagni delle superiori, ai loro preconcetti, alle loro convinzioni, ad un drogato che silenziosamente chiede aiuto, ad un condannato che chiede di morire, ad un immigrato carico di speranza, al naso moccicoso di un bambino africano che ti porge la mano e ti chiede qualcosa da mangiare.
Mi alzo da letto e vado in cucina, bevo dell'acqua con un cucchiaio di bicarbonato.
Poi, come una spugna impregnata di varechina, strusciata con forza su una superficie ingiallita, riportandola dunque allo splendore originale, tutto mi è chiaro.
Il degrado sono i preconcetti di certi uomini.
A fianco del degrado, io ci ho cenato.