Dopo l'eccezionale successo al botteghino della burtoniana Alice, la casa di produzione Disney continua a cavalcare l'onda del successo delle sue vecchie storie rifatte in live action e, dopo aver riportato il mondo di Oz sul grande schermo sotto l'ala protettiva di Sam Raimi, decide azzardatamente di affidare questo nuovo punto di vista della vecchia fiaba de La bella addormentata nel bosco ad un novello regista di nome Robert Stromberg, premio Oscar per la direzione artistica di Avatar e Alice in Wonderland e nominato per gli effetti visivi di Master & Commander di Peter Weir. Non l'ultima ruota del carro, certo, ma comunque non il più grande regista vivente, e questo si nota già dalle prime, canoniche, scontate e poco visionarie scelte di regia che introducono lo spettatore nel mondo fatato di Maleficent, film più di Angelina Jolie che di Stromberg, non solo per la presenza scenica dell'iconica attrice (e delle sue figlie), ma anche per via delle tematiche presentate dalla storia di Linda Woolverton, autrice rubata anche lei dal cast tecnico della già citata Alice. Se è vero che il regista è di fatto un mestierante alle prime armi in questo campo, è anche vero che a questo film non serviva una regia manieristica al punto di rubare la scena all'attrice protagonista, bensì delle scenografie e dei costumi che accompagnassero la sensualità, la tragicità, la vendetta ed ogni singola emozione portata sullo schermo dagli occhi ipnotici della Jolie, comprese tutte quelle cose che hanno a che vedere con un forte senso di maternità, una tematica, come accennato poco fa, predominante all'interno del film. È un prodotto, questo, che parla di madri, di padri, di figli e di educazione giusta e sbagliata, perché è vero che re Stefano fa del male a Malefica risultando di conseguenza il vero cattivo del film, ma è anche vero che entrambi amano, a modo loro, la piccola Aurora e cercano, sempre a modo loro, di fare il meglio per lei. Stefano la rinchiude in una capanna isolata dal mondo e custodita da tre mentecatte alle quali non affiderei nemmeno le mie scarpe, mentre la regina della Brughiera la accompagna attraverso il mondo (complice la stupidità delle tre fatine colorate), rimanendo comunque a debita distanza, facendo in modo che la piccola scopra ciò che la circonda, facendo le sue esperienze, rischiando la sua vita, inconsapevole del fatto che Malefica sia sempre lì ad aiutarla e a proteggerla. Poi, certo, draghi e cavalieri e castelli e ali fatate e troll e fatine e magie e incantesimi e chi più ne ha più ne metta, tutto questo non può certo mancare in un fantasy marcato Disney, ed è paradossale che le scenografie gestite da un esperto del settore siano così derivative e ricalcate, ma questi sono i difetti su cui hanno tutti puntato il dito durante i mesi postumi all'uscita del film. In fondo Maleficent non è certo un film brutto, insulso o inguardabile, è soltanto un film che avrebbe potuto dare di più a livello visivo e ritmico, ma per quanto mi riguarda io mi azzardo a consigliarlo più ai genitori che ai figli, affinché possano riflettere su quale sia la differenza tra un certo tipo di educazione e l'altro.
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Dopo l'eccezionale successo al botteghino della burtoniana Alice, la casa di produzione Disney continua a cavalcare l'onda del successo delle sue vecchie storie rifatte in live action e, dopo aver riportato il mondo di Oz sul grande schermo sotto l'ala protettiva di Sam Raimi, decide azzardatamente di affidare questo nuovo punto di vista della vecchia fiaba de La bella addormentata nel bosco ad un novello regista di nome Robert Stromberg, premio Oscar per la direzione artistica di Avatar e Alice in Wonderland e nominato per gli effetti visivi di Master & Commander di Peter Weir. Non l'ultima ruota del carro, certo, ma comunque non il più grande regista vivente, e questo si nota già dalle prime, canoniche, scontate e poco visionarie scelte di regia che introducono lo spettatore nel mondo fatato di Maleficent, film più di Angelina Jolie che di Stromberg, non solo per la presenza scenica dell'iconica attrice (e delle sue figlie), ma anche per via delle tematiche presentate dalla storia di Linda Woolverton, autrice rubata anche lei dal cast tecnico della già citata Alice. Se è vero che il regista è di fatto un mestierante alle prime armi in questo campo, è anche vero che a questo film non serviva una regia manieristica al punto di rubare la scena all'attrice protagonista, bensì delle scenografie e dei costumi che accompagnassero la sensualità, la tragicità, la vendetta ed ogni singola emozione portata sullo schermo dagli occhi ipnotici della Jolie, comprese tutte quelle cose che hanno a che vedere con un forte senso di maternità, una tematica, come accennato poco fa, predominante all'interno del film. È un prodotto, questo, che parla di madri, di padri, di figli e di educazione giusta e sbagliata, perché è vero che re Stefano fa del male a Malefica risultando di conseguenza il vero cattivo del film, ma è anche vero che entrambi amano, a modo loro, la piccola Aurora e cercano, sempre a modo loro, di fare il meglio per lei. Stefano la rinchiude in una capanna isolata dal mondo e custodita da tre mentecatte alle quali non affiderei nemmeno le mie scarpe, mentre la regina della Brughiera la accompagna attraverso il mondo (complice la stupidità delle tre fatine colorate), rimanendo comunque a debita distanza, facendo in modo che la piccola scopra ciò che la circonda, facendo le sue esperienze, rischiando la sua vita, inconsapevole del fatto che Malefica sia sempre lì ad aiutarla e a proteggerla. Poi, certo, draghi e cavalieri e castelli e ali fatate e troll e fatine e magie e incantesimi e chi più ne ha più ne metta, tutto questo non può certo mancare in un fantasy marcato Disney, ed è paradossale che le scenografie gestite da un esperto del settore siano così derivative e ricalcate, ma questi sono i difetti su cui hanno tutti puntato il dito durante i mesi postumi all'uscita del film. In fondo Maleficent non è certo un film brutto, insulso o inguardabile, è soltanto un film che avrebbe potuto dare di più a livello visivo e ritmico, ma per quanto mi riguarda io mi azzardo a consigliarlo più ai genitori che ai figli, affinché possano riflettere su quale sia la differenza tra un certo tipo di educazione e l'altro.
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