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Malati di gioco

Creato il 02 maggio 2013 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Attualità , Salute
ludopatia
La ludopatia coinvolge oltre due milioni di persone

La ludopatia coinvolge oltre due milioni di persone. Per curarla servono interventi mirati: centri di sostegno, psicoterapia e farmaci. A leggerne i sintomi, si fatica a distinguere la ludopatia dalla tossicodipendenza o dall’alcolismo. Secondo i manuali un giocatore patologico ha bisogno di giocare sempre più spesso e con una quantità sempre maggiore di denaro; cerca di smettere, ma non ci riesce, perché il gioco lo aiuta a sfuggire ai problemi. O ancora, mente ai familiari e alle persone vicine, compromette il lavoro, lo studio o le relazioni, fino a infrangere la legge per trovare denaro: ragazzi che rubano i gioielli alla madre, assicuratori che trafugano i premi dei clienti, assegni a vuoto, tasse e affitti non pagati. Con tutto quello che ciò comporta in termini di crisi familiari.
Una condizione estrema, ma più diffusa di quanto si creda. Il dossier Azzardopoli 2.0 cita una ricerca del Centro Sociale Papa Giovanni XXIII, coordinata dal Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), che stima che i giocatori a rischio siano il 5,1% del totale e quelli compulsivi il 2,1%: nel nostro Paese si tratta di 1 milione e 720 mila adulti a rischio e 708 mila patologici. Senza contare i minorenni. Alcuni studiosi hanno riscontrato che la propensione aumenta al diminuire del grado di istruzione. Ma le statistiche non spiegano tutto. «Non è sempre vero che giocano le persone meno abbienti o con un grado culturale più basso: è un problema che parte dall’individuo», afferma sicuro Fabrizio.
Gruppi di aiuto
Fabrizio è sposato, padre, ha un lavoro remunerativo. Ma ha alle spalle trent’anni di gioco patologico. Ha iniziato a quattordici anni ed è arrivato a «perdere cifre improponibili, ma soprattutto a buttare via decenni di vita a discapito di rapporti familiari sani». Quando si è reso conto di aver toccato il fondo ha cercato aiuto su Internet, imbattendosi nei Giocatori Anonimi. Nata dall’esperienza degli Alcolisti Anonimi, l’associazione in Italia conta 62 centri e coinvolge circa 1.500 persone, anche se, a detta di Fabrizio, «dovrebbero essere molte di più».
La partecipazione è gratuita e non ci sono figure mediche perché a riunirsi sono i giocatori. «Al di fuori sei un rovinafamiglie, un perdente, mentre nelle nostre stanze non si giudica nessuno. Ciascuno tira fuori ciò che ha di marcio e lo riempie con elementi positivi», racconta. «Attraverso l’interazione nel gruppo si aiutano gli altri e se stessi», conferma Stefano Bertoldi, fondatore dell’Associazione di auto mutuo aiuto (Ama) di Trento che in 17 anni ha attivato gruppi in 45 ambiti diversi (depressione, ansia, sovrappeso, divorzio, ecc.) e nel 2012 ha accolto un centinaio di giocatori compulsivi.
Spesso a contattare Ama sono i familiari e ci vogliono mesi per arrivare al giocatore, che nega di avere un problema. Le famiglie, invece, sono le prime a subirne l’impatto. A loro si rivolge Troppe vite in gioco, un vero e proprio manuale scritto da Lucio De Lellis, ex giocatore e ora life coach. Che parte dal presupposto per cui «il gioco è una malattia invalidante e progressiva che lentamente investe con la sua forza distruttiva tutta la vita della persona e di quelli che le sono accanto». «La menzogna è impregnata nel Dna del giocatore», conferma Simone Feder, psicologo alla Casa del Giovane di Pavia. Che continua: «Non lo si vede consumarsi a livello fisico come un tossicodipendente, perché all’apparenza si comporta come una persona qualunque. Ciascuno pensa che il proprio compagno, o padre, non sarà come gli altri».
Il percorso di cura può essere lungo e va dai gruppi di auto-aiuto alla psicoterapia, al trattamento farmacologico. Secondo la tesi comune la malattia è curabile, ma non guaribile: arginata la condizione patologica, l’unica possibilità è la totale abolizione del gioco. «Sono a tre anni di astinenza – racconta Fabrizio – e la qualità della mia vita è cambiata perché ho iniziato a ragionare in modo onesto. Ero e sono una persona malata, ma ora mi so controllare».
Una vera patologia
Il gioco d’azzardo patologico è riconosciuto come malattia psichiatrica dall’organizzazione mondiale della Sanità dal 1980. Ma in Italia ancora pochi accedono alle cure: 6 mila persone nel 2011, accolte da 186 centri (Asl, enti pubblici, associazioni, cooperative). Strutture che devono fare i conti con la mancanza di risorse. Mentre scriviamo questo numero di Valori la ludopatia sta per entrare tra i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Ma se non verrà disposta una copertura economica ad hoc si rischierà solo di sovraccaricare un sistema sanitario pubblico già al collasso, senza garantire un’assistenza adeguata. «I SerT trattano già il gioco d’azzardo, ma di norma a varcare le loro soglie sono solo giocatori anche tossicodipendenti», spiega Feder.
In attesa di una svolta politica con una nuova legge, bisogna lavorare sul territorio, in modo che a intervenire in sostegno dei giocatori in difficoltà siano anche il medico di famiglia, l’assistente sociale o il direttore di banca. Si è dato questo compito anche Educa, il festival dell’educazione di Rovereto. Un lavoro non facile, visto che bisogna fare i conti con occasioni per giocare sempre più diffuse e allettanti. «A Pavia – racconta Feder – le tabaccherie vendono le slot machine giocattolo e i bambini ricevono i gratta e vinci per il compleanno. E intanto si stanziano soldi per capire come funziona il cervello di un ludopatico. Ma la vera prevenzione è togliere le macchinette dal territorio, combattendo la cultura del gioco d’azzardo».



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