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Maleficent

Creato il 13 giugno 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

1Mah … Sarà che quando ero tenero frugoletto una volta visto La bella addormentata nel bosco, film d’animazione targato Disney (Sleeping Beauty, 1959, Clyde Geronimi) il quale attingeva alla versione dell’omonima fiaba* scritta da Charles Perrault (La Belle au bois dormant, ne I racconti di Mamma Oca, 1697, cui si ispirarono i fratelli Grimm nel 1812) mi convinsi di come Malefica, terribile e temibile strega, fra i protagonisti della suddetta pellicola, fosse la personificazione del Male assoluto, presente nell’animo umano sin dalle origini del mondo (egualmente al Bene, il quale, più o meno puntualmente, gli si erge contro per sconfiggerlo), ma la recente proposizione live action, Maleficent, del celebre personaggio da parte della stessa Disney, che l’ha resa mattatrice assoluta affidandosi all’interpretazione di Angelina Jolie, non mi ha particolarmente convinto. Ne ho apprezzato qualche spunto contenutistico interessante, che andrò nello specifico ad illustrare in corso di scrittura, così come l’abbandono di uno schematismo rigidamente manicheo fra bontà e malvagità (d’altronde anche il bimbetto di cui sopra crescendo ha compreso come siano labili i confini fra le due entità, sempre con l’animo umano a farsi idoneo campo di battaglia).

Angelina Jolie (movieplayer)

Angelina Jolie (movieplayer)

Non ho potuto fare a meno di notare, però, la lotta ingaggiata fra la regia dell’esordiente Robert Stromberg ed una sceneggiatura a sei mani (Linda Woolverton, Paul Dini, John Lee Hanccock) a chi mancasse più di nerbo nel conferire un minimo di caratterizzazione, narrativa e visiva.
Quest’ultima in particolare, ben lontana dall’offrire una visionarietà propriamente detta, rende evidente tanto un accurato lavoro degli scenografi (Gary Freeman e Dylan Cole) per conferire un afflato realistico (il contrasto fra il bosco incantato e il mondo degli umani, per esempio), quanto un ricorso all’effettistica digitale di contorno che finisce con l’annacquare il tutto in un luccicante déjà vu, richiamando quanto già messo in atto nell’ambito di similari produzioni fantasy (da Alice in Wonderland a Il grande e potente Oz, senza dimenticare un pizzico di Avatar, giusto per gradire). Su tutto e tutti svetta, magnifica presenza, Angelina Jolie, il cui make-up è stato curato, nientepopodimeno che, da Rick Baker, il quale ha sapientemente messo in atto in primo luogo una piallatura degli zigomi onde potessero sfoggiare una demoniaca forma aguzza, seguita da occhi viperini e labbra di un acceso rosso vermiglio a risaltare sulla biacca facciale.

Sharlto Copley

Sharlto Copley

Tutti elementi idonei a valorizzare la già notevole resa in scena dell’attrice, per quanto soffocata dai miasmi di una scrittura piuttosto ondivaga nel tratteggiarla dapprima come fata buona buonina (e allora, anche per sottolineare l’evoluzione del personaggio, perché, mi unisco alle voci di molti, non chiamarla Beneficent?), poi cattivona di prammatica, ma con un motivo più che valido, ed infine “fata madrina” all’interno di un particolare percorso di redenzione. Una voce fuori campo narra come, tanto tempo fa, in un posto lontano, a poca distanza l’uno dall’altro, esistessero due mondi distinti, la Brughiera, bosco incontaminato e lussureggiante, popolato delle più magiche e misteriose creature, e il regno di Re Enrico (Kenneth Cranham), scuro e tetro, dominato dalla cupidigia e bramosia di potere.
Un giorno si introduceva nella foresta incantata, luogo in cui gli umani non potevano avere accesso, un ragazzino, Stefano, il quale veniva colto in flagrante dai guardiani nell’atto di rubare una gemma. Prontamente salvato dalla fata alata Malefica (Ella Purnell), solerte protettrice e dispensatrice di bontà, i due divenivano così amici e poi, man mano che gli anni passavano, qualcosa in più, tanto che al compimento del sedicesimo anno il ragazzo elargiva alla magica fanciulla il bacio del vero amore.

Jolie

Jolie

Ma una volta divenuto adulto, Stefano (ora interpretato da Sharlto Copley), spinto da una grande ambizione, non tardava a minarne la fiducia, assecondando le mire espansionistiche del sovrano, già respinte da Malefica (Jolie) alla guida delle creature del bosco, sino a divenire egli stesso re. Ma su di lui, nel frattempo convolato a nozze e padre di una bambina, Aurora, non tardava a scagliarsi la vendetta di Malefica …
Statico nella regia, più attenta a coreografiche inquadrature (la pur riuscita scena del maleficio, ripresa dal citato originale) e allo squasso plateale (la resa dei conti finale, simile ad un film superomistico), che a delineare un convincente crescendo drammaturgico, già mortificato dagli sceneggiatori con una forse preventivata scarsa incisività dei vari personaggi, usati a mo’ di ameno corredo (al riguardo più del Copley re malvagio da recita scolastica meglio Sam Riley nei panni di Fosco, corvo umanizzato da Malefica e suo braccio destro) o maldestro intramezzo comico (le tre fatine cui verrà affidata Aurora, Verdelia, Juno Temple; Giuggiola, Imelda Staunton; Florina, Lesley Manville), Maleficent gioca le sue carte migliori, oltre che per la suddetta convincente interpretazione della Jolie, spesso autoironica, nel tracciare le linee di un non inedito, ma sempre interessante, racconto di formazione.

Sam Riley e Jolie (movieplayer)

Sam Riley e Jolie (movieplayer)

Per quanto penalizzato dalla necessità di assecondare diverse esigenze, quelle di un pubblico giovane ed altre proprie di spettatori più grandicelli, assistiamo, infatti, ad un percorso di crescita che procede verso direzioni parallele. Da un lato Malefica intuirà che il vivere solo per se stessa, scelta tanto volontaria quanto imposta dalle circostanze, comporti come unico risultato tangibile l’auto esclusione dal contesto sociale e dagli affetti, familiari in primo luogo, rappresentati da Aurora (Elle Fanning una volta adolescente, sin troppo leziosa nel suo essere zucchero e miele, ma non è tutta colpa sua, la disegnano così …).
Un recupero del proprio essere, della femminilità più intima e profonda, attraverso un ruolo materno capace di alimentarsi con solidali ragioni del cuore più che sulla fredda genetica, idoneo a condurre una giovane donna verso il superamento della fase adolescenziale, sino all’autodeterminazione, all’affermazione definitiva di sé, della propria essenza, al di là di imposizioni o condizionamenti esterni.

Elle Fanning

Elle Fanning

Aurora, infatti, venuta a conoscenza del maleficio, ricercherà volontariamente quanto potrà indurla in un sonno profondo, cosciente in cuor suo di poter rinascere a nuova vita in nome del vero amore, che non si manifesterà certo per merito di Filippo (Brenton Thwaites), il quale si rivelerà essere un principe azzurro fra i più scarsamente funzionali bietoloni mai apparsi sul grande schermo, e mi fermo qui per non svelare la sorpresa finale (ma per chi abbia visto il recente Frozen, come lo scrivente, credo sarà difficile esternare meraviglia), per cui arrivo alle mie conclusioni: Maleficent avvince (a tratti), ma, almeno a livello di personale sensazione, non convince, particolarmente compiaciuto della sua aurea mediocritas, la quale viene manifestata nel mantenersi in difficoltoso equilibrio sulla corda tesa rappresentata da un ordinario revisionismo dalla facile presa (idoneo a garantire sicuri incassi) e dal voler mantenere un clima di rispettosa classicità, mancando il bersaglio di garantire, agli spettatori in primo luogo, o almeno ad una loro parte (è bene ricordare che non tutti i gusti sono alla menta, come si suole dire), un trasporto genuino e sincero rivolto all’apprezzamento di entrambi.

* Le prime tracce della storia possono rinvenirsi nel romanzo francese Perceforest (autore ignoto) scritto nel 1527, per poi arrivare a Sole, Luna e Talia, un racconto del narratore italiano Giambattista Basile (1636) inserito ne Lo cunto de li cunti, considerata generalmente la prima raccolta di favole stampata.


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