> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="200" width="600" alt="Maledetti Fumetti: David Hajdu e il Comics Code >> LoSpazioBianco" class="size-full wp-image-28937 aligncenter" />
Per lungo tempo, sulla copertina degli albi a fumetti di molte case editrici statunitensi è apparso il bollino di approvazione della Comics Code Authority (CCA), che garantiva che il contenuto delle storie proposte rispettasse le indicazioni del codice di autoregolamentazione che quelle stesse case editrici si erano date, costituendosi nella Comics Magazine Association of America (CMAA): il famigerato Comics Code. Il codice debuttò nel 1954, in una versione sintetica e decisamente restrittiva [1] ; subì importanti modifiche nel 1971, in risposta all’evoluzione del contesto culturale statunitense e delle aspettative dei lettori [2] ; fu infine nuovamente snellito nel 1989 [3] , quando ormai le porte erano state abbattute e anche il fumetto mainstream si avventurava da tempo senza problemi in territori prima preclusi, rinunciando al bollino di garanzia. All’attestato della CCA avevano consapevolmente rinunciato testate come: “The Saga of the Swamp Thing” (Alan Moore, 1983), “Hellblazer” (Jamie Delano, 1987), “The Sandman” (Neil Gaiman, 1988). Dopodiché la CMAA iniziò a disgregarsi: Marvel ne uscì nel 2001 e dieci anni dopo anche DC Comics scelse un proprio sistema di rating per le storie.
Il Comics Code e il bollino di approvazione della CCA hanno quindi visto diminuire nel tempo la propria capacità di influenza, fino a estinguersi per mancanza di affilati. Ma nei suoi primi decenni di vita, la CCA riuscì a condizionare la politica editoriale delle case editrici mainstream, determinò chiusure di numerose testate e sostanzialmente il crollo della EC Comics, che così si guadagnò un posto nella mitologia del fumetto, al quale Bill Gaines, proprietario e animatore, avrebbe volentieri rinunciato.
Così non fu.
Chi aveva paura dei fumetti?
Bollino di approvazione della CCA.
Eppure, che i fumetti non fossero responsabili del malessere giovanile era stata anche la conclusione di una serie di audizioni di una commissione del Senato, presieduta da Robert C. Hendickson, tenute fra il 1954 e il 1955. Gli incontri ebbero come protagonisti, schierati su fronti opposti, due psichiatri: Frederic Wertham, autore di “The Seduction of the Innocent“, violento attacco contro il fumetto, accusato di condizionare negativamente la formazione di bambini e adolescenti, e Lauretta Bender, psichiatra infantile con vasta esperienza clinica. Wertham, arrivò a sostenere che che l’industria dei fumetti costituisse un vero e proprio gruppo sovversivo dei valori nazionali (“the crime comic book industry is one of the most subversive groups in the country today“) [4] . Bender, invece, indicava nei fumetti un prezioso mezzo di indagine della vita emotiva del bambino, che impiegava regolarmente e con successo nelle proprie terapie presso il Bellevue Hospital. La commissione accettò il punto di vista di Bender, ovvero l’esistenza di un consenso diffuso fra gli esperti che la lettura di fumetti non è causa di disagi emotivi nei bambini (“it appears to be the consensus of the experts that comic-book reading is not the cause of emotional maladjustment in children“) [5] .
Resta naturalmente aperto lo studio della relazione fra i prodotti culturali di massa, la formazione dell’immaginario individuale e dei valori personali e sociali, ma vale la pena segnalare che l’intensità della lotta intorno alla produzione di fumetti e al loro tipo di storie e rappresentazioni segnala anzitutto che il fumetto era visto come lettura riservata ai bambini o al più agli adolescenti e che quello che gli si chiedeva era di essere inoffensivo (nei confronti del mondo adulto) e conformista (rispetto a un insieme standard di prìncipi del mondo adulto) [6] . In tutto questo emerge clamorosamente il rifiuto da parte degli adulti della possibilità di una loro supervisione o partecipazione alla lettura. Detto altrimenti, è come se gli adulti (almeno quelli che promossero le iniziative contro i fumetti) da una parte vedessero il fumetto come un territorio a loro inaccessibile, a cui si potesse solo limitare l’accesso; dall’altra non intendessero impegnarsi a condividere quel mondo, per meglio conoscere i propri figli. In questo senso, la storia del Comics Code e della lotta contro i fumetti ci rivelano dettagli importanti sulla concezione della famiglia e dell’educazione negli Stati Uniti di quel periodo.
Da parte loro, le case editrici mainstream che si riuniscono nella CMAA adottarono, secondo un approccio economico di minima razionalità, la strategia editoriale che da un lato potesse evitare loro diatribe legali e dall’altro risultasse gradita al proprio mercato di riferimento, che, vale la pena ribadirlo, è costituito da chi i fumetti li acquistava (i genitori), prima ancora che da chi li leggeva (bambini e adolescenti?). L’aspetto ironico di questo tentativo è che fu Bill Gaines, animatore e proprietario della EC Comics, a promuoverlo: la sua idea gli fu strappata di mano e, affidata a persone che il fumetto disprezzavano, si trasformò da strumento di autodifesa a strumento di sterilizzazione del fumetto stesso.
Una storia da conoscere
Il libro di Wertham contro i fumetti.
Hajdu sceglie di ricostruire la vicenda del Comics Code attraverso testimonianze e documenti del periodo, e intende proporre la voce di tanti che in quella vicenda furono attori, protagonisti o comparse. Dedica invece uno spazio ridotto all’analisi del contesto o a una sintesi, che, utilizzando un punto di vista più astratto, permettano una chiara visione delle varie forze in gioco, economiche, sociali e culturali. La composizione dei primi piani proposti, del montaggio delle dichiarazioni e memorie non si pone l’obiettivo di spiegare come sia stata possibile l’affermazione del Comics Code, ma è molto efficace nel mettere il lettore in condizione di condividere le passioni degli individui che attraversarono quella temperie. È una storia in cui immergersi, ma che offre pochi punti di riferimento per comprenderne il percorso. Naturalmente, il lettore statunitense può agevolmente affiancare al lavoro di Hajdu una vasta bibliografia sull’argomento, che consente di esplorare la vicenda con altri approcci e obiettivi. Noi, in scarsità di offerta sul tema, restiamo invece con molte curiosità. Sull’economia del fumetto, ad esempio: sua produzione e distribuzione, andamento delle case editrici e testate; tirature e vendite, il tutto connesso con l’evoluzione dell’editoria in genere in quel periodo. La caduta di un’industria non è infatti un evento banale in un’economia di mercato e sarebbe interessante leggere la storia del Comics Code in questa prospettiva. E sicuramente sarebbe interessante una capillare analisi delle modifiche del contenuti delle testate, con particolare attenzione a quelle che hanno attraversato tutto il periodo e a quelle supereroiche.
L’edizione Tunué offre infine il valore aggiunto della prefazione di Roberto Giammanco, che inquadra il tema, e la postfazione critica di Matteo Sanfilippo, che ben individua le caratteristiche dell’approccio di Hajdu e offre riferimenti per approfondire la tematica. Da segnalare l’ottima cura editoriale di Marco Pellitteri, che ha integrato notizie e materiale iconografico dell’opera originaria.
Abbiamo parlato di:
Maledetti Fumetti! Come la grande paura per i “giornaletti” cambiò la società
David Hajdu
Traduzione di Marco Pellitteri
Tunué, 2010
464 pagg., bross., b/n, 28,00 €
Prefazione: Roberto Giammanco
Postfazione: Matteo Sanfilippo
ISBN 9788889613887
Note:
- Il testo del Comics Code originale è disponibile ad esempio presso: www.mit.edu/activities/safe/labeling/comics-code-1954. [↩]
- testo della versione del Comics Code del 1971 è disponibile ad esempio presso: www.mit.edu/activities/safe/labeling/comics-code-1971. [↩]
- Il testo della versione del Comics Code del 1989 è disponibile ad esempio presso: www.reocities.com/Athens/8580/cca3.html. [↩]
- Citato da John Shelton Lawrence: “Finding Ourselves in Our Superheroes“, prefazione a: Lawrence C. Rubin (a cura di): “Using Superheroes in Counseling and Play Therapy“, Springer Publishing Company, 2007, pag. xiii. [↩]
- Citato da John Shelton Lawrence: “Finding Ourselves in Our Superheroes“, op. cit., pag. xvi. [↩]
- Così Wertham: “Orrore, delinquenza, sadismo, mostri fantasmi, morti viventi: in pratica c’è piena libertà di espressione, e tutto all’interno di albi a fumetti indirizzati e venduti a bambini“. Frederick Wertham: “Seduction of the innocent“. Citato in David Hajdu: “Maledetti Fumetti“, pag 238. [↩]
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