Magazine Diario personale

¡Maldicto Gutierrez!

Da Astonvilla
¡Maldicto Gutierrez!
Marilù Oliva Pedro Juan Gutierrez è orgogliosamente cubano e, attraverso l’esaltazione del suo spirito caribeño, trascina lo smarrito lettore negli archetipi delle situazioni più insolite, ma le più quotidiane per l’autore. Habanero di adozione, antillano per nascita e per costumi, carnalmente spirituale, un po’ buddista e un po’ alcolizzato, apparentemente cialtrone, senza dubbio sfacciato (descarado è l’aggettivo più appropriato: letteralmente in lingua cubana des-carado significa privo della faccia), Pedro Juan è stato spettatore silenzioso di un fenomeno sconcertante, ma già consolidato nell’imprevedibile jet-set della letteratura: dei suoi libri, apprezzati ovunque tranne che nel suo paese, ne è stato pubblicato uno soltanto a Cuba, Animal Tropical, e non a caso il meno significativo e meno scomodo... C’è dell’altro. A causa di un viaggio in Europa per promuovere Trilogia sporca dell’Avana (1998), Gutierrez è stato assai poco diplomaticamente licenziato in patria dal giornale per cui lavorava. O, com’egli stesso ha dichiarato: «Non sono stato licenziato dal quotidiano. Sono stato buttato fuori dal giornalismo. è da allora che sono un fantasma all’Avana». Per chi sta al di fuori dei meccanismi che reggono la granitica struttura castrista del regime cubano, l’ostilità verso questo scrittore sembra una contraddizione: Gutierrez non parla di politica, ma se lo facesse, sarebbe senza dubbio dalla parte degli oppressi. Egli ama Cuba con la stessa caparbietà di chi sa che alcune prevalenze recondite vanno accettate, non spiegate. Forse, alla fine, direbbe più cose piacevoli che spiacevoli, lui che nei suoi romanzi dispiega lo spiacevole come se fosse l’inevitabile eufemismo di una vita destinata alla perdizione. Il messaggio non si concede a doppi sensi: l’esistenza è dura, anche se condita da qualche sollievo o, per rubare un aforisma ad Oscar Wilde, «la vita è un brutto quarto d’ora composto di momenti squisiti». Alcuni di questi istanti, per lo scrittore cubano, sono quelli scaldati dalla musica. Del resto, non poteva essere altrimenti per un artista nato a Matanzas. Musicalmente parlando, Matanzas è il baricentro magico da cui è scaturita la rumba, anche se molte zone della città se ne contendono la paternità. Invero, dov’è sorto questo genere ritmico, fra gli arsenali e le strade ventose del porto, oppure nelle campagne adiacenti, ove le piantagioni dondolano le canne da zucchero come docili strumenti alle brezze? Comunque sia, Pedro Juan risente delle sue origini fin nel midollo: non solo perché ha fatto della musica – rumba, salsa, cha cha cha, guaguancon[1] - una deliziosa cornice ai suoi racconti, ma anche e soprattutto perché chi ascolta, balla e pratica queste sonorità diviene un rumbero e, come  disse Ruben Blades[2]:      Per essere rumbero devi aver pianto
Per essere
rumbero
devi aver riso,
devi aver sognato, aver vissuto;
per essere
rumbero
devi sentire dentro
dolci emozioni che agitino i tuoi sentimenti,
se non sei nato con la clave allora non sei
rumbero
;
potrai cantare con sincerità, potrai avere buona voce
però non potrai mai essere
rumbero
se ti manca il cuore;
per essere
rumbero
devi amare la gente
e avere un’anima chiara come il sole d’oriente
devi essere sincero e allora sarai
rumbero
...
Il
rumbero
è un essere con gioie e dolori
che esprime i sentimenti con i colpi di tamburo,
deve essere sincero per suonare la
rumba, ahi Dio!
Tutto questo è stato Gutierrez, e molto di più… è uno di quei personaggi che può, che sa rendere barocca la propria biografia, arricchendola di mestieri strabilianti e compendiando la propria arte letteraria quasi fosse l’esito di una magia casuale, sgorgata da un folletto maldestro: è stato infatti strillone, gelataio, raccoglitore di canna da zucchero, bracciante, tecnico delle costruzioni e professore di disegno, autore di documentari, attore e animatore alla radio e in televisione, viaggiatore, poeta visual-sperimentale, scultore, istruttore di kajak, e poi giornalista, professore universitario, pittore… Dal 1950, anno in cui è nato, ha imparato a convivere con quell’abilità d’improvvisazione che sempre richiede la povertà, mescolandola con la sua capacità di iniziativa e non macchiandola, infine, con la popolarità conseguita. Delle lunghissime letture, scaturite dall’incontro con protagonisti assoluti della letteratura, Gutierrez conserva pochi nomi: Capote, Hemingway, Salinger, Dos Passos, Faulkner, per non citare i suoi conterranei Alejo Carpentier, Lezama Lima e Eliseo Diego. Quando nelle interviste gli si accenna ch’è stato definito il Bukowsky delle Antille, obietta storcendo il naso: «Bukowoski non mi piace, è un autore ripetitivo e molto superficiale, a differenza di Raymond Carver». Eppure, la vicinanza appare riscontrabile su vari fronti. Il linguaggio diretto, gergale nell’originale stampato in spagnolo, in cui si possono riscoprire alcune espressioni lessicali tipiche dell’Habana e alcuni slang dei bassifondi della capitale usati in luoghi ove hanno accesso solo i misérables. Le “parolacce” danno un tono di vivacità e non sono risparmiate: questo non per stupire la sensibilità dei lettori, ma semplicemente perché fanno parte della vita e, proprio per questo, inomettibili. I momenti di sesso (molti) sono descritti con realismo e passionalità, senza un minimo di galanteria per la privacy delle donne (vere) con le quali lo scrittore ha intrattenuto avventure e sono abbondantemente insaporiti con “parolacce”! A tal proposito, Gutierrez si difende: «Per quale motivo lo scrittore e il lettore dovrebbero avere paura di una descrizione dell’atto sessuale? Non si tratta di paura, ma piuttosto del suo senso letterario. Io credo di utilizzare il sesso sempre come un elemento drammatico, mai in modo gratuito, e comunque un’autocensura mi sembrerebbe davvero brutale come quella correctión che c’è nella letteratura e nel cinema... Noi non siamo anglosassoni, tedeschi o francesi: noi siamo cubani, e per noi il sesso è la cosa più normale del mondo, e la consideriamo una cosa meravigliosa. Gli elementi fondamentali della nostra cultura sono l’erotismo e la musica: qui in qualsiasi casa si mette sai salsa tutto il giorno e capita che si faccia sesso. Come un’espressione d’amore o anche solo d’affetto. Come una carezza». Di carezze però, gli antieroi delle sue opere ne hanno ricevute ben poche... A cominciare da Rey, il protagonista del capolavoro del “Ciclo del centro Avana”, El rey de la Habana[3], la storia di un ragazzo imprigionato dalle vicissitudini della vita. Si tratta di una prigione esistenziale e materiale, perché Rey finisce in galera, poi si libera, poi ricade e si rialza, e ricade ancora più giù, più in fondo, fino all’abisso. Un drammatico percorso surreale alla Pulp Fiction, crudo e struggente. Il libro precedente, Trilogia sporca dell’Avana, è una kermesse senza respiro di tutto ciò che di quotidiano, agghiacciante, intrigante ed euforico riserva la capitale e il suo caldissimo ritmo senza senso e senza regole che è la vita intesa “a lo cubano” – alla maniera cubana. L’orgogliosa ostentazione delle origini caraibiche prosegue nel racconto Animal Tropical. Il titolo parla già da sé, in copertina, una foto di Gutierrez coi capelli rasati, una canottiera che mette in evidenza i bicipiti e una posa da sbruffone che si compiace del suo machismo. Il libro è, in un certo senso, una celebrazione dell’autore, della sua sfacciataggine, del suo menefreghismo, del suo vivere alla giornata, della sua amoralità così spudorata da sconfinare nell’ingenuità. Anche in questo si riscontra certa fratellanza con Bukowsky. Il più chiaro elemento in comune tra i due scrittori é il grido di protesta, soffocato ma distinguibile, sempre sul punto di trasformarsi in un urlo tonante, ma  spesso trattenuto in sottili polemiche. C’è rassegnazione e disgusto. Ma soprattutto, come in Bukowsky, c’è poesia, una poesia gettata qua e là per caso, non visibile subito in superficie: qualche tirata para-filosofica sulla vita e i piaceri dei sensi, e perfino una sfumatura d’amore, che non viene peraltro mai dichiarato come tale, ma sempre raggirato dai suoi surrogati più ingannevoli, ossia passione e infatuazione. Infine, come in Bukowsky, c’è molto alcool fra le righe, rhum, in questo caso. Ci si ubriaca solo leggendo... In Italia, presso le edizioni e/o, sono usciti la Trilogia sporca dell’Avana (1998), Il re dell’Avana (1999), Animal tropical (2001), Malinconia dei leoni (2002), e Carne de perro (2003)[4], il quinto romanzo che conclude il “Ciclo del centro Avana”. Nello stesso anno in cui è stato pubblicato Carne de perro, Gutierrez ha ricevuto il Premio Narrativa Sud del Mondo. Il nostro GG all’Avana, appena uscito, proietta la capitale cubana nei caldissimi tempi del luglio ’55, quando intrighi, gioco d’azzardo, sesso, crimine, agenti segreti di ogni paese, cacciatori di nazisti e mafiosi italo-americani contaminavano la Reina[5] di fitte trame d’omicidi, orge e deviazioni sessuali inaudite. L’ordine secondo il quale vi consiglio di procedere nella lettura dei suoi racconti è quello cronologico. Gutierrez è grandioso finché parla della sua isola, dopodiché diventa un poco stucchevole (mi riferisco, essenzialmente, all’ultima parte di Animal Tropical, minuzioso diario di un noiosissimo soggiorno svedese. Se lo saltate non vi perdete quasi nulla!). Purtroppo la tendenza è quella comune a molti scrittori (ma non a tutti): dopo il capolavoro, s’inciampa – a volte o sovente – nella ripetizione. In questo caso i capolavori sono due: Trilogia sporca dell’Avana e Il re dell’Avana, nei quali la virtù di Gutierrez é una narrativa scorrevole e imprevedibile. La destinazione è un’altra umanità, celebrata con storie di povertà, di prostitute, di nullafacenti e nullatenenti, in una Cuba picaresca e saporita, lambita dalla suggestione religiosa della tradizione degli Orishas. Sembra un paradosso, ma proprio là dove l’autore è più scanzonato ed eccessivo, ci svela un candore quasi fanciullesco. Così pure sono le sue donne: donne di strada, istintive, volgari. In tutte le opere la veridicità dei fatti è una garanzia: l’autore lo conferma in più occasioni. Confessa, infatti, d’essere incapace d’inventare; può solo trascrivere su carta avvenimenti realmente accaduti. Consiglio la lettura a tutti gli appassionati dell’America Latina, ai nostalgici di un viaggio esotico, agli affezionati di Cuba, ai Cubani stessi che non conoscono l’autore. Vivamente sconsigliato, invece, a chi pensa che la morigeratezza sia la conditio sine qua non affinché l’uomo possa camminare sulla retta via… Secondo Pedro Juan, invero, l’uomo cammina e basta! Con una bottiglia di rhum, semmai…

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